Le regioni Orientali della Repubblica Democratica del Congo in fiamme
L’incredibile gara di solidarietà verso gli sfollati delle famiglie ospitanti
Goma, la capitale del Kivu del Nord, e Bukavu, capitale del Kivu del Sud, estremo orientale della Repubblica Democratica del Congo (Rdc), sono nelle mani dei ribelli. L’M23, la milizia formata da tutsi congolesi filo-ruandesi, è entrata praticamente indisturbata nella prima nell’ultimo weekend di gennaio e nella seconda a metà di febbraio, dopo aver preso l’aeroporto di Kavumu, distante una trentina di chilometri. Le notizie non possono essere considerate del tutto sorprendenti. Il famigerato gruppo armato dal Ruanda, infatti, da anni varca sistematicamente i confini e conquista città dopo città in pieno territorio congolese seminando il panico tra la popolazione civile senza particolari problemi né speciali pressioni internazionali.
L’M23 ha ripreso con forza la sua attività nel 2021 e ha rapidamente conquistato vasti territori nel sud-est della provincia del Nord Kivu già dal 2022. La situazione dell’area ha vissuto nuove fasi di recrudescenza verso la fine del 2023, a seguito di intensi scontri tra l’esercito congolese (Fardc) e gruppi armati alleati (unificatisi sotto la sigla di “Wazalendo”) da una parte, e l’M23 dall’altra. Il 2024 è stato l’anno della crescita esponenziale del numero di attacchi da parte del gruppo ribelle filo-ruandese che ha spostato il fronte nel territorio di Masisi, Kivu del Nord. Qui ha conquistato la città di Sake, a una ventina di chilometri da Goma, già nel febbraio 2024, e il centro minerario di Rubaya (noto in particolare per i giacimenti di coltan), per poi spostarsi verso la zona di Rutshuru, la cittadina verso cui si stava spostando il nostro ambasciatore Luca Attanasio in quel tragico 22 febbraio del 2021, dove l’M23 si è espanso fino a lambire il lago Edoardo, a partire dal marzo del 2024. Certo, fino a questo momento, si era limitato a prendere possesso di centri minori – anche se di grande importanza strategica per i giacimenti minerari – ed era difficile immaginare un’entrata così rapida e clamorosa nelle due città più importanti dell’area. Ma riesce ugualmente difficile considerare le conquiste di Goma e di Bukavu, dopo almeno tre anni di avanzata indisturbata, del tutto inaspettate.
Le fonti, contattate con grandi difficoltà a causa di mancanza quasi totale di energia elettrica per molti giorni successivi al primo attacco, parlano di un controllo di Goma da parte dell’M23 di circa il 90%, di fughe di massa verso il Burundi da Bukavu e di una situazione disastrosa per quanto riguarda la popolazione civile. Le persone uccise sarebbero svariate migliaia mentre le strutture mediche sono ormai al collasso. «Sono davvero tanti i congolesi in fuga da Goma – spiega Monica Corna, capo missione del Vis, Volontariato Internazionale per lo Sviluppo, una Ong italiana, da 20 anni nel Kivu del Nord – cercano rifugio in Ruanda perché hanno paura di quello che potrà succedere e delle scelte politiche che farà il presidente della Repubblica Democratica del Congo Felix Tshisekedi. Cercano soluzioni per evitare di sperimentare nuovamente quello che hanno vissuto varie volte, qualcosa di molto pesante».
I nuovi sfollati si aggiungono a un numero spaventoso di individui costretti alla fuga. Secondo l’Unhcr, l’agenzia Onu per i rifugiati, solo dall’inizio del 2025, sarebbe più di 400mila e vanno a ingrossare le fila di un popolo di profughi composta da circa 4,5 milioni di individui che risiedono nelle sole province orientali del Kivu del Nord e del Kivu del Sud o sconfinano nel Ruanda.
