Brasile Opinioni

La migrazione dei venezuelani verso il Brasile: l’enorme sfida delle città di confine

da Silva Araujo Karine

Gli arrivi incontrollati di immigrati venezuelani in Brasile negli ultimi tre anni, specialmente nella regione settentrionale, hanno portato la questione dell’immigrazione, ben poco discussa nel paese sino ad allora, a ricevere un’insolita attenzione e a essere considerata un problema di portata nazionale.

Se paragonata a quella da altri paesi sudamericani come l’Argentina, la Bolivia, il Paraguay o il Perù, l’immigrazione dal Venezuela in Brasile era praticamente assente fino all’inizio del 2010, e trovava accesso al paese attraverso grandi città come San Paolo, Rio de Janeiro e Brasilia. Sebbene gli Stati Uniti e la Spagna siano storicamente le destinazioni più ambite degli immigrati venezuelani, il Brasile, come pure Colombia, Messico, Panama, Cuba e Argentina, può essere considerato uno dei paesi che negli ultimi dieci anni ne ha accolto la maggior parte, col risultato di risalire dal quindicesimo posto tra i paesi con più venezuelani all’estero, sino a figurare tra i dieci paesi con più venezuelani al mondo.

Fino a metà del 2010, la maggior parte di coloro che arrivavano in Brasile erano lavoratori qualificati che cercavano naturalmente migliori condizioni d’impiego in imprese statali o private. Tuttavia, nel 2014 e 2015 l’economia venezuelana ha mostrato la peggiore performance macroeconomica dell’America Latina, caratterizzata da una significativa contrazione delle attività economiche, dall’inflazione più alta al mondo e alti livelli di povertà, portando il Venezuela ad essere considerato il paese con la peggiore performance macroeconomica in assoluto nel 2016.

Pertanto il 2015 viene considerato l’anno di svolta di questo scenario, allorché si si è osservato un significativo incremento delle migrazioni in vari segmenti della popolazione Venezuelana, poco dopo la sconfitta del presidente Nicolás Maduro alle elezioni politiche. Masse di sfollati in situazione precaria hanno iniziato ad attraversare il confine per sfuggire a condizioni di vita miserevoli e alla violenza politica esercitata dalla repressione del governo, come già accaduto all’epoca di Hugo Chavez. Tenuto conto del numero delle famiglie che avevano lasciato le loro case e si erano messe in marcia verso il Brasile, questi immigrati hanno cominciato ad essere classificati come rifugiati. Prima del 2015 non vi è traccia di movimenti transfrontalieri regolari o significativi tra Venezuela e Brasile, visto che inizialmente i venezuelani si muovevano come pendolari, attraversando il confine soltanto per comprare cibo e medicine e fare poi ritorno al proprio paese.

Il comune di Pacaraima, sul versante brasiliano nello stato di Roraima, è stato la porta d’accesso dei venezuelani che attraversavano il confine a piedi, a causa della sua relativa prossimità al confine tra Brasile e Venezuela. Secondo la polizia federale, tra il 2017 e giugno 2018 sono stati 127.778 gli immigrati passati da Pacaraima e, tra questi, soltanto 68.968 si sono diretti verso altri paesi. In altre parole, 58.810 sono rimasti in territorio brasiliano, concentrati in larga misura nel comune di Pacaraima (che ha 12.375 abitanti), a Boa Vista (che ha 332.000 abitanti) e, in minor quantità, a Manaus, nello stato di Amazonas.

Secondo i dati forniti dalla Direzione per l’analisi delle politiche pubbliche della Fondazione Getúlio Vargas (Dapp/Fgv) con la polizia federale, nel luglio del 2017 le registrazioni attive per i venezuelani in Brasile erano ancora solo cinquemila. Anche senza considerare il gran numero di immigrati non registrati, l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR) riportava più di 22.000 domande tra il 2014 e il 2017, il che denota che già allora esisteva un flusso migratorio fuori controllo, con un numero cospicuo di domande d’asilo.

Con l’intensificazione degli arrivi di migranti nel 2017, il governo brasiliano si è  trovato costretto a intervenire per fornire  assistenza umanitaria ai venezuelani. Con l’entrata in vigore della nuova legge sull’immigrazione in Brasile – legge n. 13455 del 24 maggio 2017 – sono state aggiornate  e consolidate altre leggi che si occupavano della questione, fornendo migliori condizioni legali a fronte della rapida evoluzione nel numero di migranti.

