Medio Oriente e Nord Africa (MENA) Editoriali

Penso di essere una femminista, che ne dite?

Gibran Hannah

L’interazione tra questioni di genere e ingiustizia resta intatta. Si potrebbe pensare che a mano a mano che il mondo si modernizza, le donne si liberino dalle costrizioni che le imprigionano. Eppure, la modernità aggiunge aspetti di disagio più ampi. Il femminismo inizialmente riguardava l’emancipazione delle donne e la creazione di pari opportunità per donne e uomini in tutti gli aspetti della vita. Fu quella la prima ondata del femminismo, che ebbe origine dalla Convenzione di Seneca Falls del 1848, considerata anche la prima Convenzione formale sui diritti delle donne negli Stati Uniti d’America. La seconda ondata del femminismo è arrivata intorno agli anni ’60-’70; ha ampliato il femminismo all’ambito domestico e ai diritti riproduttivi, estendendo il suo orizzonte ad altri Paesi occidentali. La terza ondata di femminismo è emersa negli anni ’90 e ha raggiunto i Paesi del Sud del mondo. Ha iniziato a prestare attenzione all’inclusività, ad esempio in relazione alle discriminazioni su base etnica. E la quarta ondata del femminismo, iniziata intorno al 2012, ha ampliato la nozione di inclusione non solo all’uguaglianza tra uomini e donne, ma anche alla libertà di scegliere il genere con cui una persona può identificarsi.

Penso di essere una femminista, ma dubito che ciò che sostengo possa essere universalmente accettato da chi abbraccia valori coerenti con il discorso cumulativo del femminismo. In sostanza, sostengo le pari opportunità tra donne e uomini e farò tutto ciò che è in mio potere per contribuire alla realizzazione di questo obiettivo. Ma come donna musulmana praticante, che indossa l’hijab, ritengo che alcune delle recenti forme di sostegno per chi considera la propria identità non allineata con il sesso biologico soffochino la mia capacità di praticare il mio credo e di proteggermi dal pregiudizio – anche se penso che ciò non riguardi esclusivamente una donna che pratichi l’Islam.

Il femminismo intersezionale si occupa dei diversi strati dell’identità di una persona da prendere in considerazione per affrontare le varie forme di oppressione esistenti. Ciò in cui credo fermamente, come persona di fede, è che la nostra ricerca di giustizia dovrebbe basarsi sui codici etici e morali della mia religione, o per lo meno non dovrebbe violarli. Ma sembra che lo spazio per comunicare questa idea sia stato estremamente ridotto.

Al giorno d’oggi, chi dichiarasse pubblicamente sulle principali piattaforme d’informazione occidentali di essere una femminista che non sostiene la creazione di identità di genere non conformi al sesso biologico, sarebbe definita radicale ed etichettata come “non femminista”. Non intendo condannare nessun essere umano per la vita che vive. È altresì importante sottolineare che “non sostenere” non significa “proibire” agli altri di fare ciò che vogliono. Ma non posso approvare aspetti che sono in conflitto con il mio credo, e dovrei essere libera di seguire questa pratica.

Sento anche che la mia capacità di agire in quanto donna musulmana praticante con l’hijab è stata gravemente ridotta. Indossando l’hijab, mi attengo all’insegnamento islamico che non consente a nessun uomo che non sia un mio mahram (un membro della mia famiglia) di stare con me o di vedermi senza l’hijab. Al giorno d’oggi, quando vado in un bagno pubblico, non posso più considerare una toilette femminile un bagno “biologicamente femminile”, perché una persona biologicamente maschio, ma che identifichi se stessa come femmina o non binaria, potrebbe entrare in quella stessa toilette. Potrei facilmente trovarmi di fronte a bagni pubblici femminili recanti l’indicazione “in questo bagno potrebbe essere presente un maschio”. Questa è ovviamente una buona cosa per coloro che cercano di essere riconosciuti nella loro nuova identità di genere, indipendentemente dal sesso biologico. Ma d’altra parte, ciò mette a repentaglio il progresso a protezione delle donne.

Non credo, quindi, che questa particolare ondata di femminismo stia portando verso l’uguaglianza. Quello che vivo e di cui sono testimone è la costruzione di una gerarchia in cui la protezione della possibilità di far valere liberamente le scelte personali sull’identità di genere conta più di quella di chi è biologicamente femmina e vuole vivere la sua vita nel modo che ritiene sicuro per lei. Questa non è uguaglianza.

Il problema di questo attivismo sociale emergente è l’incapacità di pensare a una soluzione equa, non solo per noi stessi, ma anche per gli altri. Dovremmo promuovere un femminismo inclusivo, in cui le azioni a protezione di una parte non finiscano per danneggiare la libertà di azione di un’altra. In un mondo che accoglie l’idea che il genere possa essere definito tanto dal sesso biologico quanto per autodeterminazione, come possiamo garantire soluzioni che non cerchino di costringerci ad accettare reciprocamente lo stesso codice di comportamento, ma piuttosto ci permettano di vivere fianco a fianco in armonia?

Tutti dovrebbero essere in grado di esprimere le proprie opinioni, purché non danneggino nessuno. Considero la mia religione come una bussola per il modo in cui vedo il mondo e vivo la mia vita, e dovrebbe essere consentito, a me come a chiunque nella mia posizione, di parlare senza essere oggetto di scherno. Inoltre, la mia adesione all’Islam non significa che voglia costringere altri ad abbracciare i miei stessi valori ma, allo stesso modo, desidero che anche gli altri con un’opinione diversa non mi impediscano di vivere come una donna e una persona di fede.

Col passare del tempo, inevitabilmente raccoglieremo le forze per affrontare molte forme di ingiustizia. Tuttavia, ciò non deve farci dimenticare l’unicità dell’esperienza di vita delle persone di fede, delle persone con bisogni speciali, delle donne. Può darsi che la nuova agenda femminista abbia semplicemente lo scopo di normalizzare le identità di genere fluide senza alcuna intenzione di impedire alle donne di fede di vivere normalmente le loro vite. Ma forse questo dovrebbe ricordarci di prestare sempre attenzione alle conseguenze inaspettate prima di agire sulle soluzioni. Abbiamo bisogno di creare un ambiente che sia sicuro per tutti noi, senza alcun ordine di importanza.

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Foto Credits: Aslan Media, CC BY-NC-ND 2.0 attraverso Flickr