In libreria – La matrice dello stigma. Genere, globalizzazione e l’agency delle donne in prima linea del Pakistan
The Stigma Matrix, di Fauzia Husain è un contributo che ben rappresenta gli interessi di ricerca di questa autrice, attenta alla comprensione del modo in cui le comunità musulmane gestiscano i meccanismi di esclusione come lo stigma, e di come forgino connessioni e coltivino l’appartenenza al lavoro e la sfera del sesso e dell’intimità.
Il volume, pubblicato dalla Stanford University Press, è focalizzato in particolare sull’esperienza delle donne lavoratrici in Pakistan attraverso una lente analitica innovativa, quella che dà il titolo al libro: la “matrice dello stigma”. Si tratta di un quadro teorico multidimensionale che analizza l’interazione tra dinamiche globali, eredità storiche e pratiche locali, rivelando come processi di esclusione, marginalizzazione e resilienza emergano in contesti lavorativi altamente politicizzati.
In particolare, la matrice dello stigma è un framework multi-scalare che mostra come lo stigma subito dalle donne in Pakistan non sia legato a eventi isolati, ma il risultato di processi globali, storici e socioeconomici. La matrice opera a livello macro (politiche globali, colonialismo, neoliberismo), meso (organizzazioni, luoghi di lavoro) e micro (interazioni personali e in famiglia). Il colonialismo, per esempio, ha contribuito a sessualizzare lo spazio pubblico e a stigmatizzare la sessualità delle donne indigene; mentre i processi globali del neoliberismo e dell’islamizzazione hanno rafforzato lo stigma attraverso la discriminazione e la limitazione della partecipazione delle donne. Come risultato, lo stigma limita l’accesso delle donne allo spazio pubblico, rafforza norme discriminanti ai danni delle donne e crea alleanze tra élite statali e partiti religiosi.
L’opera si distingue per la capacità di combinare un’etnografia rigorosa e dettagliata con una sofisticata costruzione teorica, offrendo un modello analitico che si presta a essere applicato in molteplici contesti globali, con particolare attenzione alle dinamiche del Sud globale. Inoltre, il testo ha il merito di offrire un’analisi acuta e rigorosa, ma anche un viaggio etnografico avvincente e accessibile.
il testo evidenzia come la nozione di stigma, tradizionalmente confinata all’ambito individuale, venga espansa in un quadro strutturale che intreccia fattori macroeconomici, culturali e politici, offrendo un’analisi stratificata e con molteplici sfaccettature. La forza del lavoro di Husain risiede nella sua capacità di connettere teorie con osservazioni empiriche, rendendo il libro un esempio riuscito di studi interdisciplinari. Questo aspetto metodologico è ulteriormente valorizzato dall’uso innovativo di categorie analitiche che permettono di esaminare la trasformazione delle dinamiche di potere nel tempo. La matrice dello stigma è, quindi, concepita non solo come una descrizione statica di processi sociali, ma come uno strumento per comprendere la fluidità delle relazioni di potere e le possibilità di resistenza. Tale approccio consente di andare oltre le tradizionali dicotomie analitiche e offre un quadro più dinamico e contestuale delle lotte per l’emancipazione e la dignità.
- Husain esplora in profondità le vite delle donne impiegate in settori strategici come la polizia, la sanità e l’aviazione, dimostrando come tali professioni, pur offrendo opportunità significative di emancipazione economica e sociale, le espongano a tensioni stigmatizzanti di straordinaria complessità. Le donne poliziotte affrontano stigma sia all’interno che all’esterno del corpo di polizia; sono percepite come inadatte al ruolo o come corrotte e alcune reagiscono usando la “delicatezza velata” come strategia di destigmatizzazione, altre un “atteggiamento brutale”. Le operatrici sanitarie devono superare lo stigma della trasgressione delle norme consuetudinarie e della sessualizzazione; anche esse usano il velo come strumento per guadagnare rispetto. Invece, le donne che lavorano nelle compagnie aeree adottano il “cosmopolitismo postfemminista” come strategia di destigmatizzazione, utilizzando trucco, abbigliamento alla moda e una retorica individualista.
Attraverso un’analisi attenta, l’autrice delinea un intricato intreccio di norme culturali locali, come il purdah (la segregazione di genere), e pressioni transnazionali, generate dal neoliberalismo, dalla securitizzazione e dai paradigmi islamizzanti.
Il purdah, in particolare, è una pratica sociale e religiosa di segregazione di genere prevalente tra alcune comunità musulmane e indù in Pakistan; il termine deriva dal persiano e significa “tenda” o “velo”. Questa pratica si manifesta in due forme principali:
- Segregazione sociale dei sessi: Le donne sono fisicamente separate dagli uomini in vari contesti sociali e pubblici. Questo può includere l’uso di muri, tende o schermi per creare spazi separati.