Con la pubblicazione del decreto n. 9286 del 15 febbraio 2018 è stato creato un Comitato federale per l’assistenza in emergenza, responsabile per l’assistenza e l’accoglienza agli immigrati in situazioni di vulnerabilità. Il decreto ha stabilito la struttura di governance nell’ambito del governo federale, indicando azioni e iniziative in materia. Due altre norme hanno costituito una pietra miliare per la federalizzazione dell’azione sui flussi migratori dal Venezuela: la misura transitoria no. 820 del 15 febbraio 2018, che definisce le misure assistenziali per l’accoglienza a persone in situazione di vulnerabilità a seguito dei flussi migratori, riconoscendola come una situazione emergenziale umanitaria, e il decreto no.9285 del 15 febbraio 2018, che riconosce la situazione di precarietà creatasi nello stato di Roraima a causa dei flussi migratori.

Di fatto i decreti e le misure transitorie ufficializzano alcune procedure umanitarie già in atto, determinano altre azioni dello Stato, soprattutto di natura sanitaria, per migliorare l’accoglienza ai migranti, e guidano la pianificazione dell’internalizzazione di queste persone. Col termine «internalizzazione» si intende il trasferimento organizzato degli stranieri in città all’interno del Brasile più attrezzate per la loro accoglienza. Va sottolineato che non c’è stata una significativa opposizione a questi decreti, che la popolazione di Roraima ha accolto come misure necessarie.

Il recente rapporto presentato dalla polizia federale, che consolida  i dati sino allo scorso luglio, mostra che il saldo migratorio giornaliero dei venezuelani (inteso come differenza tra ingressi e uscite) è andato gradualmente aumentando ed è attualmente dell’ordine di circa 400 persone al giorno. L’aumento dei flussi richiede un maggior ricorso all’internalizzazione, per consentire un maggior turnover all’interno dei rifugi e far sì che siano soltanto ricoveri temporanei per gli immigrati, successivamente accolti in altri stati della federazione brasiliana. Si stima che vi siano circa 2.000 venezuelani allo sbando nelle strade di Boa Vista. Coloro che entrano a Pacaraima, secondo i dati forniti da UNHCR, sono in gran parte uomini di età compresa tra i 18 e i 45 anni, celibi e con un diploma di scuola secondaria superiore.

Rifugiati venezuelani – campo di Boa Vista By Marcelo Camargo (Agência Brasil [1]) [CC BY 3.0 br (https://creativecommons.org/licenses/by/3.0/br/deed.en)], via Wikimedia Commons

Un altro fenomeno che è stato oggetto di particolare attenzione da parte delle autorità brasiliane è stato l’ovvio conflitto sociale derivante dall’anomala e improvvisa sovrappopolazione delle città prossime al confine, come Boa Vista nello stato di Roraima, e persino Manaus in Amazzonia. Le dispute per il lavoro, per i posti nella scuola pubblica e negli ospedali e persino per il cibo si sono aggravate a seguito dell’incessante arrivo di questi immigrati, che nel corso del tempo si sono ammassati in rifugi improvvisati o addirittura nelle piazze e nelle vie cittadine. Sebbene fino a ottobre 2017 il 48,4% circa dei venezuelani che si trovavano a Boa Vista non avessero ancora fatto uso di alcun servizio pubblico, secondo una ricerca condotta dell’Osservatorio sulle migrazioni internazionali (OBMigra) si erano già verificate alcune tensioni. Solo nel febbraio 2018 sono stati riportati due scontri tra brasiliani e venezuelani, e negli ultimi mesi si è registrato in media un conflitto ogni dieci giorni. L’8 agosto, a Pacaraima, si sono verificati per la prima volta dei disordini tra brasiliani e venezuelani. A seguito dei violenti scontri decine di immigrati sono stati spinti ad attraversare di nuovo il confine, in fuga dagli attacchi di una piccola parte della popolazione in rivolta a causa dell’aggressione perpetrata da alcuni venezuelani ai danni di un commerciante brasiliano.

