La Repubblica del Mozambico ha dichiarato l’indipendenza dal Portogallo il 25 giugno 1975, dopo dieci anni di guerriglia contro il colonialismo portoghese (1964-1974). La sua popolazione stimata nel 2017 era di 28.861.863 abitanti (sulla base dei risultati preliminari del quarto Censimento della popolazione e delle abitazioni condotto nel 2017), distribuiti su una superficie di 799.380 kmq divisa in 11 provincie amministrative. Maputo è la sua capitale e Cabo Delgado, Niassa, Nampula, Tete, Zambezia, Manica, Sofala e Gaza, insieme alla provincia di Maputo, formano la divisione territoriale del Mozambico. La lingua ufficiale è il portoghese, ma vengono utilizzati anche altri idiomi locali (Makhuwa, Changana, Elomwe, Chisena, Echuabo sono i più diffusi, solo per nominarne alcuni).
Il paese è caratterizzato da un territorio che dalle coste dell’Oceano indiano risale verso l’interno in forma simile a una «scala mobile», creando altopiani ed alture verso occidente. I fiumi scorrono dall’entroterra occidentale verso l’Oceano indiano. Il bacino più grande e importante è quello del fiume Zambesi, su cui è stata costruita la diga di Cabora Bassa. Altri importanti bacini sono formati, da nord a sud, dai fiumi Rovuma, Lurio, Licungo, Pungoe, Buzi, Save e Limpopo. È un paese tropicale caratterizzato da una stagione secca, che va da maggio a settembre, e una umida, da ottobre ad aprile. Il rischio di siccità è piuttosto alto in molte zone del Mozambico, soprattutto nelle aree centrali e meridionali, dove può arrivare a colpire più del 50% della popolazione.
L’economia si fonda sull’agricoltura, sui servizi, su qualche industria, estrazioni minerarie e pesca. Il Ministero dell’economia e delle finanze (Mef, 2015) indica che la crescita economica stimata è di circa il 2,6% annuo e che il Pil ha registrato un tasso di crescita di quasi l’8% annuo dalla fine della guerra civile nel 1992.
Dal 1975 al 1994 il paese è stato governato da un sistema socialista a partito unico (governo del Frelimo: Fronte di liberazione del Mozambico) e dal 1994, anno di approvazione della nuova Costituzione che stabilisce il sistema elettorale, si sono succeduti governi formati tramite elezioni politiche generali, che prevedono una cadenza quinquennale. Dalle prime elezioni del 1994 a oggi il Frelimo è stato il partito dominante in virtù di elezioni i cui risultati sono stati contestati dal Renamo (partito della Resistenza nazionale mozambicana) e che hanno portato a una rotazione tra presidenti.
Per molto tempo il Mozambico ha subito l’impatto di vari eventi politici e naturali e delle oscillazioni economiche. L’elenco comprende l’instabilità politica (la guerra civile dal 1976 al 1992; gli scontri militari nel 2014 che hanno fatto un numero imprecisato di vittime a Gorongoza, nel distretto centrale del Mozambico; il riaccendersi del conflitto con il Renamo dal 2015), disastri naturali (cicloni e successive alluvioni; siccità e frane in alcune zone collinari del sud del paese) e oscillazioni economiche che hanno causato l’evacuazione forzata di migliaia di persone in via temporanea o definitiva. Nel 1992 risultava che circa un milione e mezzo di mozambicani, pari al 10% della popolazione, erano stati costretti a lasciare il paese a causa della guerra civile, fuggendo verso i paesi vicini (Malawi, Tanzania e Zimbabwe). Negli anni scorsi le condizioni di vita nei campi profughi in Malawi e in Zimbabwe sono state classificate da Medici Senza Frontiere come al di sotto degli standard minimi necessari, sollevando preoccupazioni anche da parte di agenzie delle Nazioni Unite (UNICEF, Programma Alimentare mondiale, Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati). Né la situazione si è normalizzata: dal 2015, oltre 12 mila mozambicani hanno dovuto lasciare le loro case a causa dei conflitti interni, alla ricerca di sistemazioni più sicure all’interno dello stesso paese. Inoltre, oggi il Mozambico ospita circa 15 mila rifugiati provenienti da Repubblica democratica del Congo, Burundi, Ruanda e Somalia, per lo più concentrati nel grande campo profughi di Maratane, istituito nel 2001 nel nord del paese per alleggerire il peso dei rifugiati che gravava sulla capitale.
Questi eventi, presi singolarmente o nel loro insieme, hanno spinto il governo mozambicano a spostare o reinsediare questi rifugiati. Tuttavia, mentre sono state prese misure per reinsediare i rifugiati a seguito di conflitti politici, l’assistenza agli sfollati a causa dei disastri naturali o dell’instabilità economica è stata meno efficace.