- Copertura del corpo: Le donne sono tenute a coprire il loro corpo in modo da nascondere la pelle e le forme. Questo spesso comporta l’uso del burqa, che può includere o meno un velo per coprire il viso.
Il Purdah, di fatto, limita le attività personali, sociali ed economiche delle donne al di fuori della loro casa, influenzando profondamente la loro mobilità e partecipazione attiva nella società.
Combinando norme culturali e pressioni collegate alla globalizzazione, la matrice dello stigma viene così interpretata come un sistema stratificato e interconnesso di forze che perpetuano e amplificano disuguaglianze di genere e classe. In particolare, Husain evidenzia come queste forze non operino in isolamento ma si rafforzino vicendevolmente, creando un ciclo di esclusione sistematica che supera le specificità dei singoli contesti.
Un elemento distintivo del libro è rappresentato dall’analisi approfondita delle strategie di resistenza adottate dalle donne. Husain identifica due principali categorie:
- le capacità simboliche, che includono la trasformazione dei significati culturali attribuiti al lavoro femminile,
- le capacità relazionali, come la costruzione di reti di supporto e alleanze strategiche.
Questi strumenti non solo permettono alle lavoratrici di navigare le complessità del loro ambiente, ma rappresentano anche pratiche attive e dinamiche per ridisegnare i confini delle gerarchie sociali, culturali e professionali. Attraverso narrazioni etnografiche ricavate da quattordici mesi di lavoro sul campo, l’autrice documenta con grande finezza le sfide quotidiane affrontate dalle lavoratrici e le risorse creative mobilitate per negoziare e ridefinire la loro posizione sociale.
Inoltre, Husain analizza come l’agency delle lavoratrici non debba essere considerata una semplice reazione passiva allo stigma, ma piuttosto una pratica attiva e costante, volta a rielaborare i meccanismi di esclusione e a ritagliarsi spazi di autonomia anche in condizioni di marginalizzazione estrema. Questa prospettiva consente di superare letture dicotomiche, offrendo invece una visione complessa e dinamica delle modalità con cui le donne fronteggiano le oppressioni sistemiche. L’analisi suggerisce che l’agency non si limita alla resistenza, ma include anche la capacità di trasformare contesti ostili in opportunità per l’affermazione di nuovi equilibri sociali e culturali.
Il concetto di agency delle donne può essere facilmente collegato alla riflessione di Amartya Sen e Martha Nussbaum, che hanno sviluppato l’approccio delle capability, che pone l’accento sulle opportunità reali che le persone hanno di fare e di essere ciò che desiderano. Per Amartya Sen l’agency si riferisce alla capability delle donne di agire autonomamente e di fare scelte che influenzano la loro vita e il loro benessere; in questo senso l’empowerment e l’agency sono fondamentali per raggiungere le opportunità a cui una donna dà valore, come vivere una vita sana, avere accesso alla conoscenza, partecipare alla vita pubblica e avere un lavoro a condizioni dignitose. L’agency implica che le donne non siano viste come agenti passivi che attendono aiuti, ma come individui attivi che possono prendere decisioni e agire per migliorare la propria condizione di vita. Questo concetto è cruciale per promuovere l’emancipazione e il ruolo attivo delle donne nella società, contribuendo al benessere e allo sviluppo economico di un Paese. Anche Martha Nussbaum utilizza ampiamente il concetto di agency, e lo considera come una componente fondamentale per l’empowerment delle donne. Secondo lei, l’agency non è solo la capacità di fare scelte, ma anche di agire su queste scelte per migliorare la propria vita e quella della comunità. Questo concetto è cruciale per affrontare le disuguaglianze di genere e promuovere la giustizia sociale. Il concetto di agency così declinato si collega strettamente al pensiero femminista, in particolare al femminismo liberale. Nussbaum critica le teorie postmoderne che relativizzano le esperienze delle donne e sostiene che è necessario un approccio universale ai diritti umani che riconosca le specificità di genere.
Nell’uso che ne fa Husain nel libro, l’agency non è un concetto unico, ma si manifesta in modi diversi a seconda del contesto e delle risorse a disposizione (armi nella polizia, trucchi nelle compagnie aeree, velo nel settore sanitario) e si articola attraverso la resistenza alle norme (simbolica), la costruzione di alleanze (relazionale) e l’adattamento alle norme. Inoltre, al pari dello stigma, anche l’agency è influenzata da simboli, idee e discorsi sia locali che globali.
