Nel volume Female Youth in Contemporary Egypt, pubblicato da Routledge nel giugno 2022, Dina Hosni effettua un’immersione nella vita quotidiana di una nuova generazione di donne musulmane, per documentare la nascita di tendenze post-islamiste in Egitto nel contesto successivo alla rivoluzione del 2011.
Secondo l’autrice, anche se non hanno realizzato pienamente le aspettative di chi li ha innescati, gli avvenimenti del 2011 sono stati tuttavia cruciali nell’aumentare la visibilità delle donne nella sfera pubblica, attraverso una negoziazione e trasformazione dei confini tra privato e pubblico nel nuovo contesto politico, economico e sociale egiziano.
Lo studio esamina i casi di giovani donne musulmane, ex-membri di movimenti politico-religiosi come i Fratelli Musulmani, così come quelli di giovani musulmane non affiliate a nessun movimento politico-religioso. Mentre le prime sposano la religione come ideologia, le seconde abbracciano una concezione della fede come visione del mondo, “cercando di conciliare il sacro e il secolare, la religiosità e i diritti, la pietà e la libertà, i modelli locali e quelli globali”.
Nonostante questa differenza, sia le donne islamiste che quelle post-islamiste hanno sviluppato nuove forme di network e di attivismo femminile nella sfera pubblica, che hanno come denominatore comune l’obiettivo di “fare del bene” e di contribuire a costruire la società senza dipendere costantemente dallo Stato. Ciò avviene attraverso forme di dawa (in senso stretto significa invito alla religione islamica, ma è inteso come invito a qualsiasi forma di bene) o attraverso forme di carità e attivismo civico e sociale che spesso hanno inizio nel mondo digitale, per concretizzarsi successivamente nel mondo reale.
Lo studio intende mostrare come sia in corso una ridefinizione del concetto di sfera pubblica per le donne post-islamiste in Egitto, sottoponendo a scrutinio il modello della “sfera pubblica” così come è stato definito dal sociologo ed epistemologo della scuola di Francoforte Jurgen Habermas, ovvero come spazio in cui si forma l’opinione pubblica.
Nel terzo capitolo, intitolato “Le donne post-islamiste nella sfera pubblica”, Hosni offre infatti un quadro concettuale sul modello di Habermas, per poi applicarlo alla partecipazione delle donne islamiste e post-islamiste.
Secondo Habermas, la sfera pubblica si riferisce ad uno spazio intermedio tra lo Stato e il privato, il cui accesso è garantito a tutti i cittadini e dove si formano opinioni su argomenti di interesse generale, con l’intento di influenzare le decisioni statali.
La piazza Tahrir durante le proteste del 2011 rispecchierebbe il concetto habermasiano di una sfera pubblica ideale “dove i cittadini hanno dibattuto su questioni di interesse pubblico, e dove uomini, donne, laici e religiosi, si sono incontrati e hanno discusso la forma di Stato a cui aspiravano”.
Questa teoria, tuttavia, ha subito intense critiche che hanno poi spinto l’autore a revisionare le sue posizioni. In particolare, a Habermas sono stati contestati tre punti deboli: l’idealizzazione della sfera pubblica borghese, la dicotomia privato/ pubblico e infine il ruolo della religione nel dibattito privato/pubblico.
Per quanto riguarda il primo elemento, emerge dalla teoria di Habermas un’esaltazione della sfera pubblica borghese, come dominata da “maschi bianchi e proprietari”, escludendo così altre componenti sociali, come il movimento delle classi operaie o il movimento femminista.
Ritornando al contesto della rivoluzione egiziana, si nota come l’euforia e l’utopia di una sfera pubblica accessibile a tutti hanno avuto una durata limitata nel tempo, sostanzialmente fino alla presa di potere da parte degli islamisti prima e da parte dei militari successivamente, che hanno reso il discorso dominante univoco, marginalizzando le altre voci e riducendole a narrazioni concorrenti di contro-politica.
Sotto il regime dei militari le entità studiate dall’autrice, che, operano per scopi differenziati ma tutti volti a contribuire positivamente alla società, e sperimentano diverse forme di esclusione dalla sfera pubblica dominante: una emarginazione di carattere finanziario, culturale e giuridico, a causa della loro tendenza a disseminare opinioni e pratiche alternative al discorso dominante.
In particolare, i gruppi e le organizzazioni a sfondo islamico o con qualche legame con movimenti religiosi, sono penalizzati dal regime militare e dai media dominanti che tendono a dipingere qualsiasi attivismo a sfondo islamico come terrorismo, diminuendo in questo modo la loro libertà di azione. Un esempio è rappresentato da Super Muslim, una organizzazione giovanile a sfondo religioso, il cui operato è fortemente limitato dallo Stato. Secondo la testimonianza di Heba, membro di questa organizzazione: “tutto ciò che riguarda la religione adesso può essere considerato politico, e quindi terroristico”.
