Se qualcuno vuole provare a comprendere il conflitto armato in Colombia si deve porre una domanda: a quando risale? Questo quesito continua a riproporsi nei dibattiti accademici che tentano di determinare una data o un periodo di inizio del conflitto. Per fare un esempio, ci sono dubbi se abbia avuto origine negli anni Quaranta o Sessanta del XX secolo, in corrispondenza di date certe come l’omicidio di Jorge Eliecer Gaitán, candidato indipendente per il Partito Liberale nelle elezioni del 1950, il 9 aprile del 1948 (evento che provocò violente proteste, denominate bogotazo in spagnolo), oppure il bombardamento a Marquetalia il 14 giugno del 1964 da parte dell’esercito governativo (questo piccolo villaggio nel centro del paese ospitava guerriglieri liberali che avevano fondato nel 1958 una comunità senza consegnare le armi). La prima data definisce l’inizio e, a sua volta, la fine di un periodo nel quale le lotte violente tra i due partiti politici storici del paese, Liberale e Conservatore, nella prima metà del XX secolo, furono molto aspre e provocarono una spirale di violenza che pose il paese quasi di fronte ad una guerra civile.
Si può certamente considerare questa come la data della trasformazione del conflitto tra i partiti in una sorta di patto che in seguito si sarebbe stretto tra i Liberali ed i Conservatori nel cosiddetto “Fronte Nazionale”. Tale fenomeno caratterizzò il processo democratico colombiano e la storia di questi due partiti dopo il colpo di Stato compiuto dal generale Rojas Pinilla nel 1953. Inoltre, la seconda data (1964) segna la comparsa di guerriglieri non liberali come le Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia (FARC), che in seguito avrebbero aggiunto “Esercito del Popolo” (EP) al loro nome, per mostrare lo spirito politico di questa guerriglia (FARC-EP).
Nulla di tutto questo sarebbe però stato possibile senza lo sviluppo e il montare di una violenza che si trascinava ormai da decenni, molto prima del Bogotazo o di Marquetalia, e che era stata scatenata da quella che alcuni accademici hanno denominato “una guerra senza nome”. D’altro canto, ci sono coloro che considerano la mattanza dei bananieri nel 1929 come l’origine del conflitto armato, in quanto a partire da quel momento si stabilì una “egemonia liberale” che sarebbe stata combattuta dai conservatori con la lotta armata e politica. Ci sono altri che vedono nella guerra dei mille giorni tra la fine del XIX secolo e l’inizio del XX il punto critico nella nascita dello storico confitto armato colombiano, che illustra questa lotta armata per il potere tra liberali e conservatori.
Ma queste interpretazioni sono prive di una visione ad ampio raggio che consenta di contestualizzare ognuno di questi episodi nell’idea per cui il conflitto armato ha caratterizzato fin dalla nascita il paese divenuto stato indipendente. Attraverso questa prospettiva, si capirebbero meglio le difficoltà storiche che questo conflitto porta con sé e per quale ragione, nonostante si sia firmato “un accordo per l’interruzione del conflitto armato” con la FARC-EP, il conflitto continui e sia ancora più duro in alcune zone del paese, senza che ci siano grandi prospettive di miglioramento.
Una prima costante è la lotta armata per il potere politico, vale a dire la violenza strutturale, perché nella stessa configurazione dello stato colombiano, nel 1821 o in concomitanza con la promulgazione di quella che si può considerare la prima Costituzione del paese (alla fine della guerra di indipendenza), la lotta per il potere politico per mezzo delle armi segnò il modello che avrebbe caratterizzato questa società per i due secoli successivi. Questa lotta fu sanguinosa e comportò che i governanti del paese, subito dopo l’indipendenza, fossero gli stessi generali che avevano combattuto contro il colonialismo spagnolo. In questo contesto, nel XIX secolo il più grande onore era essere militare o avere qualcuno della famiglia nell’esercito, perché questa era la principale attività che consentiva la mobilità sociale. A quell’epoca, la casta militare si confondeva con i proprietari terrieri, come dimostra molto bene il caso di Simon Bolivar, un proprietario terriero che, oltre ad essere il liberatore, finì per diventare il primo presidente della Repubblica (anche se, poco prima di morire, aveva subito un attentato terminando i suoi giorni in solitudine ed in bancarotta, come racconta Gabriel García Márquez nel romanzo “Il generale nel suo labirinto“).
