Brasile: differenze di genere e diritti della comunità LGBTQIA+
Il Brasile ha spesso fatto parlare di sé per le grandi contraddizioni e disuguaglianze che lo attraversano. Le fotografie aeree di Johnny Miller ne sono un’emblematica espressione, da un punto di vista urbanistico e architettonico, mentre le statistiche confermano il passo claudicante del suo percorso di crescita e di progresso: ad esempio, il tasso di diseguaglianza economica – stando all’ultimo dato della Banca Mondiale, aggiornato al 2022 e riguardante l’indice di Gini – è di ben 52 punti percentili, inferiore soltanto alla Colombia nella regione sudamericana e tra i peggiori al mondo tra i paesi per i quali disponiamo di sufficienti dati.
Le differenze salariali tra uomini e donne rivelano che queste ultime percepiscono salari inferiori (per lo stesso tipo di lavoro) nel 44% dei casi, mentre nelle opportunità di accesso al lavoro, secondo quanto riporta la piattaforma Statista, le donne sono svantaggiate del 33% rispetto agli uomini. Altre grandi disuguaglianze riguardano le possibilità di accesso all’educazione e alla sanità pubblica, che variano tra ricchi e poveri, uomini e donne e in misura ancora maggiore se si guarda alle diverse minoranze che popolano il paese (quelle indigene su tutte), ma ancora di più per i vari gruppi minoritari vittime di discriminazioni, come la comunità LGBTQIA+.
Questa situazione, che contribuisce anche a criminalità e violenza sociale, è stata esasperata dalla polarizzazione politica che ha visto alternarsi, contrapposti, i governi di Bolsonaro e Lula, il primo conservatore in materia di diritti e liberale nelle politiche economiche, il secondo più attento all’ambiente, ai diritti delle minoranze e agli strati economicamente più svantaggiati della popolazione.
Durante la mia esperienza di servizio civile in Brasile, a Fortaleza, ho incontrato Diana Maio, un’attivista femminista esperta di progettazione sociale che era venuta nell’istituto dove prestavo servizio per svolgere un’attività di sensibilizzazione sulle tematiche gender. Incuriosito dal suo lavoro e dal caso brasiliano più in generale, ho colto l’occasione per proporle un’intervista sugli stessi temi.
Purtroppo, al giorno d’oggi, nella maggioranza dei casi, parlare di genere significa parlare di disuguaglianza di genere. Per citare solo un dato, in Brasile le donne ricevono un salario inferiore del 19,4% rispetto agli uomini. Tuttavia, secondo il nuovo rapporto Global Gender Gap, il Brasile è risalito dalla 94esima posizione del 2022 alla 57esima del 2023 nella classifica mondiale dei paesi per parità di genere. Si percepisce questo cambiamento? Quali politiche sono state implementate dal governo in questo senso?
Non conosco la ricerca, ma quello che si nota in questo periodo è un tentativo di ridurre i danni causati dal precedente governo di estrema destra, il cui progetto prevedeva massicci espropri a danno di gruppi sociali già svantaggiati da disuguaglianze, comprese le donne. In particolare, mi riferisco alle dichiarazioni dell’ex presidente Bolsonaro, che già a partire dal 2017, in un evento elettorale a Rio de Janeiro, dopo essersi espresso contro donne, omosessuali e rifugiati, aveva affermato che, in caso di vittoria alle elezioni, non avrebbe più lasciato un centimetro di terra riservata a indigeni e quilombolas. Salito al potere, Bolsonaro ha introdotto il “marco temporal”, la legge che prevedeva l’esproprio delle terre degli indigeni nel caso non fossero riusciti a dimostrarne il possesso in data precedente al 1988, anno di entrata in vigore dell’attuale costituzione brasiliana. La stessa sorte poteva toccare ai quilombo, insediamenti di discendenti di ex schiavi africani fuggiti dalle piantagioni e ancora oggi stanziati sulle stesse terre dei propri avi. Ad oggi è ancora in atto la lotta per l’affermazione e il riconoscimento di questi gruppi afrodiscendenti e dei loro diritti su quelle porzioni di territorio.
Tornato in funzione il Ministero della Cultura e con la creazione dei nuovi Ministeri per l’Uguaglianza Razziale e il Ministero delle Donne, la rappresentanza delle donne nelle posizioni esecutive è aumentata, ma le risorse assegnate ai ministeri, ai segretariati per le politiche femminili e ai centri di riferimento sono ancora insignificanti per l’attuazione di qualsiasi programma che abbia un impatto reale sulla vita delle donne. Iniziative come la “Legge sulla Parità Retributiva” e il “Patto Nazionale per la Prevenzione del Femminicidio”, sono sintomatici di una nuova fase di dialogo con un governo progressista, che deve però affrontare una grande resistenza da parte di un congresso per lo più conservatore, quando si tratta di realizzare progressi reali nella vita delle donne.
