La situazione sanitaria in Zimbawe e la pandemia da Covid-19
A fronte di quanto ricordato, verrebbe da chiedersi che ne è stato dell’attenzione delle testate giornalistiche di tutto il mondo nei confronti dello Zimbabwe, durante la pandemia da COVID-19. Perché certamente, oltre all’inevitabile copertura della situazione pandemica nel proprio Paese, ovunque si è gettato lo sguardo oltre, cercando di capire cosa stesse succedendo nel resto del mondo. Nel caso dell’Africa, in generale si cominciò da subito a paventare – da parte delle organizzazioni internazionali – il rischio di una catastrofe se la pandemia da COVID-19 si fosse diffusa anche nei Paesi africani. In seguito tuttavia vi fu un’attenzione solo episodica nei confronti della situazione del continente, in ragione dei bassi numeri di contagi e decessi registrati ufficialmente. Tale fenomeno fu attribuito a diverse possibili concause come l’età mediamente giovane, la chiusura dei confini, la temperatura, la preesistenza di anticorpi resistenti ai coronavirus, e l’inaffidabilità dei dati ufficiali che sottostimavano la realtà dei fatti.
Non avendo avuto la possibilità di tornare in Zimbabwe dallo scoppio della pandemia da COVID-19, chi scrive ha cercato di seguire le analisi effettuate nel Paese. In particolare, a luglio del 2021 ci fu una conferenza internazionale della Great Zimbabwe University sulla pandemia da COVID-19 e i suoi effetti, organizzata da Lazarus Chapungu, con la collaborazione di David Chikodzi e Kaitano Dube, sotto l’impulso costante di Godwell Nhamo, professore di sviluppo sostenibile alla University of South Africa (Unisa), il più grande istituto di formazione a distanza in Africa e la più longeva università di formazione a distanza al mondo. Numerosi studiosi dell’Africa australe si ritrovarono a quella conferenza e da quell’occasione si sviluppò una fitta attività di scambio, che ha portato anche alla pubblicazione nel 2023, da parte dell’editore Springer, di due volumi che raccolgono in circa 600 pagine i contributi di quasi un centinaio di studiosi africani: COVID-19 in Zimbabwe. Trends, Dynamics and Implications in the Agricultural, Environmental and Water Sectors e The COVID-19 – Health Systems Nexus. Emerging Trends, Issues and Dynamics in Zimbabwe. Numerose informazioni aggiornate sono divenute così disponibili e si consiglia la lettura dei due volumi a chi fosse interessato a conoscere la situazione attuale del Paese. Qui ci limitiamo a fornire solo pochi spunti di riflessione, suggeriti dalla lettura e dall’incrocio coi dati ufficiali notificati a livello internazionale, collegando tutto ciò alla dimensione strutturale e di lungo periodo delle difficoltà del sistema sanitario nel Paese.
Il tasso di mortalità per la pandemia da COVID-19 risulta molto inferiore a quello, per esempio, dovuto a una precedente malattia respiratoria causata da infezione da coronavirus, ovvero la Sindrome acuta respiratoria grave (Severe acute respiratory syndrome, SARS) del 2003, e tuttavia il livello di trasmissione è stato significativamente maggiore. In base ai dati del bollettino settimanale dell’Organizzazione mondiale della salute (World Health Organization, WHO), al 16 marzo 2023 – cioè a poco più di tre anni dall’inizio della pandemia – nel Paese sono stati segnalati 264.391 casi confermati ufficialmente di COVID-19, tra i quali 5.672 decessi. Questo a fronte – a titolo comparativo – di 25.627.473 contagi e 188.538 vittime in Italia, sempre al 16 marzo 2023 e di 760 milioni di contagi cumulati e quasi 6,9 milioni di decessi segnalati nel mondo, numero ritenuto dalla stessa WHO molto più basso di quello effettivo.
Il numero relativamente molto contenuto di contagi e decessi in Zimbabwe (che si affianca a un numero pari a 13.491.312 dosi di vaccino somministrate in Zimbabwe, rispetto per esempio alle 150.178.254 dell’Italia) rischia di non cogliere un aspetto fondamentale collegato ai dati strutturali sin qui richiamati, che va sottolineato al di là del fatto che i dati ufficiali rappresentino una buona o assai scarsa rappresentazione del dato effettivo, ovvero il carattere fortemente diseguale dell’impatto pandemico sui diversi strati della popolazione.
