Per un vaccino equo: la necessità di maggiore sinergia globale contro la pandemia
Il dilagare della pandemia di COVID-19 ha rappresentato una grande e multiforme sfida per il mondo intero, e lo sconvolgimento economico e sociale che ha provocato ovunque ha avuto pesanti implicazioni per la vita di un gran numero di persone.
Il prolungarsi dei lockdown ha creato milioni di disoccupati, che rischiano di trovarsi in una situazione di estrema povertà. Come già per altre crisi umanitarie, la pandemia di COVID-19 ha inoltre avuto effetti particolarmente deleteri sulle fasce sociali più povere ed emarginate, per la mancanza di mezzi finanziari, di efficace assistenza sociale, di accesso a cure mediche adeguate.
La realizzazione dei vaccini contro il COVID è avvenuta in un lasso di tempo molto ristretto, e costituisce un risultato eccezionale: i vaccini sono efficaci nel contrastare il virus e le sue mutazioni e sono in grado di rafforzare la sicurezza di tutti proteggendo dall’infezione o dalla malattia in forma grave.
Si prospetta quindi un mondo post-COVID, in cui i vaccini potrebbero assicurare un ritorno alle normali attività economiche e sociali.
Tuttavia, nonostante il lancio di una grande campagna vaccinale mondiale contro il virus, si sta delineando una profonda spaccatura tra i paesi più ricchi da una parte e quelli in via di sviluppo e a basso reddito dall’altra, proprio per quanto riguarda l’accesso e la distribuzione dei vaccini.
I paesi più ricchi hanno risorse maggiori, una migliore organizzazione e infrastrutture molto avanzate, e ciò assicura un più ampio accesso ai vaccini per i loro cittadini. Per contro i paesi poveri o in via di sviluppo devono compiere sforzi enormi in questo campo e si trovano in difficoltà nell’assicurarsi le forniture di vaccini, o nel raggiungere popolazioni che vivono in aree sperdute.
Dal punto di vista statistico, circa un quarto della popolazione mondiale ha ricevuto almeno una dose di uno dei vaccini contro il COVID-19. Tuttavia esiste una lampante disparità. La quota di vaccinazioni più alta viene registrata in Nordamerica, dove ad oggi non meno del 50% degli abitanti ha completato il ciclo vaccinale (il 59,4% in Canada e il 49,3% negli Stati Uniti). Anche l’Europa registra notevoli risultati, con circa il 39,5%, che sale al 49% nel caso dell’Unione Europea (il dato percentuale è variabile a seconda dei paesi) della popolazione che ha già ricevuto una prima dose.
Le cifre invece sono molto inferiori nei paesi a basso reddito. L’Africa ha il tasso di vaccinazioni più basso del mondo: solo una persona su 55 (circa il 1,8%) ha ricevuto la prima dose, e solo una persona su 57 ha completato il ciclo di vaccinazione.
Questo profondo divario non riguarda solo paesi ricchi e paesi poveri. Si può osservare una disparità di situazione anche tra le aree urbane e quelle rurali. Le comunità rurali rimangono indietro, in molte parti del mondo. In India, ad esempio, più di un terzo della popolazione urbana ha ricevuto una dose di vaccino contro il 12% della popolazione rurale. Una situazione simile è stata registrata anche negli Stati Uniti, dove le città sono molto più avanti rispetto alle zone rurali.
In Africa la maggioranza delle persone vive in tali aree, ed è probabile che la campagna di vaccinazione non riesca a raggiungere le zone più remote. Nelle aree rurali la gente sembra anche avere maggiori remore a farsi vaccinare, in particolare le donne, anche se a livello globale sono proprio le donne a sopportare il peso maggiore nella gestione delle famiglie, oltre a costituire la maggioranza tra gli operatori di assistenza sanitaria. L’ineguaglianza e l’inefficienza non sono i soli ostacoli all’accesso alle vaccinazioni. Il digital divide, la disinformazione e talune pratiche sociali locali sono tra le maggiori cause della riluttanza a vaccinarsi.