Parlando di diritti della comunità LGBTQIA+, il Brasile ha una legislazione tra le più sviluppate al mondo: la prima proposta per il riconoscimento delle unioni civili nel paese risale al 1995, i matrimoni tra persone dello stesso sesso sono garantiti dal 2013, nel 1999 il Consiglio Federale di Psicologia, in anticipo rispetto a molti paesi occidentali, ha vietato espressamente il ricorso a terapie di conversione per gli omosessuali ed esistono diversi servizi sanitari pubblici dedicati. Tuttavia, nel 2016, il Brasile è stato definito il paese più pericoloso al mondo per le persone LGBTQIA+ dal quotidiano nordamericano The New York Times. Come spieghi questa situazione? Quali sono le politiche a sostegno della comunità LGBTQIA+?
I diritti della comunità LGBTQIA+ in Brasile hanno dovuto affrontare diversi ostacoli per essere affermati, non solo legali e politici, ma soprattutto ideologici. Il Brasile è un Paese a maggioranza cristiana e con l’avanzare delle sette neo-pentecostali che agiscono come forze politiche nei banchi parlamentari, nei mass media e nelle periferie delle città, l’omofobia e la transfobia hanno acquisito molta forza nella vita quotidiana, nonostante le leggi che la comunità organizzata LGBTQIA+ è riuscita a far approvare. Non siamo ancora riusciti a rompere la bolla di conservatorismo che c’è nelle istituzioni e nella cultura popolare, senza la quale queste leggi potrebbero essere effettivamente rispettate e attuate.
L’Osservatorio sulle morti e le violenze LGBTQIA+ in Brasile segnala 230 morti nel 2023, quasi uno al giorno, e la maggior parte delle vittime sono donne e, più nello specifico, donne di colore. Sembra che la violenza di genere non sia indirizzata soltanto verso le donne o una singola minoranza, ma che diverse minoranze stiano subendo le stesse violenze, dentro e fuori la comunità LGBTQIA+. Sei d’accordo con questa considerazione? Che forma deve assumere la lotta per l’affermazione dei diritti LGBTQIA+?
Le strategie di lotta per l’affermazione dei diritti sono diverse e l’organizzazione dei gruppi chiamati “minoranze” decide sulla base dei propri orizzonti politici. Credo in particolare nella radicalizzazione della classe operaia, intendendo come strategia più efficace per affrontare l’oppressione di genere e razziale la radicalizzazione e l’organizzazione della classe operaia da una prospettiva anticapitalista, che proponga cambiamenti strutturali e il rovesciamento di questo sistema oppressivo.
Gli Stati più colpiti da questa forma di violenza sono le coste e la regione del Mato Grosso, nell’interno del Paese. Ritieni che esista una correlazione tra le condizioni socioeconomiche dei diversi Stati e il rispetto dei diritti delle minoranze?
Non ho una conoscenza approfondita dei contesti politici di ciascun territorio, ma sì, è evidente una correlazione tra una maggiore rinascita del pensiero conservatore combinato con il capitale politico dell’agrobusiness e l’impoverimento della popolazione, che aumentano il potere finanziario e di pressione politica dei leader fascisti. Nel caso della zona litoranea, mi viene in mente che un’aggravante della situazione potrebbe essere lo sfruttamento del turismo sessuale e della cultura popolare del machismo ancora molto radicata nella concezione brasiliana della mascolinità.
In generale, si può dire che la capacità istituzionale degli stati brasiliani nell’ambito delle politiche per le persone LGBTQIA+ sia da moderata ad alta. Le statistiche parlano di una graduale crescita negli ultimi anni. Inoltre, il nuovo governo Lula ha scelto Symmy Larrat, un transgender, per guidare la promozione e la difesa dei diritti LGBTQIA+. Sei soddisfatta del percorso della legislazione brasiliana sui diritti umani in materia di genere? Cosa si potrebbe fare di più?
Sono molto lontana dall’essere soddisfatta. C’è ancora molto da fare su questioni prioritarie come i diritti riproduttivi, la lotta all’incarcerazione della popolazione nera, l’impoverimento delle donne, l’inserimento dell’educazione sessuale e dell’educazione alla diversità nell’istruzione di base, la promozione di campagne educative da parte degli enti governativi per la mobilitazione sociale e per il rispetto e l’accoglienza della popolazione LGBTQIA+; oltre alla necessità di aumentare risorse e attrezzature nei territori destinati all’attuazione delle leggi e delle politiche sociali.
Quali sono, secondo te, le sfide più urgenti da affrontare oggi in relazione alla tematica “genere”?
Le disuguaglianze di genere fanno parte di un pacchetto di disuguaglianze strutturali all’interno del capitalismo, di cui sono espressione il patriarcato, il razzismo e la distruzione del pianeta. Pertanto, finché l’oppressione di genere sarà combattuta solo con riforme politiche isolate, non sarà veramente risolta. Le grandi sfide continuano ad essere l’organizzazione politica popolare di una coscienza di classe e la scoperta di un nuovo modo di relazionarsi con il pianeta; ma nel breve termine, le priorità sono la delimitazione dei territori indigeni e le robuste politiche mirate all’agroecologia e alla riforma agraria, la legalizzazione dell’aborto, l’abolizionismo penale, l’abbattimento del tetto di spesa e le politiche di austerità che incidono principalmente sui gruppi storicamente oppressi e più poveri.
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