Ad esempio, Rahala Organization for Sustainable Development, una ONG fondata da una giovane donna e che si pone come obiettivo di rappresentare le classi svantaggiate, ha dovuto sospendere le proprie attività a causa di ostacoli burocratici e finanziari messi in atto dal regime al fine di tenere sotto stretto controllo le organizzazioni della società civile.
Per quanto concerne la dicotomia pubblico/privato, contrariamente a quanto postulato da Habermas, dal punto di vista etnografico emerge che non esiste una demarcazione netta tra privato e pubblico, per le donne oggetto di questo studio. Donne come Nermine, che si sono impegnate nel campo dell’attivismo sociale o nel campo della dawa grazie alla loro visione religiosa del mondo, che connette la loro aspirazione personale ad essere brave musulmane al dovere di assumere un ruolo attivo e positivo nella società.
Il terzo punto debole della formulazione di Habermas è il ritiro della religione dalla sfera pubblica e la sua relegazione ufficiale nella sfera privata. Negli ultimi decenni si è osservato un ruolo crescente della religione nella sfera/spazio pubblico in contesti differenti e in particolare in Egitto, dove l’ascesa dell’islamismo ha portato alla ribalta una concezione di Islam come sistema olistico e omnicomprensivo costituito da una serie di idee, valori, credenze e pratiche che permeano tutti gli ambiti della vita. Il Post-Islamismo decostruisce ulteriormente questa dicotomia “privatizzando” e “individualizzando” l’Islam promosso dalla pietà individuale e dal desiderio di essere un buon musulmano (o cittadino) nella società.
Un tema strettamente connesso al ruolo della religione nella sfera pubblica è il rapporto tra l’uso del velo e la partecipazione delle donne alla vita sociale. Il velo è sempre stato percepito come un impedimento ad una piena partecipazione della donna nella sfera pubblica. Tuttavia, le donne interpellate nell’ambito di questa ricerca vedono nel velo un elemento che facilita la loro partecipazione, perché permette loro di “accedere al mondo esterno pur rimanendo nella sfera privata”.
Un ulteriore argomento al centro della teoria di Habermas è il ruolo del “cambiamento” nella formulazione della sfera pubblica borghese. Nel contesto arabo-islamico della rivoluzione egiziana si sono delineati due sviluppi che hanno contribuito al “cambiamento” della sfera pubblica e ad un ulteriore superamento dei confini privato/pubblico, oltre alla proliferazione dell’attivismo femminile. Si tratta della simbolica relazione tra la piazza e la moschea e l’affermazione della sfera della comunicazione online.
Durante le proteste, infatti, la moschea e la piazza sono diventati due spazi di protesta politica, ma ciò che sorprende di più l’autrice è vedere questi due spazi funzionare in tandem, dopo decenni di diffidenza che ha regolato il rapporto tra i movimenti religiosi e i movimenti politici di sinistra.
“Nella maggior parte delle città dove le rivolte hanno avuto luogo, molte moschee hanno funzionato come un luogo di incontro piuttosto sicuro per i manifestanti che potevano non essere praticanti o anche non musulmani, e in molte occasioni come il luogo dove il loro malcontento politico poteva essere amplificato e affermato in sermoni e slogan urlati”.
L’altro cambiamento è rappresentato dal ruolo della comunicazione online durante i sollevamenti popolari del 2011. In questo delicato contesto, essa è proliferata diventando uno strumento molto potente nelle mani dei giovani per condividere comunicazione e informazione, sfuggendo in questo modo alla censura. In particolare, per i gruppi religiosi come Super Muslim, i social media sono essenziali per la comunicazione tra i membri, considerate le crescenti restrizioni di sicurezza.
La partecipazione delle donne islamiste e post-islamiste nella sfera pubblica è condizionata da una serie di regolamentazioni, che però assumono significati diversi, a seconda del gruppo di appartenenza. Nel caso delle donne islamiste queste regole, ad esempio l’interazione con l’altro sesso, il codice di abbigliamento in pubblico, la necessità di un accompagnatore per fornire loro protezione nello spazio pubblico, derivano da fonti esterne che possono essere lo Sheikh o un membro del movimento religioso di appartenenza.
Nel caso delle donne post-islamiste, pur mantenendo la loro identità di donne musulmane nella sfera pubblica, tendono ad attribuire una spiegazione interiore alle regole che guidano la loro interazione con l’altro sesso, il bisogno di un accompagnatore e il codice di abbigliamento. Una delle conclusioni di questo studio è che le possibilità di accesso alla sfera pubblica per le donne post-islamiste appaiono simili a quelle degli uomini.
In sostanza, lo studio demolisce una serie di stereotipi che identificano la figura della donna musulmana come persona passiva e oppressa, incapace di decidere per sé e di prendere in mano la sua vita. La ricerca dimostra come queste donne sono attive e presenti con forza nella sfera/spazio pubblico, cercando di colmare le lacune dello Stato. E anche come, spesso e volentieri, le donne musulmane sono siano classificate in un unico compartimento, trascurando le differenze di contesto, di cultura e di percezione e applicazione dello stesso credo religioso.