In alcuni periodi del XIX secolo si concedeva ai civili di prendere le armi, quando lo Stato era ancora molto debole ed erano molto difficili la comunicazione ed i trasporti all’interno del territorio. La debolezza dello stato in quest’epoca si traduceva in due aspetti: le lotte interne per il potere tra le fazioni politiche, in particolare tra Santander e Bolivar, e lo scarso sviluppo dell’industria, mentre in Europa e negli Stati Uniti era in pieno svolgimento la rivoluzione industriale. Ciò spiega perché le principali attività economiche del paese fossero in campagna. Le élite colombiane del XIX secolo avevano enormi proprietà terriere e si dedicavano all’agricoltura ed all’allevamento del bestiame, senza uno stato forte che le difendesse. Per questo si armavano e, alle volte, entravano in politica. Questa situazione portò, alla metà del XIX secolo, alla formazione di partiti politici, concentrando nel gruppo dei grandi proprietari terrieri ben tre fattori chiave di potere: quello economico, politico e militare. I proprietari terrieri si resero protagonisti di conflitti civili armati per tutto il XIX secolo, culminati nella “guerra dei mille giorni”: un conflitto tra le forze dello stato con i conservatori che comandavano l’esercito ed i liberali impegnati nella guerriglia.
In questo secolo si costituirono il partito conservatore e quello liberale, che si distinguevano forse per un unico elemento chiave, secondo quanto afferma David Bushnell (2017): la visione del ruolo della religione nello stato, o in altre parole la laicità dello stato. Anche tra chi promuoveva la laicità si crearono fazioni contrapposte, golgota e draconiani, perché non esisteva una disciplina o identità di partito consolidata. Per questa ragione, accademici come David Mercado hanno detto che in Colombia non ci furono molti partiti nei secoli XIX e XX, ma solo uno, l’élite creola.
Questa era la situazione in Colombia all’inizio del XX secolo, che culminò in un conflitto armato che arrivò presto all’apice. Fu un susseguirsi di fasi di lotta armata per il potere politico e periodi di elezioni, mentre si definivano i nomi ed i partiti di coloro che avrebbero governato il paese, senza che tutto ciò cambiasse le caratteristiche strutturali della società caratterizzata da una economia poco industrializzata, basata sulla presenza dei grandi latifondisti. Il paese, per un certo periodo, fu il primo esportatore al mondo di caffè. D’altra parte, la violenza strutturale divampò in questo secolo e fu considerata addirittura “tollerabile”. Allo stesso modo, erano comunemente utilizzate le armi da parte dei civili membri di organizzazioni politiche, come i noti “uccelli”, banda criminale del partito conservatore a metà del XX secolo (su questo argomento Gustavo Álvarez Gardeazabal ha scritto l’importante romanzo “Condores no entierran todos los días” – I condor non seppelliscono ogni giorno-, portato al cinema da Francisco Norden).
In questo contesto ebbe luogo l’omicidio di Jorge Eliecer Gaitán, che aveva studiato in Italia ed era stato influenzato da Enrico Ferri, professore di diritto penale. Questo politico liberale era stato vicino al socialismo e, nello stesso giorno della sua morte, si concludeva a Bogotá la riunione della Conferenza Panamericana, associazione che in seguito avrebbe dato origine all’Organizzazione degli Stati Americani (OEA) e nella quale la maggior parte dei paesi sotto l’influenza degli Stati Uniti voleva impedire il diffondersi del comunismo. Sempre nello stesso giorno, Gaitán aveva un appuntamento con Fidel Castro. Un altro aspetto poco ricordato nelle analisi del suo omicidio è la relazione tra le forze internazionali del blocco occidentale: in particolare gli interessi degli Stati Uniti furono determinanti nell’isolare l’influenza del comunismo in America Latina.
A seguito di questo omicidio si sviluppò nella società colombiana una spirale di violenza che portò ad un colpo di Stato, che in seguito sarebbe stato rimpiazzato da un accordo tra il partito liberale e conservatore per alternarsi al governo del paese per periodi uguali, il che chiuse le porte ad altre alternative politiche come le idee socialiste e comuniste. Il risultato fu la formazione di movimenti di guerriglieri, liberali/social democratiche (tra le altre, un’organizzazione paramilitare rivoluzionaria di sinistra come M-19 e organizzazioni non liberali, come FARC, ELN ed alcune altre), che si sarebbero disputate il potere politico con le armi e l’illegalità.
