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Perché l’Amazzonia brucia? Una fotografia dal parco di Guajará-Mirim, in Rondônia

Apollo Simone

Il Brasile e le sue foreste affrontano ancora una volta una stagione di lacrime. A partire dalla seconda metà di luglio, il fuoco è divampato contemporaneamente in diverse aree del Paese colpendo zone agricole, riserve naturali e terre indigene e alimentando la distruzione del Cerrado, del Pantanal e dell’Amazzonia, i biomi brasiliani più ricchi di biodiversità e, allo stesso tempo, maggiormente minacciati.

Sembra una lotta impari e, anno dopo anno, il fuoco si porta via estensioni di vegetazione enormi se rapportate a quelle cui siamo abituati in Europa. Grandi aree urbane come San Paolo e Brasilia hanno vissuto giorni da inferno per l’aria irrespirabile a causa del fumo. Il cielo ha assunto tonalità tendenti al grigio anche lungo le ventose coste del nord-est, a migliaia di chilometri dai focolai esplosi in Amazzonia.

Anche senza analizzare le statistiche bastano le notizie di stampa a far capire la gravità della situazione che si ripete ogni anno all’avvento della stagione secca amazzonica: pur cambiando i governi e mutando le strategie politiche, la foresta, fonte di vita sul nostro pianeta, continua a bruciare.

Di fronte a tale fenomeno ci si sente impotenti e ci si pone il più semplice degli interrogativi: perché?

La risposta non è semplice e probabilmente non è neanche una sola. Da un lato ci sono aspetti economici, sociali e climatici che si alimentano a vicenda. Dall’altro c’è una capacità di intervento ridotta da parte delle autorità che vigilano sulla prevenzione degli incendi, riducendone l’impatto, e degli enti per la protezione ambientale, indeboliti durante gli anni della gestione di Jair Bolsonaro.

Sul primo punto pesano gli interessi dell’industria agro-zootecnica, che nulla ha a che vedere con l’agricoltura destinata all’alimentazione delle comunità locali: si brucia (o si abbatte) la foresta per avere più terreno a disposizione per il pascolo dei bovini e per coltivazioni intensive di prodotti destinati all’industria, all’esportazione e alla grande distribuzione. Tali azioni sono intraprese in modo illegale da soggetti che operano per conto di famiglie e lobby del settore interessate ad accrescere profitti anche aggirando leggi e regolamenti e usurpando i confini delle aree protette. Spesso il “lavoro sporco” della grilagem (l’appropriazione irregolare di terre pubbliche per fini privati) è svolto da organizzazioni criminali che si servono di lavoro in condizione di schiavitù e manodopera di persone che vivono in condizioni di marginalità sociale, piuttosto facili da intercettare e assoldare. Senza addentrarsi in aspetti fisico-meteorologici e climatici, la siccità legata ai cambiamenti climatici, la scarsità di precipitazioni atmosferiche e l’abbassamento del livello dei grandi fiumi sono, allo stesso tempo, concausa e risultato della devastazione della foresta.

C’è poi, come accennato, la riposta delle autorità. Se normative e architettura istituzionale esistono, pur con alcuni difetti, le carenze tecniche e logistiche non mancano, complice anche l’estensione enorme dei territori colpiti dalle fiamme. Questa dichiarazione rilasciata da un caposquadra dei Vigili del fuoco al portale di notizie della Globo, emittente brasiliana, parla chiaro: “Il supporto aereo sarebbe molto importante per gettare l’acqua dall’alto e per raccogliere i membri della brigata alla fine della giornata. Abbiamo già percorso praticamente 4 km facendo le linee tagliafuoco e quei 4 km li dovremo ripercorrere a piedi. Il supporto aereo ci lascerebbe dove c’è bisogno di combattere l’incendio”.

L’ufficiale si riferisce all’incendio captato alle 14:52 del 15 luglio 2024 e che, a quasi due mesi di distanza (scrivo questo pezzo il 9 settembre), continua a bruciare il Parque Estadual de Guajará-Mirim, unità di conservazione di competenza dello stato di Rondônia. Nonostante sia un incendio dalle enormi proporzioni, non è che uno dei quasi 7.300 registrati in Rondônia nel 2024 e dei quasi 54.000 che, secondo il WWF che ha elaborato i dati dell’INPE (l’Istituto nazionale di ricerche spaziali del Brasile), hanno colpito l’Amazzonia dall’inizio dell’anno fino a tutto agosto, trasformando i famosi “fiumi volanti”, che regolano il clima e le piogge nel continente, in vasti corridoi di fumo. Si tratta di un aumento pari all’80% rispetto al 2023 che già era stato un anno difficile.

Cito questo caso perché, come la tempesta perfetta, racchiude in sé molti elementi tipici del fenomeno degli incendi che stanno distruggendo l’Amazzonia. Farne una semplice “fotografia” può aiutare a comprendere la situazione.

