Il sospetto nasce dalla recente indagine dell’Alto Commissariato per la Pianificazione (HCP) che riguarda la violenza femminile contro gli uomini in Marocco. Il documento non solo rileva una prevalenza abbastanza alta di questo tipo di violenza, ma la individua anche come l’equivalente/controparte della violenza maschile contro le donne. Così facendo, l’HCP sembra cadere in un mascolinismo ingenuo ed inammissibile dal punto di vista epistemologico, mentre finora aveva dimostrato un rigore scientifico esemplare.
Ma di che cosa si tratta, esattamente?
La violenza femminile finalmente misurata
Secondo l’HCP, oltre il 42% degli uomini marocchini ha subito almeno un atto di violenza nei 12 mesi precedenti il completamento dell’indagine nel 2019, il 46% di essi nelle aree urbane e il 35% nelle aree rurali.
Questo tipo di violenza si verifica nel contesto familiare per il 12% degli uomini, che la subisce da un membro della famiglia diverso dal partner. Inoltre, il 16% risulta essere vittima di violenza femminile sul posto di lavoro, il 12% nei luoghi legati allo studio e il 10% nella sfera pubblica.
Appare quindi chiaro che nell’ambito delle relazioni intime (coniugali, prematrimoniali ed extraconiugali) è frequente la violenza contro gli uomini. Infatti, il 31% degli uomini è vittima di violenza perpetrata dalla partner: moglie, ex moglie, amante, fidanzata, compagna. Le relazioni prematrimoniali sono in prima fila, dato che la prevalenza di atti violenti sale al 54% tra gli uomini single che hanno una fidanzata o una compagna (contro il 28% degli uomini sposati). Apparentemente, la struttura del matrimonio protegge maggiormente gli uomini dalla violenza femminile.
La violenza contro gli uomini perpetrata dalla partner varia in base alle caratteristiche demografiche e socioeconomiche. L’incidenza più elevata è registrata tra chi vive in città: 33% contro il 27% delle aree rurali; tra i giovani dai 15 ai 24 anni: 61% contro il 24% nella fascia di età tra i 60 e i 74 anni; e tra coloro che dichiarano un livello di istruzione superiore: 41% contro il 24 % degli analfabeti. Sembra dunque essere un fenomeno di cui sono vittime in misura maggiore i giovani uomini che vivono in città e hanno un alto livello di istruzione.
La violenza commessa dalla partner si manifesta principalmente in forma psicologica: più del 30% degli uomini ha dichiarato di aver subito una violenza psicologica (il 32% dei cittadini contro il 27% degli abitanti delle campagne), il 26% sotto forma di comportamenti autoritari che ledono la propria libertà individuale e il 13% sotto forma di violenza emotiva.
I comportamenti femminili dominanti sono espressi principalmente attraverso la rabbia o la gelosia. La donna esercita violenza psicologica quando il ‘suo uomo’ parla con un’altra donna (43%), quando impone al marito come gestire le faccende domestiche (32%) e quando insiste in modo esagerato nel sapere dove egli si trovi in ogni momento (31%).
La violenza emotiva, invece, si manifesta principalmente con ‘il rifiuto di parlare con il proprio partner per diversi giorni’ (75%) o attraverso atti tesi a umiliare o sminuire il proprio uomo (30%).
La frequenza delle violenze fisiche e/o sessuali inflitte dalla partner rimane invece molto bassa (2%). Lo stesso vale per la violenza economica, che colpisce meno dell’1% degli uomini.
Questa indagine dell’HCP del 2019 ha coinvolto un campione di 12.000 donne e ragazze e 3.000 uomini e ragazzi, di età compresa tra 15 e 74 anni. Lo studio deve senz’altro essere accolto favorevolmente, in quanto colma un vuoto scientifico e istituzionale sulla violenza femminile contro gli uomini. Questo fenomeno, infatti, è rimasto a lungo inesplorato, vittima di una triplice occultazione. L’occultazione primaria è sociale: la violenza femminile è socialmente meno visibile della violenza maschile contro le donne in quanto un uomo abusato da una donna cessa di essere un uomo allo sguardo patriarcale dominante, sguardo che è interiorizzato dall’uomo abusato che si trova così costretto al silenzio.