Al riguardo va anche segnalato (come emerge nello studio di Samuel Gavi, Oscar Tapera, Joseph Mberikunashe e Mufaro Kanyangarara, Malaria incidence and mortality in Zimbabwe during the COVID-19 pandemic: analysis of routine surveillance data, pubblicato sul Malaria Journal, Volume 20 del 2020, art. 233) che ad esempio, rispetto allo stesso periodo del 2017, 2018 e 2019, da gennaio a giugno del 2020 in Zimbabwe si registrò un eccesso di oltre 30.000 casi di malaria, con un dato nel semestre superiore ai totali annuali del 2018 e del 2019. Un dato che rafforza l’ipotesi avanzata dalla WHO nel Weekly bulletin on outbreaks and other emergencies, pubblicato il 16 gennaio 2022 dall’Ufficio regionale per l’Africa della WHO già avanzata dal Lancet nell’articolo dell’11 novembre 2021 a firma di Talha Khan Burki, intitolato “Undetected COVID-19 cases in Africa”, secondo cui la stragrande maggioranza dei casi di COVID-19 in Africa non sarebbero stati rilevati, il vero numero di infezioni potrebbe essere sette volte superiore a quanto riportato e due su tre morti per COVID-19 in Africa non siano stati registrati.
La pandemia da COVID-19, insieme ad altri fattori, ha aggravato la vulnerabilità dei sistemi alimentari e minaccia il raggiungimento degli Obiettivi di sviluppo sostenibile che si concentrano sulla lotta alla fame, sul raggiungimento della sicurezza alimentare e sul miglioramento della nutrizione. I sistemi alimentari locali mostrano una resilienza troppo bassa per poter resistere a shock ed emergenze come la pandemia o la siccità, inondazioni e precipitazioni intense, oppure anche a situazioni di instabilità socio-politica. L’aumento dell’insicurezza alimentare è una minaccia per la salute e, dopo i decenni di sviluppo persi che sono stati brevemente raccontati, ancora oggi mancano programmi di sicurezza sociale volti ad affrontare le sfide dell’insicurezza alimentare nel breve e medio termine. Per contro stanno purtroppo aumentando povertà e disuguaglianze, che le misure di lockdown indotte dalla pandemia – avendo avuto effetti diretti sulla catena del valore della produzione e commercializzazione – hanno aggravato, penalizzando soprattutto le donne e i giovani, cioè i gruppi più vulnerabili.
Le indagini condotte dagli studiosi locali indicano che sul piano economico – e di conseguenza anche su quelli sanitario e scolastico – l’impatto negativo della pandemia nello Zimbabwe è stato di gran lunga più forte sul reddito e sulle strategie di sostentamento della maggior parte degli occupati nel commercio informale, rispetto ai settori formali dell’economia. Si rileva, cioè, la necessità prioritaria di rafforzare i sistemi di protezione sociale e di costruire la resilienza delle famiglie che gravitano attorno all’economia informale.
Al riguardo, alcuni saggi nei due volumi citati mettono in evidenza come il settore informale dello Zimbabwe impieghi ben il 95% degli adulti economicamente attivi. Tuttavia, il settore ha registrato la chiusura di molte attività a causa dei lockdown imposti durante la pandemia, con conseguente perdita di reddito, disoccupazione e abbassamento drastico di un tenore di vita già basso e, soprattutto, precario. Il settore informale non dispone di meccanismi da utilizzare in caso di disastri naturali come la pandemia e i lavoratori del settore informale non sono stati in grado di affrontare adeguatamente il problema, precipitando nella povertà. Il tenore di vita dei lavoratori del settore informale è infatti diminuito, secondo numerose indagini a campione svolte nel Paese.
Il settore informale in Zimbabwe non riguarda solo la vendita di prodotti ortofrutticoli, il commercio e i servizi di ambulanti, ma anche l’agricoltura, e donne, bambini e giovani sono i soggetti maggiormente colpiti. Il livello di vulnerabilità e precarietà è peggiorato moltissimo a causa del limitato accesso ai finanziamenti, al credito, alla terra e ad altre risorse di importanza critica nel settore agricolo. Anche il settore informale della pesca ha subito la stessa sorte: tra i pescatori si è diffusa la paura, anche per la mancanza di informazioni sul virus. Al contempo è risultata più alta la vulnerabilità al virus nei casi di abitazioni e posti di lavoro inadeguati e affollati, di mancanza di servizi igienici e accesso limitato all’acqua potabile. Anche nel caso dei pescatori, le restrizioni ai viaggi e le misure di isolamento introdotte in risposta alla pandemia si sono aggiunte alle difficoltà che il settore della pesca stava già affrontando in tutto il Paese da molto tempo.