Il contesto, innanzitutto, che è già ampiamente compromesso. Ci troviamo in Rondônia, regione Nord del Brasile e tra gli stati più periferici del Paese. Prende il nome dal maresciallo Cândido Rondon, esploratore dell’Amazzonia occidentale, difensore dei popoli indigeni (disegnò e diresse il Serviço de Proteção ao Índio, da cui poi sarebbe nato l’attuale fondazione FUNAI, la Fundação Nacional dos Povos Indígenas) e ispiratore dell’importante Parque Indígena do Xingu. Nonostante l’omaggio a Rondon, lo stato di Rondônia visto dalle mappe satellitari appare oggi come tristemente spoglio. Il suo territorio fa parte quasi per intero di quella larga fascia conosciuta come “frontiera agricola con l’Amazzonia”, un tempo pienamente coperta di selva e oggi confine in costante fibrillazione e implacabile avanzata tra il pianeta dell’agro-business e quello della foresta e delle genti che la vivono. La mappa non lascia dubbi, a parte un mosaico di latifondi e strade alternati a pochi residui di vegetazione, mostra solo tre o quattro zone più ampie e ancora intoccate. Si tratta di un sistema di aree protette a vario titolo: parchi nazionali, terre indigene, riserve estrattiviste, foreste nazionali, riserve biologiche e parchi statuali. Come quello di Guajará-Mirim, che sta bruciando in queste settimane. Creata nel 1990, questa unità di conservazione pretende di contribuire alla salvaguardia di alcuni ecosistemi tipici dell’Amazzonia in cui, tra l’altro, vivono numerose specie a rischio di estinzione.

Fuochi divampati in Amazzonia dal 01/01/2024 ad oggi – Immagine: riproduzione piattaforma Amazon Fire Dashboard – Servir Amazonia

La fotografia restituisce poi una rapida riflessione sulle proporzioni del problema. Il parco è in pratica un cuscinetto che si estende per 220.000 ettari al fine di ridurre la pressione della frontiera agricola (per intenderci, nessun parco nazionale italiano raggiunge queste dimensioni). L’incendio scoppiato nel luglio 2024 ad oggi ha distrutto circa il 33% della superficie del parco: 73.000 campi da calcio coperti di bioma amazzonico, pubblici e protetti dalla legge sono andati in fumo. Come già scritto, si tratta solo di uno degli incendi che hanno colpito il Rondônia e l’Amazzonia nel 2024 (probabilmente tra i più gravi): un tassello di qualcosa di ancora più grande che, in misura più o meno intensa, si ripete da anni.

Altro aspetto di questa fotografia, certamente tipico di molti altri dei fuochi che divampano lungo la frontiera agricola, è legato alle cause. Quelle climatiche già accennate: stagione, siccità, calore, precipitazioni scarse, fiumi che si abbassano. Quelle ancora opache delle dinamiche criminali su cui la magistratura indaga. I primi elementi emersi stupiscono per l’assurda differenza di proporzioni tra la semplicità con cui è stato attuato questo delitto contro la selva e la gravità degli effetti che sta provocando. La fotografia del Guajará-Mirim, che ho scelto per questo articolo, è una potenziale sintesi del perché l’Amazzonia brucia. Restituisce il tentativo di invasione illegale dell’area protetta infranto nell’agosto del 2023, quando le autorità sono intervenute sequestrando circa 2.000 capi di bestiame, rimuovendo insediamenti abusivi, procedendo ad arresti e rendendo inutilizzabili le attrezzature (l’Operação Mapinguari è stata la più grande mai realizzata in Rondônia per disoccupare la foresta). Neanche un anno dopo arriva il fuoco. Gli inquirenti ritrovano contenitori di combustibile e trappole per pneumatici posizionate al fine di ostacolare le operazioni di soccorso. Si spara addirittura contro le pattuglie dei vigili del fuoco. Tutto ciò porta gli investigatori a dire che gli incendi hanno certamente matrice criminale (ma questo è ovvio) e che probabilmente il fatto è collegato all’operazione dell’anno precedente. Una evidente sfida, dal sapore di vendetta, alle istituzioni pubbliche e alle politiche ambientali per la conservazione del bioma amazzonico.

L’ultimo livello della fotografia racconta delle conseguenze. Senza la pretesa di addentrarmi in un ambito ampio e complesso, come quello del rilascio di anidride carbonica e del contributo al cambiamento climatico, mi limito a dire che Porto Velho, capitale dello stato di Rondônia, ha uno degli indici di qualità dell’aria peggiori del Brasile (l’indice di PM2.5 nella città è attualmente 31,2 volte superiore al valore annuale raccomandato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità); che il livello del Rio Madeira, uno dei più lunghi fiumi dell’America del Sud e affluente del Rio delle Amazzoni, nella capitale è sceso al di sotto di un metro di profondità (e la stagione asciutta è ancora lunga). Le problematiche che tali questioni determinano nella salute delle persone e gli ostacoli alla qualità della vita di chi vive lungo il fiume dovrebbero come minimo allarmare. Tuttavia, ancora più grave è il fatto che incendi come questo trasformano ulteriormente la mappa della foresta. Quando le mappe satellitari saranno aggiornate, al posto del parco di Guajará-Mirim si troverà un nuovo “rettangolo di vuoto” a discapito del verde vivo che arretra inesorabile anno dopo anno, fiamma dopo fiamma. La frontiera agricola avanza. Resta l’interrogativo di cosa succederà, continuando così.

 

 

Foto Credits: © Marizilda Cruppe / Greenpeace