La seconda occultazione è quella delle femministe marocchine che preferiscono evidenziare la violenza contro le donne piuttosto che la violenza delle donne (contro gli uomini), o addirittura diffondere l’idea del monopolio della violenza da parte degli uomini. Nel presentare questa indagine HCP, perfino UN-Women Marocco ha omesso di dire che c’è un focus anche sulla violenza femminile contro gli uomini.
La terza occultazione è quella degli studi marocchini sul genere che non studiano la violenza perpetrata dalle donne, non essendo questo tipo di violenza basata sul genere, cioè su un rapporto di potere delle donne sugli uomini.
Si può quindi parlare di una complicità oggettiva stabilitasi tra la popolazione (silenzio sociale), l’agenda femminista militante, l’agenda della ricerca accademica e l’agenda delle politiche pubbliche (che istituzionalizzano l’approccio di genere) per oscurare l’esistenza di una violenza femminile contro gli uomini.
Un’equivalenza epistemologicamente falsa
Certamente l’HCP non nasconde che quella contro le donne abbia maggiore estensione e gravità della violenza contro gli uomini. Infatti, se il tasso complessivo di violenza contro ragazze e donne è passato dal 62,8% nel 2009 al 57% nel 2019 (secondo le due inchieste nazionali HCP), la violenza economica è passata dall’8% al 15% e quella sessuale dal 9% al 14%. Questo aumento è allarmante se paragonato alla violenza fisica, sessuale ed economica perpetrata dalle donne contro gli uomini, statisticamente insignificante. Più precisamente, “nel contesto coniugale, se la violenza subita dagli uomini si manifesta soprattutto nella sua forma psicologica che rappresenta il 94%, quella contro le donne si distribuisce in forme diverse; 69% psicologico, 12% economico, 11% fisico e 8% sessuale” (HCP, Differenziazione della violenza tra donne e uomini e sua percezione dal punto di vista maschile, op.cit.)
Nonostante queste significative differenze fondamentali tra violenza maschile e femminile, l’HCP afferma nella sua nota che lo scopo della sua indagine è “piuttosto fare luce sul fenomeno sociale della violenza nel suo aspetto bidimensionale e di aumentarne la comprensione sia dalla parte delle vittime che dei carnefici, nella loro duplice provenienza, femminile e maschile”. Questa ingenua affermazione è epistemologicamente falsa. Un conto è voler misurare la violenza femminile sugli uomini (il che è legittimo), un conto è parlare di una doppia fonte di violenza maschile e femminile come se fossero equivalenti. In altre parole, l’HCP considera la violenza femminile contro gli uomini come violenza di genere allo stesso modo della violenza maschile contro le donne?
Ricordiamo qui che la violenza di genere è violenza basata su un rapporto di potere, il potere degli uomini sulle donne. In altre parole, mentre si può dire che le donne sono vittime di violenza di genere perché inferiori, soggiogate e dominate dagli uomini nel contesto patriarcale, non si può dire che l’uomo sia vittima di violenza femminile perché inferiore, soggiogato e dominato dalle donne in questo stesso contesto patriarcale dominante. Tale affermazione è contraddittoria, falsa e assurda. Solo la violenza contro le donne da parte degli uomini è violenza basata sul genere, cioè sulla dominazione maschile. È un tipo di violenza strutturale che è sia un elemento fondante del patriarcato sia uno strumento per il suo mantenimento e auto-riproduzione. Affermare ‘l’aspetto bidimensionale della violenza’ e parlare della ‘doppia fonte femminile e maschile della violenza’ esprime quindi un’ingenuità epistemologica o un mascolinismo inconsapevole. L’HCP accoglierebbe quindi incondizionatamente le lamentele degli uomini marocchini abusati dalle donne?
Il mascolinismo associativo degli uomini
L’HCP tende semplicemente a rendere visibile la violenza femminile in modo descrittivo e istituzionale?