Il Mozambico e i reinsediamenti
Il periodo successivo all’indipendenza è stato segnato da eventi che hanno spinto il governo a spostare forzatamente la popolazione. La prima modalità utilizzata per il reinsediamento è stata quella dei villaggi di comunità (Communal villages). Si è trattato di un tentativo di mantenere in vita una forma di socialismo (che persegue il lavoro per tutti, la proprietà collettiva, compresa quella della terra, e l’abolizione della proprietà privata). Il governo sosteneva che i villaggi di comunità avrebbero ridotto la fame nelle zone rurali e garantito la sicurezza della popolazione, dal momento che quelle zone erano oggetto di attacchi armati, e infine creato opportunità di sviluppo. Pertanto le autorità vararono l’«Operazione produzione», con la quale migliaia di persone furono spostate a nordovest, nella provincia di Niassa, la meno popolata del paese. L’operazione mirava a rallentare la crescita della popolazione urbana che stava alimentando i tassi di criminalità, il lavoro nero (calzolai, sarti, venditori ambulanti, ecc.), la prostituzione e la disoccupazione. Il governo definì «non produttivo» chi non lavorava nel settore formale.
Dagli anni dell’indipendenza a oggi, violenti cicloni e alluvioni in tutto il paese hanno creato migliaia di sfollati, legittimando il governo a creare degli insediamenti. Le motivazioni di questi reinsediamenti sono state le stesse di quelle che hanno portato alla creazione dei villaggi di comunità.
Nell’ultimo decennio, il paese ha conosciuto un alto tasso di crescita grazie ai progetti di sviluppo nel settore estrattivo, in relazione alla scoperta di giacimenti di gas e petrolio in alcuni bacini, come quello di Rovuma nelle aree settentrionali, col coinvolgimento di molti investitori stranieri. Tuttavia, ciò ha causato lo spostamento di un gran numero di abitanti delle zone rurali. Nel frattempo i mezzi d’informazione, le organizzazioni della società civile per i diritti umani e anche la gente comune hanno denunciato diverse irregolarità, evidenziando come il governo e le compagnie non avessero rispettato i diritti delle popolazioni coinvolte.
Per anni i mozambicani sono stati costretti a spostarsi, ma soltanto recentemente il paese ha messo in atto misure per regolamentare i ricollocamenti. Per esempio, la Politica nazionale sui disastri naturali del 1999 regola la prevenzione e la partecipazione delle comunità. Inoltre, il Piano generale per la prevenzione e il contenimento dei disastri naturali (2006-2014) mira alla gestione dei rischi legati ai disastri, insieme al primo Piano nazionale per il reinsediamento e la ricostruzione del 2007, che prevede il ricollocamento in zone meno soggette ad alluvioni e con maggiore potenziale di crescita economica.
Le persone la cui vita è in pericolo o quelle che vengono spostate per effetto dei ricollocamenti previsti dai programmi di sviluppo economico vengono sistemate in insediamenti caratterizzati da pochi servizi essenziali, minimi livelli di comfort e problemi generati da ostilità e sospetto.
Gli insediamenti sono molto diffusi, dal momento che il paese è stato spesso afflitto da inondazioni, cicloni, frane e siccità o, di quando in quando, dall’instabilità politica o dall’impatto dei programmi di sviluppo. Le cause delle migrazioni forzate e dei reinsediamenti sono varie, ma resta come denominatore comune il fatto che queste persone in un modo o nell’altro vengono spesso ricollocate in aree che purtroppo sono teatro di vari conflitti. Questo è il dramma spesso denunciato dai rifugiati, malgrado sia loro offerta una compensazione o una sistemazione alternativa.
In caso di disastri naturali o instabilità politica le persone a rischio vengono ricollocate in insediamenti, spesso senza che le autorità competenti prendano in considerazione il retroterra socioculturale degli individui coinvolti. L’assenza di attenzione ai bisogni degli sfollati e vari disagi, tra cui la mancanza di fiducia, minano la loro resilienza. La giustificazione per questo atteggiamento di negazione è il principio secondo cui “sicurezza e alloggio sono le priorità, il resto viene dopo”.