Tutta l’area è una terra di nessuno, lontana fisicamente e politicamente dalla capitale Kinshasa, dove comandano gruppi delle più varie appartenenze. Secondo le ultime stime, in zona sarebbero attive tra le 150 e le 200 milizie armate. Alcuni di questi gruppi si sono formati nel corso di guerre civili ufficialmente terminate nel 2003 ma mai effettivamente concluse. Un inferno vero e proprio dove si lotta per un chilo di coltan, per una manciata di oro, per accaparrarsi diamanti o per il controllo di territori.
La Repubblica Democratica del Congo ha conosciuto moltissime fasi di conflitto a partire dai tempi immediatamente successivi all’indipendenza conquistata a caro prezzo contro uno dei regimi coloniali più feroci e genocidari della storia dell’umanità, quello del Belgio, in particolare nel periodo del terrore instaurato da Leopoldo II. Secondo i calcoli più attendibili, il monarca belga, in 23 anni (1885-1908) fece, come scrisse Mark Twain, «dieci milioni di morti». «Se il sangue innocente sparso in Congo – aggiunse il noto scrittore statunitense – fosse messo in secchi e i secchi collocati l’uno accanto all’altro, la fila si estenderebbe per duemila miglia». Senza contare le terribili mutilazioni inflitte a chi non raccoglieva quantità sufficienti di caucciù, le torture, i villaggi dati alle fiamme solo per terrorizzare e assoggettare la popolazione. I suoi metodi furono talmente brutali da meritarsi il richiamo delle altre potenze coloniali. L’instabilità cronica, l’impoverimento endemico sono la conseguenza velenosa di questa tristissima fase storica della Repubblica Democratica del Congo fatta di sfruttamento intensivo di uomini e terre, di metodi disumani utilizzati per perseguirlo e di divisioni interne mai ricucite. Neanche sei mesi dopo l’indipendenza, infatti, il 17 gennaio 1961, il noto padre della patria Patrice Lumumba, venne trucidato per mano delle truppe fedeli a Moïse Tshombe, leader del Katanga, la regione molto ricca di giacimenti minerari per la quale Tshombe reclamava l’indipendenza, sostenuto da interessi belgi che la fine del colonialismo non aveva assolutamente ancora sradicato. Da lì in poi, fatta eccezione per rari intervalli di relative calma e pace, la Repubblica Democratica del Congo ha conosciuto solo tensioni, gravi violazioni dei diritti umani e civili, violenze e vere e proprie guerre dagli esiti drammatici.
La situazione nell’area dei Grandi Laghi, poi, precipita a partire dalla primavera del 1994 e investe in pieno, oltre al Ruanda, proprio la Repubblica Democratica del Congo (allora chiamata Zaire). Come è noto, ad aprile di quell’anno, prende il via nel Ruanda, uno degli eventi più spaventosi della storia contemporanea. Nel giro di tre soli mesi, vengono trucidate almeno 800.000 persone, in gran parte di etnia tutsi, mentre diversi milioni lasciano terrorizzati le proprie case e trovano rifugio nello Zaire, in stragrande maggioranza nella regione del Nord Kivu. Il domino successivo si abbatte su varie nazioni, ma lo Stato che paga il prezzo più alto è senza dubbio il Congo. La situazione di tensione latente si trasforma poi in guerra dalla fine del 1996 con una successione di conflitti che per gravità e ampiezza furono denominati le “guerre mondiali” africane. Secondo le stime accreditate, sono costati al Paese tra i sei e i dieci milioni di morti.
La Repubblica Democratica del Congo può essere considerata il prototipo della cosiddetta “maledizione delle risorse”. Ricchissimo di ogni sorta di beni, ha fornito al mondo il materiale di cui aveva più bisogno nelle diverse fasi storiche, il caucciù per la gomma e la plastica nei secoli scorsi, il legname, il rame, l’oro, i diamanti, fino a tempi più recenti in cui servivano coltan o cobalto (si calcola che il 70% del cobalto del mondo si trovi nella Repubblica Democratica del Congo, più precisamente nella provincia del Lualaba, ex Katanga, il minerale fondamentale per le batterie per macchine elettriche, alla base della cosiddetta rivoluzione verde. E tutto senza mai ricavarne nulla in cambio. Anzi, ricevendone solo sfruttamento intensivo, impoverimento, ingiustizia e, soprattutto, conflitti. Paradossalmente, la scoperta di nuovi giacimenti, un’evenienza che in qualsiasi altra area del mondo susciterebbe soddisfazione e benessere, nella Repubblica Democratica del Congo diffonde terrore per le conseguenze che potrebbe scatenare.