Nel 2008, alcuni uomini marocchini hanno fondato una ‘Rete per la difesa dei diritti dell’uomo (Réseau pour la défense des droits des hommes)’. Un rapporto di questa rete (pubblicato il 14/02/2013) afferma che 1.700 uomini sono stati abusati dalle loro mogli nel 2012, l’80% di loro nella sola città di Casablanca. Secondo quanto riferito dal rapporto, trecentocinquanta uomini sono stati gravemente feriti dalle loro mogli con strumenti contundenti (asce, coltelli e utensili da cucina). Lo stesso rapporto afferma che le mogli sono state aiutate dai loro parenti maschi per aggredire fisicamente i mariti. In questi casi di aggressione fisica, la moglie vittima viene vendicata dalla sua famiglia. Abbiamo avuto modo di imbatterci in un caso del genere durante una delle nostre indagini nella città di Tangeri: “alla vista della sorella picchiata dal marito, con lividi e contusioni ovunque, i suoi sette fratelli hanno aggredito il marito in un caffè. Gli hanno tagliato le dita con una spada. In seguito, si sono arresi alla polizia” (dichiarazione rilasciata durante un focus group che abbiamo organizzato a Tangeri nel 2013 in A. Dialmy, Il costo sociale ed economico della violenza nei confronti delle donne, UNECA/ONU Femmes, Rapporto inedito, 2013).
A seguito della pubblicazione della nota dell’HCP nell’aprile 2021, la ‘Rete per la difesa dei diritti dell’uomo’, paladina del mascolinismo, afferma/conferma, attraverso le parole del suo presidente Abdelfattah Bahjaji, di aver raccolto denunce da più di 30.000 uomini maltrattati tra il 2008 e il 2020, oltre a quelli che li hanno contattati telefonicamente. Conferma anche che la violenza psicologica è dominante (umiliazioni di diverso tipo), soprattutto nei confronti degli uomini che hanno perso il lavoro durante la pandemia o che non hanno potuto mantenere adeguatamente la propria casa. Bahjaji sottolinea anche che “molti uomini hanno perso il lavoro semplicemente per non aver assecondato le richieste della loro superiore sul posto di lavoro” (dichiarazione al sito Le360 pubblicata il 25/04/2021, ). Un modo per dire che anche le molestie sessuali femminili sono ricorrenti.
Nel 2017, è stata fondata a Meknes un’altra associazione maschile, la ‘Associazione per la difesa dei mariti vittime di violenza domestica’, il cui presidente Fouad El Hamzi ha affermato in una dichiarazione che “i mariti vengono picchiati, umiliati, sono vittime di atti di stregoneria e di ricatti economici o sessuali, ma soffrono in silenzio e non possono parlare né sporgere denuncia” (Hajar Erraji: «Mia moglie mi picchia ma lo tengo per me» ).
L’associazione sostiene inoltre di ricevere ogni mese 150 uomini vittime di violenza femminile sotto forma di insulti, percosse, stregoneria e false accuse di violenza. Alcune mogli usano anche violenza sessuale contro i loro mariti, ma l’associazione non fornisce dettagli su questo argomento. Alcune di loro, inoltre, risponderebbero ai desideri sessuali dei loro mariti solo a fronte di un compenso morale o finanziario.
In un’altra intervista, Fouad El Hamzi sostiene che “gli alimenti sono una benedizione per le donne e una prigione per gli uomini”. Ritiene pertanto che pagarli a una moglie ripudiata con figli sia una violenza economica contro gli uomini. Questo assegno è previsto dal ‘Codice della Famiglia’ e il suo mancato pagamento senza giustificato motivo può portare l’uomo in prigione. La critica agli alimenti (che sono un diritto della donna) è dunque una critica al femminismo insito nel ‘Codice della Famiglia’. Rifiutare il Codice perché si stima sia ingiusto nei confronti degli uomini significa cadere nel mascolinismo.
La violenza femminile, una premessa pre-femminista
La violenza femminile (contro gli uomini) come sopra descritta non è strutturale: non è necessaria al funzionamento dell’ordine patriarcale né è integrata in una strategia femminista che cerca di minare questo ordine. Lo stesso femminismo marocchino, in tutte le sue forme, non sostiene la violenza femminile come violenza sovversiva per invertire il dominio maschile. In tutti i casi individuati dall’indagine HCP, dai rapporti delle associazioni e dai nostri stessi studi sulla violenza di genere, non possiamo considerare la violenza femminile come violenza femminista anti-patriarcale che rivendica l’uguaglianza di genere in materia di diritti. È violenza che resta confinata alla sfera domestica, individuale, periferica e contingente.
