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In libreria – Unruly Domestication. Poverty, Family, and Statecraft in Urban Peru

Un volume di di Kristin Skrabut*

Redazione

La povertà è un fenomeno multidimensionale e complesso, che richiede analisi approfondite e condotte da diverse prospettive. Gli approcci epistemologici e i metodi disciplinari utilizzati sono molteplici, riflettendo talvolta visioni del mondo molto diverse, per cui si riesce a raccontare in modi molto differenti la stessa realtà.

Un esempio concreto viene dal Perù. Un economista molto noto nel decennio scorso, Hernando da Soto, quasi quaranta anni fa pubblicò un volume intitolato “L’altro sentiero” (El Otro Sendero in spagnolo, per contrapposizione alla filosofia maoista dell’organizzazione guerrigliera peruviana Sendero Luminoso), in cui sosteneva che la chiave per combattere la povertà è – anzitutto – la formalizzazione dei beni e delle attività economiche. La sua tesi centrale, che prendeva ispirazione dalle esperienze dei poveri delle zone urbane di Lima e cercava di dimostrare come i cittadini peruviani inventino soluzioni informali per aggirare gli ostacoli burocratici, è che i poveri possiedono risorse informali, cioè beni non registrati (definiti capitale morto) che, se formalizzate, potrebbero essere utilizzate come garanzia per ottenere credito e investimenti). De Soto evidenziava che l’economia informale è un grande potenziale non sfruttato, in un Paese come il Perù, e che la burocrazia eccessiva e la mancanza di diritti di proprietà formali impediscono ai poveri di entrare nell’economia formale.

Per questo motivo, il primo intervento dovrebbero essere riforme giuridiche volte a semplificare i processi burocratici e rendere più facile per i poveri ottenere titoli di proprietà e registrare le loro attività economiche.

Il lavoro di De Soto è stato ampiamente apprezzato e ha influenzato le politiche economiche in Perù e in altre parti del mondo, supportato anche da figure politiche come Margaret Thatcher. Non sono, ovviamente, mancate le critiche, a cominciare da chi sostiene che la formalizzazione non risolve tutti i problemi della povertà e che può anche portare a nuove forme di esclusione e disuguaglianza, oltre alla critica più radicale secondo cui è si tratta di una interpretazione che non affronta le cause strutturali della povertà, che sono legate a disuguaglianze sociali e politiche.

In termini tecnici, De Soto adotta un approccio economico classico e neoistituzionalista, ricorrendo all’uso di dati statistici e modelli economici, e si basa sull’idea che i principi economici siano applicabili universalmente e che le riforme giuridiche possano avere effetti simili in diversi contesti culturali e sociali. Conducendo ricerche empiriche sul camp e documentando le pratiche informali dei poveri urbani di Lima e altre città del mondo, ha utilizzato vari case studies per illustrare come la formalizzazione possa sbloccare il capitale morto.

Nel 2024, per i tipi della University of Texas Press, Kristin Skrabut ha pubblicato “Unruly Domestication. Poverty, Family, and Statecraft in Urban Peru” (traducibile in italiano come: “L’addomesticamento indisciplinato. Povertà, famiglia e tipo di intervento statale nel Perù urbano”). Skrabut è una antropologa culturale e ricercatrice di politica urbana e ambientale alla Tufts University, e il suo lavoro sul campo intreccia resoconti di residenti, di leader di comunità e altri, mostrando come gli individui abbiano un libero arbitrio ma siano anche coinvolti in processi che sfuggono al loro controllo.

Si tratta di un volume riccamente dettagliato, che riconcettualizza le complesse dinamiche di povertà e genere, governance e relazioni, offrendo molti spunti a a chiunque sia preoccupato per l’impatto del potere statale sulle vite delle persone, fornendo preziose informazioni sulle dinamiche dello sviluppo abitativo e urbano.

Il libro ribalta l’impostazione di de Soto, indagando il modo in cui la “guerra alla povertà” in corso in Perù, sostenuta a livello internazionale, modella la politica, le identità personali e lo spazio urbano a Lima. Basandosi su un decennio di ricerca etnografica nella “zona di povertà estrema” più grande e più recente di Lima, Kristin Skrabut dimostra come gli sforzi del Perù per combattere la povertà formalizzando proprietà, identità e status familiare perpetuano un’espansione urbana insostenibile dal punto di vista ambientale, aggravano la discriminazione verso le madri single e minano la fiducia dei peruviani nei funzionari pubblici, e anche tra di loro.

Il testo analizza la povertà in Perù attraverso un approccio metodologico etnografico, che combina: (i) statistiche ufficiali come quelle dell’INEI (Instituto Nacional de Estadística e Informática) per mappare la povertà, (ii) il modo in cui i media peruviani rappresentano la povertà attraverso programmi televisivi e articoli di giornale, contribuendo a creare un “immaginario della povertà” che influenza la percezione pubblica, e (iii) le storie individuali e le esperienze vissute dalle persone nei quartieri poveri di Lima, come quello di Pachacútec, fondamentali per comprendere le dinamiche interne e le strategie di sopravvivenza.

In questo modo, l’approccio di Skrabut si distingue per la sua capacità di contestualizzare i dati numerici all’interno delle esperienze vissute dalle persone, rendendo visibile evidente come la povertà venga costruita e percepita in vari contesti sociali.

