Per secoli la Tunisia è stata un paese di destinazione di migrazioni, principalmente provenienti dal sud Europa. Dopo la seconda guerra mondiale si è verificato un rovesciamento di tendenza che si è poi intensificato a partire dagli anni ’60. Su un totale di undici milioni di tunisini, oltre un milione, pari al 10% della popolazione, vive all’estero, soprattutto in Europa. Per ragioni storiche e linguistiche, la destinazione principale è la Francia, ove risiede il 60% dei migranti; il 20% si trova in Belgio, il 15% in Italia, leggermente di meno in Svizzera e solo il 9% in Germania. Cultura e storia sono infatti fattori importanti per la scelta della destinazione.
I fattori di attrazione (pull factors) sono sempre stati un elemento determinante della migrazione tunisina verso l’Europa e, nel complesso, i paesi europei resteranno i più attraenti. In Europa i salari medi e le condizioni di lavoro sono di gran lunga – anche fino a dieci volte – migliori che in Tunisia, e vi è un ampio consenso sul fatto che nel lungo periodo la domanda europea di manodopera straniera aumenterà. Le forti restrizioni recentemente imposte dai paesi europei hanno rallentato, ma non arrestato, la migrazione. Ogni anno, circa venticinquemila tunisini riescono ancora ad emigrare; tra loro, ci sono sempre più giovani qualificati e ben istruiti. È naturale che decine di migliaia di giovani tunisini siano disposti a lasciare la loro casa e il loro paese in cerca di lavoro e opportunità di vita migliori. Secoli di storia umana dimostrano che questo è un fattore di spinta così forte da non poter essere fermato.
La “fuga di cervelli” (brain drain) è una preoccupazione reale; eppure, l’emigrazione di manodopera qualificata può anche generare effetti positivi, non solo per le rimesse, ma anche per l’accumulazione di capitale umano. La migrazione può offrire opportunità di apprendimento e di formazione; inoltre, l’accesso di migranti qualificati a posti di lavoro ben retribuiti crea un incentivo per investire di più in capitale umano nel paese di origine. Un’istruzione superiore e di migliore qualità aumenta la probabilità di trovare un lavoro più qualificato all’estero.
L’effetto di “rientro dei cervelli” (brain gain) può essere sostanziale e addirittura maggiore quando la migrazione è temporanea e i migranti decidono di ritornare, portando con sé le conoscenze e il know-how accumulati all’estero.
La nozione di “rientro di cervelli” non è nuova ed è stata oggetto di molti studi dedicati a verificarla in modi e contesti diversi. Il dibattito riguarda in particolare l’effetto netto: le uscite superano le entrate o viceversa? Alcuni studi concludono che la migrazione causa una riduzione netta del tasso di crescita del capitale umano e del Pil, ma altri sostengono l’opposto. In realtà, ciò dipende dal paese e dalle probabilità di rientro dei migranti. In tal senso, sono da sempre considerati elementi determinanti le opportunità di reddito e di lavoro, ma anche altri importanti fattori non finanziari, come l’integrazione culturale e sociale, hanno la loro rilevanza.
Nel caso della Tunisia, le nostre ricerche dimostrano innanzitutto che gli espatriati sarebbero più propensi a tornare se avessero una situazione relativamente migliore prima di migrare. Chi era disoccupato, o chi non ha mai avuto un lavoro dignitoso a casa propria, è meno incline a rientrare. La qualità e la disponibilità di opportunità di lavoro nel paese di origine rappresentano il principale fattore determinante per un eventuale rientro, indipendentemente dalle condizioni di lavoro sperimentate durante la migrazione.
In secondo luogo, conta il grado di accettazione nel paese straniero: la cultura e l’integrazione sono fattori molto importanti.
Inoltre, chi ha investito all’estero è spesso meno interessato a ritornare. Infine, e soprattutto, quanto più gli espatriati acquisiscono competenze e ottengono titoli di studio superiore, specialmente di livello universitario, tanto meno sarà probabile che vogliano ritornare.
Questa è una constatazione particolarmente importante, da cui discende che il “rientro dei cervelli” nel caso della Tunisia è stato debole, dal momento che un numero sempre crescente di persone qualificate tende a lasciare il paese e non farvi ritorno. In realtà, i giovani meglio qualificati e più capaci sono i primi ad andarsene, dovendo affrontare molte meno barriere all’ingresso nei paesi di destinazione. Anche il numero di studenti tunisini in Europa è aumentato rapidamente, essendo quasi raddoppiato in soli cinque anni; è altresì in aumento il numero di coloro che decidono di risiedere e cercare lavoro in Europa dopo aver finito la scuola. Abbastanza spesso questi studenti sono i più brillanti ed intraprendenti della Tunisia: si stabiliscono all’estero e finiscono per contribuire in misura limitata allo sviluppo del loro paese di origine, anche in termini di rimesse.
Tuttavia, le rimesse dall’estero rimangono per la Tunisia la principale rendita della migrazione e continuano a crescere. I migranti meno qualificati spesso lasciano a casa la famiglia, cui debbono inviare parte delle loro entrate. Le rimesse totali hanno contribuito in modo significativo al reddito e alla crescita, rappresentando circa l’11% delle risorse estere totali.
L’emigrazione dalla Tunisia è causata anche dai fattori di spinta (push factors), il più importante dei quali è certamente la disoccupazione, il cui tasso strutturale è stabilmente superiore al 14% (14,2% nel 2008). È molto più alta, al di sopra del 30%, tra i giovani, soprattutto tra i più istruiti e in particolare tra i laureati. Quelli meno istruiti e meno qualificati possono trovare più facilmente un posto di lavoro, ma nel settore informale, in cui le condizioni e le retribuzioni sono inferiori alle aspettative.
In conclusione, nell’attuale situazione tunisina, caratterizzata da un’elevata disoccupazione intellettuale giovanile, l’emigrazione può alleviare le tensioni sociali, generare entrate e creare incentivi all’investimento in capitale umano. Tuttavia, nel lungo periodo i benefici della migrazione potrebbero essere superati dai costi, a causa della “fuga di cervelli”. La probabilità che chi è emigrato un giorno ritorni, portando con sé il frutto della propria esperienza e capacità, dipende in primo luogo dalla disponibilità di un lavoro dignitoso a casa. Ciò significa anche che i maggiori benefici derivanti dalla migrazione e dai rimpatri di migranti qualificati dipendono da buone politiche e da una maggiore crescita interna.