A questo cocktail occorre aggiungere un altro ingrediente essenziale, il narcotraffico, che proprio nella seconda metà del XX secolo appare con tutta la sua forza nel paese, rendendo questo “sancocho” (zuppa tipica colombiana) esplosivo. La nuova attività economica illegale trovò origine nella campagna ed arrivò in città con il micro traffico. Allo stesso modo si svilupparono gruppi armati che controllavano questa attività, i famosi cartelli, tra i quali quello di Medellin e quello di Cali, il primo capeggiato da Pablo Escobar e il secondo dai fratelli Rodríguez Orejuela. In principio questi gruppi non avevano una chiara aspirazione politica, ma a poco a poco il proibizionismo internazionale, ed in special modo il ruolo degli Stati Uniti, fecero si che imponessero il loro potere economico nella vita politica nazionale e tentassero di convincere il paese a consentir loro di gestire il denaro a proprio piacimento, senza interferenze dello stato.
Infatti Pablo Escobar fu eletto parlamentare in Colombia per il Partito Liberale. Però l’efficacia di questa linea durò poco e presto scoppiò una guerra tra le forze dello Stato, insieme ad altre bande criminali (soprannominate PEPES, Perseguidos por Pablo Escobar, letteralmente i Perseguitati da Pablo Escobar) contro il cartello del narcotraffico che si sarebbe sciolto alla morte del “capo”, senza che però si interrompesse il traffico della droga né tantomeno la sua relazione con il potere politico in Colombia. In questo contesto la campagna, le città, la guerriglia, i partiti politici, la cittadinanza e lo Stato ebbero un rapporto strutturale con il narcotraffico in Colombia, tanto come vittime (fu il caso di molte famiglie che videro morire propri membri nel corso di attentati, sia nelle città che nelle zone rurali) o come attori principali dell’attività, come nel caso dei cartelli, le guerriglie e gli altri gruppi armati coinvolti.
Molti proprietari terrieri decisero allora di prendere le armi e difendere le proprie terre, vedendo che lo stato non era capace di fermare la guerriglia che cercava di assumere il controllo in diverse zone del paese. Ciò spiega perché alcuni proprietari di aziende agricole che si dedicavano alla produzione di beni del settore primario, il più importante all’epoca in Colombia, fondarono associazioni per proteggersi dalla guerriglia, il che portò a controllare aree del territorio nelle quali si produceva droga, mascherando come lotta antirivoluzionaria l’intento di ottenere profitti da parte di questi gruppi, che in seguito furono definiti come paramilitari.
Dall’altra parte, con la scusa di unire gli sforzi contro i guerriglieri, le forze statali furono complici di questi nuovi gruppi armati illegali nel compiere massacri, torture ed altre gravi violazioni dei diritti umani contro la popolazione civile, in particolare anche contro molti studenti, difensori dei diritti umani e politici. I paramilitari avevano l’obiettivo di assumere il controllo delle zone rurali in cui avevano influenza.
L’escalation violenta arrivò ad un culmine, eccessivo anche nella storia colombiana, quando nel 1985 ci furono ripetuti assalti al Palazzo di Giustizia durante i quali l’esercito attaccò con carri armati l’edificio della Corte Suprema di Giustizia, perché i guerriglieri del M-19 avevano imprigionato lì membri togati della Corte Suprema. Quello di cui si parla poco nelle pagine di storia colombiana è che, nello stesso giorno dell’attacco, si doveva decidere nella Corte dell’estradizione di narcotrafficanti: questo episodio rappresenta dunque molto bene i rapporti tra droga, conflitto armato e politica in Colombia. Il cocktail era esploso e non sembravano esserci soluzioni. Furono assassinati membri di partiti politici che si erano smobilitati o che proclamavano come prioritario il valore della pace o, comunque, alternative diverse dagli interessi delle élite tradizionali o dei trafficanti di droga. È quanto avvenne ai membri del nuovo partito Unione Patriottica (c’è infatti una condanna contro lo stato colombiano da parte della Corte interamericana dei diritti umani e c’è un’altra condanna per sparizioni forzate, ad opera della forza pubblica, di persone che avevano lasciato vive il Palazzo di Giustizia nell’assalto dell’M-19) o del partito liberale stesso. In questo contesto, fu istituito un movimento cittadino attorno a una nuova costituzione, che alla fine permise di lasciarsi alle spalle una carta che aveva più di 100 anni e che era stata usata per mantenere il potere delle élite.