Nelle città dello Zimbabwe la pandemia ha aggravato i problemi di fornitura di acqua potabile, servizi igienici e gestione dei rifiuti. Il razionamento dell’acqua, l’impossibilità di acquistare prodotti chimici per il trattamento dell’acqua, l’esplosione e l’intasamento delle fognature e l’inadeguato smaltimento dei rifiuti urbani hanno evidenziato forti carenze, che costituiscono un campanello d’allarme per le autorità locali sulla necessità di adottare strategie di gestione più ecocompatibili e sostenibili.
Altri contributi di ricerca hanno rilevato come, nello Zimbabwe, le misure dei sussidi in denaro rappresentino, nel caso dei gruppi vulnerabili, un primo passo per raggiungere la sicurezza nutrizionale nella nuova normalità post-pandemia, ma non siano sufficienti, anche perché non si associano a comportamenti “virtuosi” nell’uso dei contributi, il che significa che dovrebbero essere accompagnate da un cambiamento dei comportamenti e delle norme consuetudinarie prevalenti. Ciò è particolarmente vero considerando un altro dato che emerge dalle analisi, secondo cui il contenuto nutrizionale e la fotochimica dei piccoli cereali tradizionali coltivati nelle zone aride in cui vivono fasce vulnerabili della popolazione – il sorgo e il miglio – fa ipotizzare, sebbene non vi siano prove definitive, che la presenza di quantità rilevanti di minerali, vitamine e sostanze fitochimiche negli alimenti derivati dal sorgo e dal miglio possa contribuire significativamente a potenziare il sistema immunitario umano, con benefici per la prevenzione e la cura del COVID-19, tenuto altresì conto della presenza di antiossidanti come la quercetina, la curcumina e l’acido ellagico e di polifenoli, identificati come possibili inibitori dell’infezione. Inoltre, l’alta concentrazione di amido resistente nel sorgo e nel miglio favorirebbe un rilascio ritardato di glucosio nella circolazione, con conseguente riduzione delle possibilità di patologie come il diabete e l’ipertensione. Tutto ciò dimostrerebbe che, se i sussidi in denaro erogati alle popolazioni vulnerabili nelle aree urbane e peri-urbane fossero impiegati per acquistare questi prodotti tradizionali o per coltivarli, anziché per acquistare prodotti alimentari industriali di basso apporto nutrizionale considerati segno di “modernità” e sempre più ambiti, questo gioverebbe molto alla salute e al sistema produttivo tradizionale.
Si tratta di considerazioni in ordine sparso, legate a fallimenti politici e consuetudini che aggravano sofferenze recenti e meno recenti che la popolazione, soprattutto quella più vulnerabile, ha patito e continua a patire.
Tuttavia, e questo dovrebbe valere ovunque ma in Zimbabwe e in tutta l’Africa è pratica quotidiana, ciò che dà speranza è che, soprattutto in tempi così difficili, ci sono sempre più cose da ammirare che da disprezzare nell’umanità dolente ed è lì e non altrove che, senza lirismo o paternalismo, si trovano le tracce di un destino che può riscattare da tanta ingiustizia. In Zimbabwe, questa forza di riscatto non manca. C’è per esempio un personaggio mitico, Chihera (Ezra Chitando, Sophia Chirongoma, e Munyaradzi Nyakudya Chihera hanno appena pubblicato un bel libro per la Palgrave MacMillan, intitolato Chihera in Zimbabwe. A Radical African Feminist Principle), l’epitome della donna liberata, un personaggio impregnato di spiritualità africana, metafora del rifiuto delle donne dello Zimbabwe di vivere per portare in perpetuo i fardelli generati dal patriarcato, che è una sfida costante e indomabile alle norme prevalenti. Chihera non sta zitta, ha l’audacia di parlare sempre laddove la società vuole metterla a tacere e renderla invisibile, lei è udibile e chiaramente visibile ed è solida come una roccia. Chihera è un’idea e uno spirito che proviene dal lungo passato dell’Africa, è attiva nel presente e continuerà a ispirare molti nel futuro per un mondo migliore.
Foto Credits: KB Mpofu / ILO, Attribution-NonCommercial-NoDerivs 2.0 Generic (CC BY-NC-ND 2.0) attraverso Flickr