Tuttavia, l’importanza dell’indagine HCP e dei resoconti delle associazioni mascoliniste risiede, nonostante la loro ingenuità epistemologica, nella demistificazione di un’immagine sociale ancora dominante secondo cui le donne sono gentili, tenere e docili. La violenza che esse esercitano contro il proprio partner sarebbe un disturbo ormonale o psicologico che richiede sostegno e cura. Essa sarebbe quindi patologica. Nella migliore delle ipotesi, alcuni la vedono come una reazione umorale contro il dominio maschile per dire che alcune donne sono violente in reazione all’oppressione degli uomini che le dominano e le maltrattano. Era il caso della protesta femminile contro la poligamia nel Marocco precoloniale, una protesta che ricorreva all’uso di ‘astuzie’ (scene di gelosia, seduzione, magia…) per impedire al marito di prendere altre mogli. Una protesta femminile, questa, che non ha mai messo in discussione il diritto coranico del marito alla poligamia (A. Dialmy, Femminismo sufi. Racconto fassi e iniziazione sessuale, Afrique-Orient, Casablanca, 1991).
Se non è femminista, possiamo considerare la violenza da parte delle donne come una fase preliminare di un femminismo spontaneo che viene dal basso, dal vissuto della popolazione femminile, indipendentemente da qualsiasi intervento femminista organizzato e da qualsiasi impegno di attivismo femminista?
Per rispondere a questa domanda è necessario identificare un profilo delle donne marocchine autrici di violenze contro gli uomini e soprattutto contro il proprio partner. Sfortunatamente, l’HCP e le associazioni mascoliniste non forniscono informazioni sul profilo sociodemografico di queste donne né esse sono state interrogate sulla percezione delle proprie violenze ed esperienze di vita. Tutt’al più possiamo desumere questo profilo partendo da quello delle vittime maschili. Come stabilito dall’HCP, la maggioranza delle vittime di violenza femminile sono uomini giovani, che vivono in aree urbane e hanno un livello di istruzione elevato. Da ciò, e sulla base della legge sull’omogamia, possiamo presumere che le donne che perpetrano violenza contro il proprio partner appartengano agli stessi ambienti e rango sociale. Anche loro sono giovani, provenienti da un contesto urbano e con un livello di istruzione superiore. Apparterrebbero a questa categoria giovani donne attive, dotate di una certa autonomia finanziaria, di una certa ‘sensazione di potere’ non riconosciuta dall’ordine patriarcale e che si esprime proprio nella violenza verbale e psicologica (la più ricorrente) contro gli uomini, contro il partner nell’intimità dello spazio domestico e contro il collega nello spazio professionale.
Queste violenze femminili sarebbero manifestazioni contro il potere maschile, micro-libertà sottratte a questo potere. Per M. de Certeau, “l’atto violento segnala l’emergere di un gruppo. Suggella la volontà di esistere di una minoranza che cerca di costituirsi in un universo dove è di troppo perché non si è ancora imposta. La nascita è inseparabile dalla violenza” (M. de Certeau, «Il linguaggio della violenza», Le Monde diplomatique, Gennaio 1973, p. 16, ).
Ma per De Certeau questa violenza non può da sola costruire un nuovo ordine egualitario. Per lui “solo una lotta può farsi carico di ciò che la violenza si accontenta di esprimere e renderla quindi un percorso articolato su punti di forza” (Ibid.). Pertanto, si può concludere da questo approccio che la violenza femminile è pre-femminista e che non è un fine in sé: può acquistare una valenza solo nell’ambito di una lotta femminista che la sostenga, la teorizzi, la organizzi, la gestisca per farne un’arma di combattimento politico strutturato.
