Le variazioni climatiche, come l’andamento delle precipitazioni nei diversi luoghi e in periodi di tempo diversi, rappresentano un rischio particolare per le comunità rurali di piccoli proprietari terrieri e per i pastori, la cui sopravvivenza è legata al clima per effetto di uno stile di vita che segue i cicli della natura.
Tra i paesi che soffrono di siccità e inondazioni provocate dalla variabilità e dal cambiamento climatico, l’Etiopia è uno di quelli più vulnerabili. Le pianure dei woreda (distretti) della zona di Bale, nella regione di Oromia, in Etiopia sudorientale, rimangono tra le aree di emergenza più acute, principalmente a causa della ricorrente siccità che colpisce la zona da decenni, rendendola uno dei i 290 woreda affetti da insicurezza alimentare del paese, destinatari del programma denominato Rete di sicurezza per la produttività (Productive Safety Net Programme, PSNP).
Alla luce delle informazioni disponibili esiste un limitato numero di studi sull’area in esame, tra cui una ricerca che evidenzia molte lacune nel livello di consapevolezza degli agricoltori e nei meccanismi di risposta all’emergenza nei woreda di Agarfa e Sinnana, nella zona di Bale.
Un altro aspetto chiave che ci ha spinto a svolgere una ricerca in questo ambito è che i numerosi studi sulle conseguenze della variabilità climatica in termini di vulnerabilità e sui mezzi di sostentamento e sui meccanismi di risposta sono stati fin qui condotti quasi sempre a livello macro, focalizzandosi molto meno sulla vita quotidiana nella specificità di contesti territoriali e sociali molto circoscritti, approfondendo le strategie concretamente messe in campo e cosa pensino oggi di questi problemi gli agricoltori e allevatori.
Per colmare tali lacune, la nostra è concepita come una ricerca di microlivello, allo scopo di valutare la vulnerabilità delle comunità di pastori agli shock indotti dalla variabilità climatica, identificando allo stesso tempo i meccanismi di risposta adottati dalle comunità rurali per sopravvivere nelle aree aride e semiaride della zona di Bale.
L’area oggetto di studio è situata in Etiopia sudorientale, all’interno dei confini amministrativi dei woreda di Rayitu, Guradamole e Dawe Qachen: in pratica, siamo nell’entroterra dell’Etiopia.
Definita l’area, lo studio è stato condotto selezionando sei associazioni di contadini (Peasant Associations, PAs) nei tre woreda in esame.
Per raggiungere questi obiettivi sono stati raccolti dati da fonti primarie e secondarie. I dati primari sono stati assemblati utilizzando strumenti tra cui sei database geospaziali fondamentali (Fundamental Geospatial Data, FGDs), 50 interviste condotte con funzionari di agenzie per lo sviluppo ed altri esperti e 436 questionari, utilizzati per un sondaggio a campione tra le famiglie di pastori. In altre parole, lo studio ha utilizzato un campione totale di 486 partecipanti, applicando una combinazione di tecniche di campionamento probabilistico (probability sampling) e non probabilistico (purposive sampling). Inoltre, per analizzare le variabili dipendenti in sede di analisi dei dati sono stati applicati strumenti di statistica descrittiva quali la frequenza, la frequenza cumulativa, le percentuali e le medie.
Quali sono i risultati emersi?
Per quanto riguarda la vulnerabilità al clima, il 2,75% delle comunità agropastorali ha dichiarato che i rendimenti degli ultimi dieci anni sono aumentati, mentre il 3,67% ritiene che sia un dato difficile da stimare nel corso degli anni. D’altro canto, ben il 75,52% e il 15,14% delle comunità agropastorali hanno risposto rispettivamente che i rendimenti degli ultimi dieci anni hanno mostrato grandi variazioni, oppure che sono diminuiti.
La maggioranza degli intervistati ha confermato che la variabilità e le oscillazioni climatiche nel corso degli anni sono divenute le sfide principali nell’area, per effetto delle variazioni che causano nella produttività del bestiame e delle colture.
Di conseguenza, il 77,52% delle persone delle comunità agropastorali ha risposto che vi è stato un declino sia della produzione di bestiame che di quella agricola, contro solo un 22,48% (circa un centinaio di persone) che ha una diversa opinione.
Per quanto riguarda le cause della diminuzione della produzione agricola, su un totale di 338 partecipanti delle comunità agropastorali che hanno risposto affermativamente, 285 intervistati e con essi l’84% degli agenti di sviluppo ritengono che la variabilità climatica sia la causa principale di instabilità nella produttività del bestiame e delle colture nel corso degli anni.
È stato anche chiesto quali parametri climatici potessero influenzare in maggior misura i rendimenti agricoli. La gran parte degli intervistati ha indicato nelle precipitazioni e nelle temperature i due fattori chiave. In particolare, quasi la totalità (92,28%) delle risposte delle comunità agropastorali e il 70% degli esperti e delle agenzie per lo sviluppo rurale hanno ribadito questo concetto, mentre il 4,21% delle comunità e il 30% degli esperti intervistati hanno incluso il gelo tra i fattori climatici determinanti.
In linea generale, questo conferma che nel corso degli anni le precipitazioni e le temperature svolgono effettivamente un ruolo determinante per la produttività del raccolto e del bestiame.