Così, nel 1991, pochi mesi dopo la caduta del muro di Berlino, fu creata una nuova Assemblea Costituente nel paese, che avrebbe permesso di aprire gli spazi della democrazia in Colombia, macchiati dal sangue di ex combattenti, guerriglieri liberali, cittadini ordinari e membri dell’esercito. Tuttavia, la particolarità di questa Assemblea Costituente è che non ha aperto spazi di deliberazione per i guerriglieri non liberali e, di fatto, il governo ha bombardato il campo principale delle FARC nelle stesse date in cui l’Assemblea stava costituendosi, evidenziando chiaramente l’intenzione dello Stato di continuare a combattere contro coloro che non avevano abbracciato l’ideologia liberale.
La nuova Costituzione, che attualmente governa il paese, è in gran parte un riflesso di quegli anni di confusione e tumulto, perché contiene un catalogo di diritti tipici di una socialdemocrazia, sebbene istituisca un sistema economico neoliberista con alcuni strumenti (molto poco usati) di interventismo statale. In questo modo, la materializzazione dei diritti in Colombia è stata soggetta al modello economico neoliberista, cosicché sebbene una “rivoluzione dei diritti” sia stata attuata nella Costituzione, in realtà poco o niente si è davvero concretizzato.
Questo perché la gestione dell’economia non ha consentito progressi significativi in materia sociale, mentre ancora oggi, in pieno XXI secolo, l’industrializzazione ha avuto corso solo in parte in Colombia. Pertanto, come parlare della democrazia moderna in un paese non industrializzato? Come può votare in modo informato un cittadino che non ha accesso alle risorse di base perché è isolato nelle campagne, dove convive con la violenza e l’economia illegale? Allo stesso modo, come può un’economia basata sul petrolio svilupparsi continuando a trascurare l’industrializzazione di molti altri settori? Fondamentalmente, come può esserci una democrazia moderna in un Paese che concentra la sua ricchezza nelle mani di pochi che dispongono di grandi estensioni di terre improduttive, dove le élite combattono per mantenere lo status quo? È impossibile sviluppare una democrazia in buona salute in questo contesto. In questo senso, i gruppi armati illegali hanno approfittato della debolezza e della complicità dello Stato per mantenere un conflitto armato che ha lasciato sul terreno più di 8 milioni di civili direttamente colpiti dal 1985, secondo il Registro nazionale unico delle vittime, con il tasso di sfollati interni più alto nel continente e, forse, nel mondo.
D’altra parte, l’accordo di pace con le FARC è stato possibile solo grazie alla volontà politica di una élite che aveva capito che i cambiamenti che il Paese richiedeva per funzionare nel contesto della globalizzazione non sarebbero stati raggiunti con un conflitto armato così radicato nella società. È stato, cioè, necessario negoziare per concordare su come gestire un paese di fronte all’apertura economica globale e, così facendo, sconfiggere definitivamente la più antica guerriglia del paese. Si può anche dire che con questo accordo si sono chiuse le prospettive del comunismo in Colombia. Tuttavia, il gruppo politico dell’ex presidente Santos che non riusciva a garantirsi il potere e, con esso, le vecchie élite che avevano mantenuto il controllo politico di gran parte della popolazione per anni – sulla base di strategie di inganno attorno alla presunta lotta contro il traffico di droga e il terrorismo, oltre che in nome della lotta al comunismo e, a quel che sembra, comprandosi i voti al momento delle elezioni – sono riusciti a riconquistare il potere e ridefinire i nuovi schemi di azione politica nel periodo post-conflitto.
In questo contesto, un nuovo aspetto della lotta politica contemporanea in Colombia è la battaglia per assicurare la giustizia e la verità sul conflitto, con istituzioni create a tale scopo come il Centro nazionale per la memoria storica, la Commissione per la verità e la Giurisdizione Speciale per la Pace, che il partito governativo vuole smantellare o modificare. Un altro interesse chiave dell’attuale governo è quello di condurre l’economia in modo tale che il potere continui a essere in mano a pochi gruppi economici che l’hanno sostenuto, come banchieri, grandi proprietari terrieri e, forse, trafficanti di droga.
Alla luce di tutto questo, forse, è possibile capire perché le Nazioni Unite nel febbraio di quest’anno abbiano criticato la condotta da parte del governo colombiano nella gestione del post-conflitto, oltre al fatto che ci sono sia fotografie di presidenti ed ex presidenti del paese insieme a noti trafficanti di droga, che prove di passaggi di denaro proveniente dal traffico di droga e destinato ad acquistare voti, soprattutto nelle zone rurali, in occasione delle campagne elettorali. Tutto questo per dire che il rapporto tra potere politico, élite economica, traffico di droga e ruralità è tutt’altro che insolito e risolto. In Colombia, purtroppo, il rapporto tra armi, voti e terra persiste ancora.
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