Gli esperti sottolineano che la vaccinazione è un “progetto collettivo”, e anche che “nessuno di noi è davvero vaccinato finché non siamo tutti vaccinati”. L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha più volte enfatizzato la necessità di ampliare il raggio delle somministrazioni vaccinale. Ma nonostante gli appelli volti far aumentare la produzione di vaccini ed a stanziare maggiori risorse finanziarie per la loro distribuzione, è tuttora evidente il gap tra paesi ricchi e paesi poveri, tra zone urbane e rurali e, all’interno di talune società, anche tra i generi.
Il programma internazionale COVAX, uno dei capisaldi del progetto ACT (Access to COVID-19 Tools Accelerator), ha come obiettivo di permettere l’accesso ai vaccini in tutto il mondo e si propone di distribuire due miliardi di dosi entro la fine del 2021. A causa della scarsità di forniture, questo target appare tuttavia difficile da centrare. A fine luglio 2021 solo 153,6 milioni di dosi erano state spedite, nell’ambito del programma. Durante l’ultimo summit del G7, le nazioni più ricche ed industrializzate si erano impegnate a fornire un maggior numero di vaccini tramite il COVAX, ma gli esperti sono scettici sul fatto che ciò sia sufficiente a permettere ai paesi più poveri di raggiungere l’obiettivo di vaccinare la maggioranza dei loro abitanti entro i prossimi due anni.
Inoltre, il trend degli aiuti allo sviluppo da parte dei paesi industrializzati non appare molto incoraggiante: il rallentamento dell’economia e l’affermazione di talune forze politiche hanno avuto ripercussioni sulla loro attività in questo campo. Le nazioni più ricche si erano impegnate a donare almeno lo 0,7% del loro reddito nazionale lordo, ma nel 2020 soltanto sei paesi europei hanno raggiunto questo risultato. Per contro, i paesi del Sud del mondo hanno mostrato maggiore solidarietà e impegno nella cooperazione. L’India ha condiviso i propri vaccini con oltre 90 altri paesi, prima dell’insorgere della seconda ondata di pandemia.
Nella situazione di incertezza provocata dalla nuova ondata di COVID-19 è necessario accelerare la produzione di vaccini, effettuare una loro equa distribuzione, e riuscire a raggiungere i settori sociali più vulnerabili.
Una crisi senza precedenti come la pandemia di COVID-19 richiede una maggiore sinergia d’azione e un autentico sforzo multilaterale, in termini di estensione dei sostegni finanziari, di sviluppo di strategie a lungo termine per rendere disponibili i vaccini, di condivisione di proprietà intellettuali e di trasferimento di tecnologie.
Ogni orientamento di tipo protezionista, come ad esempio l’istituzione di un passaporto vaccinale, contribuirebbe a provocare una divisione globale, anziché rafforzare la solidarietà. L’India e il Sud Africa hanno chiesto al WTO (Organizzazione Mondiale del Commercio) la rinuncia ai diritti di proprietà intellettuale (IPR), al fine di contribuire all’aumento della produzione di vaccini contro il COVID-19. La loro iniziativa è stata appoggiata da numerosi paesi africani, mentre l’Unione Europea non sembra molto orientata a fornire il suo supporto.
In questo periodo stanno emergendo nuove mutazioni del virus e si affaccia il pericolo di nuove ondate pandemiche, che porteranno nuove sfide da affrontare. L’OMS ha sottolineato che per limitare il diffondersi del virus bisogna “vaccinare rapidamente e in modo equo”. La comunità internazionale dovrebbe quindi adottare misure collettive e di ampia portata, per portare aiuto a chi è più vulnerabile e rendere il processo vaccinale più inclusivo e più equo.
L’equità vaccinale è essenziale per far fronte ai problemi creati dalla pandemia di COVID e può anche contribuire, in generale, a promuovere una maggiore equità sociale e sanitaria.