Costa d’Avorio: i conflitti legati alle elezioni. I timori per il 2020 e i possibili rimedi
A partire dal 1989, contemporaneamente alla caduta del muro di Berlino, un vento di cambiamento e di riforme democratiche prese a soffiare anche in Africa, dando vita a fenomeni di pluralismo partitico in molte nazioni, compresa la Costa d’Avorio.
Nel 1990 gli ivoriani parteciparono infatti alle loro prime elezioni pluripartitiche, che vedevano in lizza Felix Houphouet Boigny – presidente del Partito Democratico della Costa d’Avorio (PDCI), padre fondatore della nazione ivoriana e fino a quel momento unico candidato – e Laurent Gbagbo, presidente del Fronte Popolare Ivoriano (FPI). Boigny vinse le elezioni, ma morì nel dicembre del 1993 senza portare a termine il mandato. In base all’articolo 11 della Costituzione ivoriana Henri Konan Bédié, all’epoca presidente dell’Assemblea Nazionale, assunse la presidenza per garantire la continuità politica fino al 1995.
Le elezioni del 1995 videro il presidente uscente Bédié riportare la vittoria sul candidato del Partito Ivoriano dei Lavoratori (PIT), Francis Wodié Queste elezioni furono boicottate da Laurent Gbagbo per motivi di parzialità da parte dell’istituzione organizzatrice (ministero dell’interno) e da Alassane Ouattara per il rifiuto della sua candidatura come non rispondente ai criteri della legge elettorale. Neanche il presidente Bédié riuscì a terminare il suo mandato, a causa del colpo di stato compiuto dal generale Robert Guei il 24 dicembre del 1999.
Il secondo caso di elezioni contestate ebbe luogo nel 2000, quando erano candidati Laurent Gbagbo e il generale golpista Robert Guei. Dopo lo spoglio dei primi risultati, il generale Guei si autoproclamò presidente. Gbagbo chiese allora ai suoi sostenitori di scendere in piazza, e le successive manifestazioni lo portarono al potere. Ma, a sorpresa, Alassane Ouattara, presidente del partito Ressemblement des Républicains (RDR), mobilitò alla protesta anche i militanti del suo partito con l’intento di insediarsi. Questa seconda ondata di manifestazioni, rimasta senza successo, causò numerose vittime, tra cui la fossa comune dei 57 morti di Yopougon.
Dopo un primo fallito tentativo di colpo di stato (detto della “Mercedes nera”) nel 2001, un secondo tentativo – parimenti fallito – effettuato nel settembre del 2002 si trasformò in una rivolta militare durata otto anni, guidata da Guillaume Soro. La rivolta provocò più di 300 morti (Human Rights Watch, Le nouveau racisme) e rivendicava principalmente la mancata partecipazione di Ouattara alle elezioni del 2000, e l’esasperazione per le discriminazioni religiose ed etniche verso le popolazioni della parte settentrionale del Paese.
Una terza tornata elettorale, anch’essa segnata da contrasti, si svolse nel 2010, dopo varie negoziazioni e accordi tra le autorità al potere e i ribelli. I candidati principali erano l’allora presidente Gbagbo, Bédié e Ouattara. Nessun candidato ottenne la maggioranza assoluta al primo turno, e quindi una coalizione denominata RHDP (Rassemblement des Houphouetetistes pour la Democratie et la Paix) – già formatasi nel 2005 tra “eredi” di Boigny, e guidata da Ouattara – si propose agli elettori per cercare di scalzare dal potere Gbagbo. Al secondo turno la Commissione elettorale indipendente (CEI) ed il Consiglio costituzionale annunciarono risultati contrastanti. La crisi provocata da quelle elezioni fece segnare il grave bilancio di oltre 3.000 morti (Human Rights Watch, ottobre 2011).
Dal 2011 in poi, Alassane Ouattara, leader del partito uscito vincitore dai confitti postelettorali e dalle elezioni del 2015, ha governato la Costa d’Avorio in un clima politico pacifico. Tale atmosfera di quiete è stata dovuta alla «giustizia del vincitore» esercitata dopo la crisi, e dall’esistenza di un esercito forte, che ha dissuaso le mobilizzazioni politiche. Tuttavia, negli ultimi anni i ranghi dell’opposizione si sono infoltiti, col ritiro del PDCI dal RHDP e col ritorno di Guillaume Soro (numero due nell’ordine di successione al potere nel periodo 2011-2016), che attualmente si presenta come nuovo oppositore politico.
In considerazione dei tumulti avvenuti nel passato, l’annuncio da parte dell’attuale presidente Alassane Ouattara di nuove elezioni, previste per l’ottobre del 2020, desta quindi preoccupazione tra la popolazione ivoriana. I timori aumentano se si analizza l’attuale situazione pre-elettorale: la fine della coalizione, con l’uscita del PDCI dal RHDP; la posizione dissidente di Guillaume Soro, un tempo alleato di Ouattara ma ora all’opposizione ; le riforme della costituzione; la scelta del candidato della RHDP per il 2020, per la decisione di Ouattara di non presentarsi alle elezioni, annunciata il 5 marzo 2020. Tutto ciò provoca una fiume di commenti e di discussioni tra i partiti della coalizione RHDP. Inoltre la lentezza nelle procedure di registrazione nelle liste elettorali può far nascere sospetti di manipolazioni. Se a tutto ciò si aggiunge la macchinosità del procedimento elettorale stesso, le probabilità di conflitti nella tornata del 2020 sono notevoli.