Il volume si inserisce all’interno di un dibattito accademico sempre più articolato sull’intersezione tra genere, lavoro e globalizzazione, dimostrando una notevole capacità di ampliare le prospettive teoriche classiche. Husain arricchisce, in questo senso, i contributi tradizionali alla sociologia dello stigma, come quelli di Goffman (1963) e Tyler (2020), non solo integrandoli con prospettive storiche e postcoloniali, ma anche evidenziando il peso duraturo delle eredità coloniali e delle politiche neoliberiste nel plasmare le dinamiche lavorative contemporanee. La ricerca di Husain trova una forte risonanza in altri contributi accademici, come gli studi di Lamont (2018) sulla destigmatizzazione e di Collins (2000) sull’intersezionalità, ampliando i confini di questi quadri teorici attraverso l’integrazione di una prospettiva profondamente radicata nel contesto postcoloniale. In particolare, l’autrice dimostra una capacità di intrecciare prospettive femministe, postcoloniali e globali, con una solida base etnografica che arricchisce il dibattito accademico. Il suo modello teorico emerge come uno strumento versatile per analizzare fenomeni simili non solo in altre società postcoloniali, ma anche in contesti globali dove il neoliberalismo, lo stigma e le strutture lavorative sono interconnessi. Recenti studi di Ahmed (2021) e Bhattacharya (2022) offrono ulteriori spunti sulla relazione tra neoliberalismo e stigma, approfondendo le modalità con cui queste dinamiche influenzano non solo le strutture lavorative globali, ma anche i sistemi culturali e normativi che perpetuano l’esclusione sociale. Husain contribuisce così anche a connettere tali dibattiti con osservazioni empiriche precise e dettagliate, creando un dialogo fruttuoso tra teoria e pratica. Questa interconnessione offre nuove prospettive sull’intersezione tra agency individuale e collettiva, aprendo spazi per futuri sviluppi teorici e metodologici che potrebbero ampliare ulteriormente l’applicabilità del suo modello.
L’approccio dell’autrice, che combina un’attenzione dettagliata al contesto socio-politico e culturale pakistano con un quadro teorico strutturale, si distingue per una profondità analitica non sempre presente negli studi di questo genere. La capacità di collegare fenomeni locali a dinamiche globali rappresenta uno degli aspetti più innovativi del volume, rendendolo interessante non solo per gli studi di genere, ma anche per le scienze sociali in generale. Inoltre, la scelta metodologica di combinare un’etnografia densa con una riflessione teorica raffinata conferisce al testo un valore aggiunto, che lo posiziona come un contributo utile per gli studiosi.
Nonostante la ricchezza e la complessità del quadro teorico proposto, alcune aree potrebbero ovviamente beneficiare di ulteriori approfondimenti. Un esempio significativo riguarda l’interazione tra religione e classe nella produzione dello stigma: sebbene questa dinamica sia implicitamente presente nell’analisi, una trattazione più esplicita e sistematica ne avrebbe migliorato la comprensione. Allo stesso modo, il concetto di “agency spettacolare” (cioè, l’uso da parte delle donne per esempio che lavorano in polizia della visibilità, la denuncia pubblica e l’impiego di simboli dello Stato – polizia, divisa – per rendere visibili le ingiustizie e punire e umiliare i molestatori) come strumento per criticare e rinegoziare lo status delle donne nella società, pur essendo teoricamente stimolante, richiederebbe un maggiore sviluppo per esplorare appieno le sue applicazioni in contesti diversi e ampliare così la portata euristica del modello. Una comparazione più ampia con altri contesti postcoloniali avrebbe ulteriormente arricchito l’analisi, offrendo una prospettiva comparativa sulle diverse declinazioni dello stigma e sulle strategie di resistenza a livello globale. Tale confronto avrebbe permesso di identificare somiglianze e differenze tra sistemi di oppressione e resilienza, rafforzando la portata universale del quadro analitico proposto.
In definitiva, si tratta di una lettura consigliata a studiosi di genere, lavoro e globalizzazione, così come a tutti coloro che desiderano comprendere e decostruire le cosiddette strutture di esclusione sistemica. Il testo incoraggia un dibattito critico sull’equità sociale, proponendo un quadro interpretativo flessibile e applicabile a contesti diversi. Husain fornisce un quadro interpretativo che, pur radicato in un contesto specifico, possiede una portata teorica e applicativa più ampia, rendendolo un contributo interessante per le scienze sociali in genere e per le discussioni sullo stigma e sull’agency femminile.
Insieme alla recensione, Mondopoli presenta una serie di Podcast, realizzati utilizzando NotebookLM, l’A.I. di Google, che approfondiscono alcune sezioni specifiche dei volumi recensiti.
Link al Podcast: https://www.mondopoli.it/2025/01/29/donne-in-pakistan-a-partire-dal-volume-the-stigma-matrix/