Tornando alla situazione attuale, la conquista di Bukavu, capitale del Sud Kivu, sarebbe avvenuta senza la minima resistenza delle forze militari congolesi e il missionario saveriano Giovanni Magnaguagno, in servizio a Bukavu, sottolinea la fuga della autorità politiche: «Il governatore è fuggito oggi (il 14 febbraio) e con lui, oltre all’esercito, anche la Guardia Repubblicana». La penetrazione in tutta questa area avviene con regolarità da tempo e, ovviamente, interessa le zone strategicamente importanti a causa dei giacimenti minerari. «Nel Sud Kivu – spiega a Mondopoli Freddy Ruvunangiza, giornalista freelance di Goma, collaboratore della testata LaPrunelleRDC – i ribelli dell’M23 hanno preso il controllo di una serie di villaggi alla fine di gennaio, senza che nessuno opponesse la minima resistenza. Secondo fonti della società civile locale, anche il polo minerario di Nyabibwe, un importante centro per l’estrazione di cassiterite e altri minerali strategici, potrebbe essere conquistato dall’M23».
Per tutti questi anni di conflitto latente e di crisi umanitarie senza soluzione di continuità, in alcune aree, oltre ad alcune Ong, all’Unhcr e a organismi internazionali come i caschi blu della Monusco, il Programma Alimentare Mondiale, non sempre apprezzati dalla popolazione e accusati di corruzione, la vera rete di sostegno e solidarietà che ha permesso a decine di migliaia di individui di sopravvivere, sono state le cosiddette ‘host families’. Abitazioni e terreni di gente estremamente povera che, davanti al dolore e lo spaesamento di migliaia di sfollati, per scelta deliberata dei residenti, hanno allargato mura, confini e aggiunto sedie alla tavola. «Sono i primi a salvarci mentre aspettiamo che arrivino gli aiuti umanitari – ha dichiarato Gervais Balikwisha a The New Humanitarian, un attivista per i diritti umani fuggito dal villaggio di Kishishe, dove i combattenti dell’M23 hanno compiuto massacri e stupri. Le famiglie ospitanti rispondono più rapidamente di tutti gli altri e lo fanno senza burocrazia». «Chi ospita – ha spiegato sempre a The New Humanitarian Jeanine Bitasimwa, una signora che accoglie nella sua casa 25 persone di otto famiglie diverse – non lo fa perché ha i mezzi, ma perché ha un “cuore di solidarietà”. Accogliamo gli sfollati perché non sappiamo se un giorno lo saremo anche noi in questo Paese che sembra vivere solo di guerra».
Ma, poiché decine di migliaia di persone sono arrivate in città nel corso della recente offensiva dell’M23, gli ospiti hanno dichiarato che la loro capacità di aiutare ha abbondantemente raggiunto il limite massimo. Non si sa quanto e come potrà proseguire questa commovente gara di solidarietà tra poveri e poverissimi. «Gli organismi umanitari – aggiunge la signora Jeanine – dicono che siamo economicamente più stabili degli sfollati, ma si sbagliano, abbiamo consumato tutto per sfamare gli sfollati ed è giusto pensare anche a noi quando arrivano gli aiuti». La situazione era già precaria prima, ora che l’M23 ha conquistato Goma e ci si aspetta che nelle prossime settimane gli scontri si intensifichino, il numero di sfollati aumenterà. Ci sarà senz’altro bisogno che la comunità internazionale si mobiliti e prenda esempio da queste coraggiose famiglie, ultimo bastione di umanità in mezzo alla barbarie.
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