La violenza femminile, una forma di resilienza post-femminista
Possiamo anche presumere che le innegabili conquiste del femminismo marocchino sul piano giuridico e politico non siano riuscite né ad integrare le donne nel mercato del lavoro e garantire loro una certa autonomia economica (il tasso di partecipazione delle donne al mercato del lavoro era solo del 20% nel 2019, secondo HP), né ad arginare la violenza maschile contro le donne (62% nel 2009, 57% nel 2019). Queste percentuali svelano che le giovani laureate delle aree urbane non sono le uniche responsabili di violenza contro gli uomini. Questa violenza è trasversale e riguarda tutte le donne marocchine. Deluse da un femminismo incapace di migliorare la propria quotidianità, le donne marocchine trovano nella violenza contro gli uomini una strategia adattiva, una forma di resilienza post-femminista.
Infatti, la violenza polimorfa e multi-contestuale contro le donne, che è ancora consustanziale alla struttura e alla mentalità della società marocchina, provoca traumi a tutte le donne marocchine. Per affrontare i traumi causati da diversi tipi di aggressione, le donne sviluppano la resilienza come meccanismo di difesa, come strategia adattiva che le aiuta a resistere, a ristabilirsi, a riprendersi e a ricostruire un ‘Io’ minacciato. La resilienza è un modo per superare l’esperienza traumatica della violenza di genere.
Sempre più toccate dalla globalizzazione, le donne iniziano a costruirsi come individui e come ‘soggetti’, con emozioni da esprimere. I percorsi tracciati dalla cultura tradizionale marocchina, dai copioni culturali, non sono più seguiti. Nuovi valori sono ora presenti e minano i vecchi schemi di relazione maschio-femmina. Ad esempio, baciare la mano di un marito in segno di rispetto e obbedienza incondizionati e totali è una pratica ampiamente superata. Soprattutto, aggredire un uomo in reazione alla sua violenza senza incolparsi o svalutarsi è diventata una pratica sempre più comune per le donne marocchine, ed è un modo per ricostruirsi, per superare il trauma, per sentirsi potenti. Si può quindi affermare che le donne autrici di violenza sperimentino un nuovo equilibrio tra reazioni di inibizione (accettazione della violenza maschile) e reazioni di affrancatura (abuso sugli uomini). Questo equilibrio indica la nascita di un ‘Io’ femminile resiliente.
In questo processo di resilienza, il sistema familiare gioca un ruolo determinante ed efficace. L’empatia familiare per la donna è un aiuto molto importante per uscire dalla condizione di vittima. L’esempio sopra citato dei fratelli che vendicano violentemente la sorella (tagliando le dita del marito che l’ha picchiata) ne è la dimostrazione. La violenza maschile in nome della donna vittima, una violenza per procura, aiuta la sorella a uscire dal suo trauma individuale. Il trauma è stato condiviso e approvato dai fratelli stessi. Attaccare la sorella diventa attaccare i fratelli stessi, il loro onore. Punendo il marito colpevole, la sorella è stata purificata dalla macchia lasciata dall’abuso. Allo stesso tempo, l’onore della famiglia è salvo. La solidarietà familiare qui traduce una logica di clan di ordine tribale-rurale che sopravvive nel cuore stesso della nazione. In questo caso, la famiglia ha fornito un ambiente affettivo sicuro che ha ascoltato con empatia la storia emotiva di una sorella abusata.
La violenza femminile sembrerebbe quindi una forma di resilienza post-femminista da parte di un gruppo dominato, una strategia di adattamento all’ordine patriarcale (ancora) dominante a causa di un femminismo impotente.
Conclusione
Non è sufficiente che l’HCP affermi che la violenza maschile e quella femminile hanno ampiezza e gravità diverse. Il ramoscello della violenza femminile non può nascondere la foresta della violenza maschile. Soprattutto, va ricordato con forza che la violenza femminile contro gli uomini non si basa sul genere, cioè su un rapporto di potere. Non riflette il dominio femminile o il desiderio di rovesciare il dominio maschile. Essa è o pre-femminista, premessa di un futuro femminismo, o post-femminista, una forma di resilienza individuale e/o familiare, sostitutiva di un femminismo incapace di sradicare i traumi della violenza a catena degli uomini.
Pertanto, la prima e fondamentale sfida è concentrarsi sulla violenza di genere maschile, per combatterla in quanto sistema totalitario. E sventare così il rischio di un subdolo mascolinismo che resiste all’uguaglianza di genere con il pretesto che la violenza ‘ha una doppia fonte, femminile e maschile’.