La manipolazione del procedimento elettorale è uno degli strumenti spesso utilizzati dai regimi autoritari per mantenere il potere. Le tattiche impiegate comprendono la frode elettorale vera e propria, l’inserimento di schede contraffatte nelle urne, le irregolarità nelle procedure di registrazione degli elettori, l’applicazione non omogenea della legge elettorale o comportamenti scorretti nei confronti di determinate fasce di elettori. Inoltre, nelle società multietniche come la Costa d’Avorio, in cui esiste un divario di rappresentanza politica tra i gruppi maggioritari e le minoranze, l’annuncio di frodi elettorali può provocare facilmente disordini.
Nonostante ciò, è possibile immaginare qualche soluzione per evitare o risolvere i conflitti che potrebbero nascere da eventuali brogli elettorali, e quindi attenuare le preoccupazioni del popolo ivoriano, traendo spunto da quel che è avvenuto altrove.
In primo luogo, la società civile dovrebbe manifestare, per esigere dalla classe politica tutta di avere elezioni pacifiche. Per società civile si intende l’insieme di organismi come i sindacati, le Ong, i rappresentanti di gruppi tradizionali e le organizzazioni religiose, cioè emanazioni della popolazione ivoriana i cui membri rischiano la vita durante i tumulti elettorali.
Sarebbe anche necessario che i partiti all’opposizione si unissero compatti nel chiedere trasparenza delle procedure di voto, al fine di evitare conflitti successivi all’esito delle consultazioni. L’alleanza dei partiti d’opposizione si è dimostrata efficace nel contrastare i regimi autoritari, come ad esempio nel caso del Kenya nel 2002, con la National Rainbow Coalition (NARC) una coalizione composta da 14 partiti politici che mise fine a 24 anni di dominio dell’unione nazionale africana del Kenya (KANU).
In secondo luogo, gli organismi elettorali dovrebbero illustrare agli elettori tutto il complesso del procedimento elettorale, ovvero l’insieme delle norme, delle istituzioni e dei soggetti che ne fanno parte. Va stabilito con chiarezza quale sia l’istituzione o l’organo abilitato a proclamare i risultati definitivi, poiché sono in gioco l’equità delle elezioni e la legittimità del candidato eletto.
Il procedimento elettorale è complesso, e si svolge in più fasi. Torres e Diaz (2015) lo dividono in tre momenti distinti: la formazione degli organismi di regolamentazione e delle norme, l’applicazione delle norme stesse, e la soluzione di conflitti o divergenze. Due sono le categorie di attori implicati nella formulazione e promulgazione dei regolamenti elettorali: legislatori e magistrati. Una volta che i regolamenti elettorali sono stati adottati, gli organi elettorali dotati di funzioni amministrative e giudiziarie devono insediarsi per vegliare sulla loro applicazione. In Costa d’Avorio l’organismo preposto è un ufficio elettorale indipendente, denominato Commission Electoral Indépendante (CEI). La commissione deve garantire la trasparenza di tutto il procedimento elettorale, è responsabile nei confronti del legislatore e dell’opinione pubblica, e deve promuovere la diffusione delle informazioni e l’educazione civica degli elettori. Tra gli attori coinvolti nella soluzione dei conflitti ci sono i partiti politici ed anche i candidati che desiderano contestare le decisioni amministrative. Va sottolineato che i magistrati elettorali hanno il potere non solo di effettuare un riesame dei risultati delle elezioni, ma anche di invalidarne il risultato.
In alcuni paesi latinoamericani, come ad esempio in Messico, nel caso di contestazioni elettorali i risultati vengono sottoposti al vaglio di autorità regionali competenti in materia di diritti umani (Torres e Diaz, 2015) e sono considerati validi solo dopo la pronuncia da parte di un tribunale elettorale o di un comitato regionale di revisione. Ciò permette di proteggere le parti lese e di emanare decisioni vincolanti per gli organi elettorali statali.
In terzo luogo, infine, si ipotizza da più parti che il passaggio da un sistema presidenziale, se non presidenzialista, a uno di tipo parlamentare possa contribuire ad evitare o ridurre i rischi di confitti postelettorali diluendo il processo elettorale in una prima tappa di elezione dei candidati locali e poi in quella del capo del governo nazionale. In ogni caso, non si tratta di cercare soluzioni di architettura procedurale ed elettorale in sé, quanto di perseguire obiettivi di reale trasparenza, responsabilizzazione e un processo politico di riconduzione dei conflitti nell’ambito di una fisiologica contrapposizione parlamentare e politica e di una equilibrata negoziazione negli ambiti istituzionali deputati.
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