La ricerca di OBMigra evidenzia anche il fatto che una parte significativa della popolazione venezuelana non indigena che attraversa il confine possiede un buon livello di scolarizzazione (il 78% ha un diploma di scuola secondaria superiore e il 32% una laurea o un titolo post-universitario). Sempre secondo i dati di OBMigra, il 60% di questi soggetti nel 2017 aveva un’occupazione retribuita e ha inviato rimesse a coniugi e figli in Venezuela. Ne consegue che, nonostante sia sottostimata dal punto di vista professionale, si tratta di un tipo di immigrazione che, se ben organizzata, può addirittura portare dei vantaggi al Brasile. A livelli generali, i venezuelani non autoctoni che migrano verso Boa Vista possiedono un livello scolastico più alto della media della popolazione locale, e la percentuale di venezuelani che trovano accesso al mercato del lavoro regolare, il 28%, non è molto differente da quella dei brasiliani, il 29,3% nel 2015, secondo l’Istituto brasiliano di geografia e statistica (IBGE).

Purtroppo, nonostante vi sia una legge aggiornata sull’immigrazione, in Brasile non c’è ancora una gestione coerente dei flussi né un’istituzione per l’accoglienza. Di conseguenza, il rimedio adottato è stato l’invio di missioni di supporto ad hoc ai vari comuni, con la creazione di campi d’accoglienza, distribuzione di medicine, cibo e generi di prima necessità, sotto l’egida del Consiglio nazionale per l’immigrazione (CNIG)/Ministero del lavoro, in collaborazione con l’UNHCR e le forze armate.

Attraverso il riconoscimento delle capacità professionali di questi stranieri, incrociate con le opportunità offerte dal settore privato, in coordinamento con le richieste del mercato e sulla base delle competenze degli immigrati, si potrebbe definire una risposta più adeguata agli studi condotti sino ad oggi. Oggi ci sarebbe probabilmente bisogno di un coinvolgimento più marcato delle agenzie governative, delle forze armate, delle agenzie internazionali dedicate alle questioni migratorie, Ong e volontari. Non va inoltre trascurata la necessità di regolarizzare i ruoli, grazie a visti e permessi di lavoro e diplomi professionali. Ai fini di una veloce distribuzione e integrazione dei migranti divengono perciò essenziali la sburocratizzazione e la velocizzazione delle procedure di emissione dei documenti.

Infatti si tratta di un flusso migratorio abbastanza consistente, che andrebbe considerato e trattato come qualunque altra simile tragedia umanitaria. Certamente costituisce la più vasta immigrazione che il Brasile ha conosciuto in un periodo così breve, ma fortunatamente è ancora ben lontana dal raggiungimento della massima capacità di accoglienza di stranieri in Brasile. I tassi d’immigrazione del paese sono stati modesti, dal momento che il numero di immigrati arrivati per insediarsi, studiare o lavorare è comunque limitato, secondo qualunque parametro si voglia adottare, sia in confronto al Pil, sia secondo l’estensione territoriale o la popolazione totale. Si stima che ad oggi il numero totali di immigrati, comprendendo sia quelli regolari e non, è pari a circa l’1% della popolazione totale del Brasile. In Argentina la percentuale è del 4% e negli USA del 14%, mentre la media mondiale è del 3,7%. Il Brasile accoglie relativamente poca immigrazione e, se le condizioni politiche ed economiche fossero migliori, potrebbe riceverne molta di più.

È importante notare che il Brasile oggi sta attraversando una crisi economica che si trascina da più di dieci anni, con conseguenze negative per tutti i settori e tassi di disoccupazione record, con un totale di più di 13 milioni di disoccupati nella prima metà del 2018. Ciò fa sì che le condizioni socioeconomiche di città particolarmente toccate dal fenomeno, come Pacaraima e Boa Vista, nello stato di Roraima – e persino di Manaus, in Amazonas – siano particolarmente delicate, dato che sono molto vicine al confine col Venezuela. Ormai non hanno margini per accogliere ulteriori contingenti oltre quelli già arrivati, e la loro capacità di assorbire l’inaspettata impennata nella domanda di beni e servizi dovuta all’immigrazione è satura. Anche la salute pubblica sta soffrendo conseguenze negative, come ad esempio epidemie d’influenza e morbillo (malattia che era stata eradicata in Brasile sin dagli anni sessanta), in conseguenza delle condizioni di vita malsane che si riscontrano nelle aree di forte concentrazione di migranti.

Sebbene teoricamente il Brasile sia strutturato e possa anche offrire buone opportunità di lavoro agli immigrati più qualificati, le carenze strutturali delle città di ingresso di questa massa di rifugiati in Brasile ha causato molte difficoltà alla gestione del problema. Oggi, qualunque soluzione più efficace richiederà una pianificazione più accurata e un’attenzione particolare agli aspetti socioeconomici e umanitari, per arrivare a una effettiva internalizzazione degli immigrati venezuelani e a una completa integrazione nella società brasiliana.