Qui ci si limita a segnalare nove aspetti interessanti che emergono dalla lettura:

  1. Multidimensionalità della povertà: la povertà in Perù non è solo una questione economica, ma un fenomeno multidimensionale che include aspetti sociali, politici e culturali. Skrabut mostra come le condizioni di vita precarie siano intrecciate con problemi sanitari, di accesso all’istruzione e discriminazioni sociali. Questo richiede un approccio olistico per comprendere e affrontare la povertà.
  2. Dinamiche di potere e povertà: le politiche pubbliche e le iniziative di sviluppo sono spesso influenzate da dinamiche di potere che possono perpetuare disuguaglianze storiche. Ad esempio, le campagne di formalizzazione possono essere utilizzate come strumenti politici piuttosto che come veri interventi di sviluppo.
  3. Commodificazione della povertà: la povertà viene trasformata in un prodotto che può essere “messo in circolazione e scambiato” attraverso numeri e narrazioni drammatiche. Questa trasformazione avviene sia attraverso rappresentazioni statistiche che attraverso narrazioni emotive, creando una percezione di povertà che è sia realistica che “spendibile” sul piano commerciale. La, spettacolarizzazione, in modi sensazionalistici, della povertà attraverso i mass-media contribuisce a creare un immaginario collettivo che può essere distorto e riduttivo. Il processo di “commodificazione” – ovvero, la trasformazione della povertà in un prodotto commerciabile attraverso rappresentazioni statistiche e narrative mediatiche – rende la povertà visibile e misurabile, ma spesso distorce la realtà vissuta dalle persone povere.
  4. Rappresentazioni e disuguaglianze: le rappresentazioni della povertà nei media e nelle politiche pubbliche spesso riproducono e rafforzano disuguaglianze storiche. Ad esempio, c’è una forte associazione tra formalità legale e classi sociali elevate, mentre l’informalità è legata alle classi più basse e alle popolazioni indigene.
  5. Mappatura della povertà: il volume è corredato di mappe – utilizzando statistiche ufficiali fornite da istituti come l’INEI per mappare la povertà – che localizzano la povertà in determinate aree urbane e contribuiscono a un’analisi visiva che isola la povertà dal resto del mondo sociale, rafforzando l’idea che la povertà possa essere contenuta e gestita visivamente. Tuttavia, questo approccio spaziale tende a stigmatizzare i luoghi e i loro abitanti, ignorando la fluidità con cui le persone si muovono dentro e fuori queste aree di povertà.
  6. Critica ricorrente alle statistiche ufficiali: le persone spesso esprimono sfiducia nei confronti delle statistiche ufficiali sulla povertà, ritenendole incapaci di rappresentare accuratamente la realtà vissuta. Questa sfiducia è alimentata dalla percezione che le autorità non riescano a identificare e aiutare i veri bisognosi, nonostante la presenza visibile della povertà.
  7. Ruolo delle donne nelle comunità: Le donne svolgono un ruolo cruciale nella gestione domestica e nella mobilitazione comunitaria per ottenere servizi di base. La loro partecipazione conferisce legittimità morale alle azioni politiche e di sviluppo comunitario, nonostante il fatto che spesso non ricoprano posizioni di leadership formali. Questo sottolinea l’importanza di politiche di sviluppo che riconoscano e valorizzino il contributo delle donne.
  8. Formalizzazione e cittadinanza: la formalizzazione, attraverso documenti ufficiali come titoli di proprietà (fondamentali per Hernando de Soto) e certificati di nascita, è spesso vista come una chiave per l’inclusione sociale. Tuttavia, questo processo è spesso oneroso e burocraticamente complesso, rendendo difficile per molti poveri ottenere e mantenere lo status legale necessario per ricevere assistenza.
  9. Resistenza e adattamento: le comunità povere, come quelle di Pachacútec, mostrano una notevole capacità di adattamento e resistenza. Queste comunità non solo cercano di migliorare le loro condizioni di vita, ma anche di legittimare la loro esistenza e le loro rivendicazioni di fronte allo Stato.

Il lavoro etnografico di Skrabut, dunque, fornisce una chiave interpretativa approfondita e complessa della povertà in Perù, offrendo una visione molto diversa da quella di Hernando de Soto, concentrandosi su una comprensione più profonda e contestualizzata delle esperienze vissute della povertà e criticando i limiti delle soluzioni esclusivamente formali. L’autrice utilizza metodi etnografici come l’osservazione partecipante e le interviste approfondite per raccogliere dati sulle esperienze quotidiane delle persone che vivono in povertà e il suo approccio, esattamente opposto in questo rispetto a de Soto, enfatizza l’importanza di comprendere la povertà all’interno del contesto specifico in cui si manifesta, rifiutando l’idea di soluzioni universali applicabili a tutti i contesti.

Alcuni potrebbero trovare l’approccio etnografico troppo specifico e non facilmente generalizzabile; inoltre, l’accento sulle esperienze vissute potrebbe essere visto come meno immediatamente applicabile alle politiche macroeconomiche. Tuttavia, questo approccio metodologico permette di comprendere meglio le dinamiche interne della povertà e le sfide nella sua rappresentazione e gestione a livello locale e nazionale, evidenziando le complessità e le contraddizioni dei processi di formalizzazione. L’approccio metodologico adottato permette, cioè, di vedere la povertà attraverso molteplici lenti, rendendo visibili le dinamiche di potere, le strategie di sopravvivenza e le lotte quotidiane delle persone povere.

Nonostante la profondità dei temi trattati, Skrabut utilizza un linguaggio accessibile e coinvolgente. Del resto, i temi affrontati, come la povertà, l’inclusione sociale, la formalizzazione e le disuguaglianze, sono di interesse universale e toccano le vite di molte persone in vari contesti globali, rendendo il saggio rilevante per un pubblico ampio e diversificato, oltre che leggibile anche per chi non ha una formazione accademica specifica nel campo degli studi sulla povertà o dell’antropologia.