Inoltre, agli stessi 263 intervistati che considerano le precipitazioni e le temperature come parametri climatici determinanti è stato chiesto quali precipitazioni influenzino maggiormente la produzione e la produttività. Il 76,23% delle comunità agropastorali e il 46% delle agenzie di sviluppo e degli esperti rurali ritengono che le variazioni stagionali e le piogge irregolari siano i fattori di maggiore impatto sulla produzione agricola. Invece, solo una piccola minoranza (rispettivamente il 9,82% e l’8%) vede nelle oscillazioni annuali le cause della diminuzione dei rendimenti agricoli e del bestiame.
Più precisamente, circa l’8,27% delle comunità agropastorali e il 42% delle agenzie di sviluppo e degli esperti ritengono che la causa determinante della minore produttività sia stato il calo delle precipitazioni nel corso dell’anno, mentre il 5,68% degli intervistati dello stesso gruppo sostiene che il minor rendimento sia dovuto all’intensità delle precipitazioni e dei temporali estivi; infine la maggioranza, pari al 76,23%, considera che la causa vada cercata nelle variazioni stagionali e nell’irregolarità delle piogge.
Dal punto di vista generale, si può comprendere come la variabilità del clima possa influenzare positivamente o negativamente l’agricoltura, le colture, la produzione di bestiame e la produttività in particolare. Il risultato delle interviste e i dati relativi alle discussioni condotte con la tecnica dei Focus Group – in pratica, la discussione informale e apparentemente destrutturata di una serie di argomenti condotta da un moderatore con un piccolo gruppo di soggetti informati dei fatti e disposti a collaborare, che condividono e a confrontano le proprie opinioni – confermano che il clima nell’area di studio mostra una forte variabilità, visto che la maggior parte dei principali intervistati ha affermato che il clima è stato instabile.
Il risultato del sondaggio mostra che la percentuale più alta degli intervistatistima che le tendenze del clima a livello locale varino spesso. Solo il 7,57% degli intervistati ritiene che le condizioni climatiche a livello locale siano migliorate.
Per quanto riguarda il reddito percepito dalle comunità rurali per i meccanismi di risposta alla vulnerabilità climatica, meno di un terzo (il 31,82%) lo giudica sufficiente e solo l’1,77% considera che sia più che sufficiente per mantenere la famiglia per tutto l’anno. Inoltre, le comunità di pastori hanno utilizzato altri meccanismi di sopravvivenza nei casi in cui il proprio reddito risultasse insufficiente al sostentamento nel corso dell’intero anno. Circa un quarto di essi ha diversificato le fonti di reddito con attività commerciali su piccola scala, come il commercio della torba, cioè il deposito composto di resti vegetali utilizzato per la fertilizzazione dei terreni. La maggioranza ha riferito che un’opzione concreta è “vendere il proprio bestiame e altri beni per accedere al credito degli usurai rurali, vista la scarsità di meccanismi di risposta istituzionali”. Inoltre, hanno affrontato le difficoltà riducendo al minimo i consumi quotidiani, impegnandosi in attività non agricole, come il già menzionato commercio di torba, e nella migrazione, sia temporanea che permanente.
Riassumendo, l’analisi che abbiamo condotto raccogliendo dati primari andando tra le comunità rurali indica che le oscillazioni climatiche sono percepite come la causa di vulnerabilità, a sua volta esacerbata dalla mancanza di adattamento e di impegno, sia da parte dei pastori che delle istituzioni locali. I pastori stanno dando priorità ai benefici immediati piuttosto che allo sviluppo sostenibile, perché è anzitutto all’emergenza che occorre guardare, perciò quasi la metà delle comunità non ha ancora identificato chiaramente le cause e le conseguenze a lungo termine della variabilità climatica sulle loro attività e sui mezzi di sostentamento. I pastori hanno nel frattempo usato meccanismi tradizionali di risposta, come la vendita del bestiame e di altri beni, oppure il credito degli usurai rurali, visto che i meccanismi istituzionali sono pressoché assenti.
Si tratta di meccanismi di risposta che, giudicati dall’esterno, pongono il problema della loro sostenibilità nel tempo: possono continuare ad essere utilizzati meccanismi di fatto di natura distruttiva o che, comunque, non promuovono lo sviluppo, ma espongono a rischi di impoverimento futuro?
Ragionando su questi aspetti, potremmo suggerire che, per far fronte alla vulnerabilità, le società dovrebbero usare il risparmio, diversificare la migrazione, diffondere tecnologia e provvedere alla creazione di reti di protezione e aiuto in caso di emergenza per alcuni abitanti delle pianure, solo per citare alcuni meccanismi di risposta che sono tutti a carico delle istituzioni pubbliche.
Quello che, invece, si può raccomandare direttamente alle comunità è di migliorare la produzione agricola a partire dalle conoscenze dalle prassi consolidate, rafforzare la capacità locale di gestire i rischi attraverso organizzazioni locali comunitarie. Ma non c’è dubbio che le comunità reagiscono secondo le proprie possibilità e che occorrerebbe promuovere in via prioritaria legami istituzionali per la sostenibilità dei mezzi di sussistenza, migliorare la copertura e la qualità dei dati climatici nelle zone tanto vulnerabili e dare molta più voce alle comunità stesse, il che presuppone essere molto più in ascolto, con attenzione e rispetto, di quel che concretamente pensano e fanno gli agricoltori e allevatori cosiddetti marginali.