Gli insediamenti accolgono ogni tipo di persone che arrivano perché le loro vite sono in pericolo. Chi trova riparo nei campi per rifugiati o nei centri d’accoglienza può arrivare da qualunque area del Mozambico, il che ovviamente rende la gestione della situazione più complessa. C’è da tenere presente anche il fatto che, a partire dall’indipendenza dal Portogallo nel 1975, è stato sempre proclamato solennemente il diritto delle persone a raggiungere liberamente la città e spostarsi, in reazione al periodo di segregazione cui erano sottoposti gli autoctoni durante il colonialismo portoghese e di cui è ancora oggi viva testimonianza e motivo di identità e orgoglio nazionale Mafala, il quartiere storico della capitale Maputo. Ciò significa che le zone che ospitano sfollati nel paese accolgono indistintamente persone costrette a fuggire sia da calamità naturali che da violenze e tensioni, o dagli effetti di piani di sviluppo urbano che creano ricollocamenti.
Un tema molto dibattuto in varie sedi è quello relativo alla decisione su dove ricollocare le persone in pericolo e come soddisfare le loro necessità (riparo, acqua, cibo e vestiario). Altri fattori da tenere in considerazione sono le proprietà che hanno perso (la terra, per esempio) e l’accesso alle risorse pubbliche, come l’acqua.
Storicamente, il ricollocamento delle persone è stato fonte di tensioni causate dal fatto che gli sfollati vengono trasferiti su terre di cui non sono proprietari. Le esperienze di reinsediamento in villaggi di comunità, in campi di ricollocamento o di accoglienza risentono di conflitti permanenti che ovviamente indeboliscono la resilienza.
Garantire rifugio e sicurezza ai mozambicani è un dovere dello Stato, sancito al comma 1 dell’articolo 91 della Costituzione, che recita: “Tutti i cittadini hanno diritto a un’abitazione dignitosa ed è dovere dello Stato, secondo il livello di sviluppo della nazione, creare le opportune condizioni istituzionali, normative e infrastrutturali”. In altre parole, lo Stato deve tutelare la resilienza dei cittadini costretti a spostarsi.
Il significato della resilienza nel contesto di un’economia instabile, di eventi climatici avversi e di una ricorrente precarietà politica
La resilienza è un concetto derivato da materie scientifiche come l’ecologia, la fisica, la chimica, ecc. In ambito sociologico molti autori definiscono la resilienza sociale come la capacità di un gruppo o di una comunità di gestire i fattori di stress e le avversità legate a cambiamenti sociali, politici o ambientali.
Un esempio concreto in Mozambico è rappresentato dalle comunità trasferitesi nei campi di reinsediamento a seguito delle alluvioni (del fiume Limpopo) e dei progetti per lo sfruttamento delle miniere (provincia di Tete). Il mio primo contatto con le popolazioni che vivevano nei campi di insediamento risale al 2001, dopo la “grande alluvione del Limpopo”. In seguito ho visitato anche “Aledia da Barragem” (“Villaggio sulla diga”), il distretto di Chicualacuala e la città di Xai-Xai, nella stessa provincia. Cinque anni più tardi ho incontrato alcuni ex-rifugiati in Malawi e altri ex-sfollati interni nel distretto di Mandimba, nel nord del Mozambico. In ciascuna occasione ho riscontrato situazioni d’infelicità sia nelle donne che negli uomini, dovute in parte alle carenze infrastrutturali, ma il più delle volte alla mancanza di risposte adeguate ai loro bisogni secondo il genere. La gente si lamentava della quantità di terra che era stata loro assegnata al momento del ricollocamento, oppure della perdita dei vicini o della terra che avevano lavorato.
Conclusione
Il Mozambico ha resistito a catastrofi naturali, al colonialismo, alla guerra civile, al socialismo ed è ritornato al sistema capitalistico. È noto che gli spostamenti forzati di popolazione nel paese hanno avuto luogo anche nel periodo precoloniale, durante la caccia agli schiavi, e in quello coloniale, quando il lavoro coatto costringeva le persone a spostarsi nei paesi vicini. All’inizio degli anni sessanta migliaia di rifugiati fuggirono verso paesi limitrofi, tra cui Tanzania, Zambia e Malawi e, più tardi, Sudafrica e Swaziland. Dopo l’indipendenza del giugno 1975 si verificò un movimento di rimpatrio, ma non abbiamo informazioni sul numero di persone effettivamente rientrate, dal momento che l’Alto commissariato per i rifugiati (UNHCR) non era coinvolto. Dal 1976 al 1992 la guerra civile costrinse centinaia di migliaia di persone a lasciare a loro volta il Mozambico per rifugiarsi nei paesi vicini. Inoltre, dal 1975 a oggi a questi motivi si sono aggiunti disastri naturali, come alluvioni e cicloni, che costringono le persone a lasciare le loro residenze abituali dirigendosi in altre zone del paese o verso paesi confinanti. La questione che non trova però adeguata risposta è quella relativa al grado di resilienza.