Un esercito di cyber schiavi
Il 2 luglio scorso il quotidiano birmano “The Global New Light of Myanmar”, l’organo ufficiale della giunta militare che nel 2021 ha spodestato il governo di Aung San Suu Kyi, ha dato notizia dell’arresto di 12 cittadini birmani e 295 cinesi autori di truffe online, cui son stati confiscati 900 cellulari e “altro materiale relativo al gioco d’azzardo”. I cittadini cinesi sono finiti in manette nella cittadina frontaliera di Tachileik, un centro molto chiacchierato sul confine con la Thailandia e non solo per le classiche attività legate alla criminalità che sfrutta il gioco d’azzardo e la prostituzione. Tachileik è infatti solo la punta di un iceberg che negli ultimi dieci anni ha visto crescere in diversi Paesi del Sudest asiatico un fenomeno singolare: delle vere e proprie “città della truffa”, Scam City, come vengono chiamate.
Se hanno proliferato senza grandi problemi per un decennio, grazie alla complicità tra Triadi cinesi, dubbi imprenditori, autorità locali corrotte e persino funzionari del governo della Rpc, da due anni a questa parte Pechino ha cominciato una vera e propria campagna per la loro eradicazione visto che le Scam City, diffuse soprattutto in Myanmar ma, seppur in forma minore, anche in Laos, Cambogia e Filippine, hanno come target soprattutto utenti cinesi della Rete cui promettono facili guadagni. Come cinese è in gran parte la manodopera. Una manodopera molto particolare, attirata in modo truffaldino approfittando di chi cerca opportunità di lavoro. Si tratta forse per il 90% di giovani cinesi, ma anche di birmani, tailandesi, cambogiani, laotiani, filippini e in parte persino africani, come testimonia la storia recente di due giovani marocchini o la denuncia di un ragazzo del Kenya riuscito a fuggire dalla rete messa in pedi dalle Triadi. Una rete complessa e particolare.
Il sistema delle Scam City
Le Scam City non sono infatti i tradizionali call center criminali cui, per esempio, l’Europa è abituata dalle truffe che si originano da un link o da un messaggio sul cellulare. A differenza dei call center diffusi in Europa, nel Sudest asiatico si tratta di vere e proprie città di recente costruzione (come in Myanmar o nel Laos) oppure semplicemente di singoli edifici blindati da sbarre più o meno dissimulati in alcune importanti città dell’area (come Sihanoukville in Cambogia o Manila nelle Filippine). Le città – sul confine tai-birmano se ne contano una decina – sono piccoli centri avveniristici in vetrocemento con Casinò, hotel, uffici ed edifici interamente adibiti alla truffa online. È un fenomeno che, nato nel Sudest asiatico, si va estendendo sempre più a Occidente: dall’India, attraverso gli Emirati, sino in Georgia. Il loro controllo non è però solo una vicenda di pura criminalità organizzata. Coinvolge infatti dei veri e propri lavoratori schiavi: truffatori non per vocazione ma per obbligo, abbagliati dalla promessa di un guadagno tra 700 o 1000 dollari al mese. In Paesi dove un salario medio può variare tra 50 e 80 come in Myanmar o nelle Filippine e dove la povertà e la ricerca di un futuro migliore possono spingere un giovane abile col pc a finire nella rete criminale.
Prigionieri nel compound
Che si tratti di interi agglomerati urbani – com’è nella zona birmana di Myawaddy – o di edifici sparsi nel reticolo cittadino, la connotazione delle Scam City sono i “compound”: vere e proprie prigioni dove un esercito di schiavi – attirati con promesse di lauti guadagni – viene obbligato a lavorare senza sosta col telefonino. Gli scammisti prigionieri in questi compound blindati (“dog” in gergo) accalappiano le vittime (“pig”) con telefonate romantiche o l’invito a fare guadagni facili: tra il “maiale da scannare” ci sono sprovveduti pensionati ma anche giovani che vogliono far denaro in fretta scommettendo nel mondo dell’azzardo online o delle criptovalute. Dopo aver conquistato la fiducia della vittima e dopo avergli fatto guadagnare un po’ di soldi che finiscono su un conto aperto ad hoc – attraverso il meccanismo delle Blockchain che sfugge al controllo delle autorità bancarie – invitano a un “investimento sicuro”. E quando la vittima ha fatto finalmente un versamento importante, il conto sparisce. Con le “vincite” virtuali precedenti e con l’ultima grossa puntata.
Truffatori vittime a loro volta
Secondo le Nazioni Unite, nel solo Sudest asiatico le centrali della truffa impiegherebbero oltre 200mila persone ma potrebbe essere una stima per difetto (sono 300mila secondo le autorità cinesi). Questi moderni cyber-schiavi, assunti con la promessa di laute ricompense salariali attraverso reclame sui social o da veri e propri uffici di collocamento criminale, giunti nel compound vengono privati del passaporto e del telefono e non vengono liberati finché non hanno raggiunto il target di profitto prefissato. Raggiunto l’obiettivo, sono liberi, anche perché si guarderanno bene dallo sporgere denuncia in quanto rischierebbero comunque la galera per truffa. Ma chi cerca di fuggire o protesta, viene picchiato, torturato e persino ucciso come raccontano le storie raccolte tra i rari fuggitivi. È un sistema ormai ben organizzato cresciuto a partire dal 2010 e in cui gli schiavi sono carnefici e vittime. Vittime due volte. Prima attirati nelle cyber prigioni e poi arrestati se – come raramente avviene – la polizia fa irruzione.
L’espansione delle scamtruffe
Se l’Europa è forse solo toccata marginalmente dalle Scam City asiatiche e i cinesi stanno sempre più facendo pressione per difendere i loro cittadini, gli Stati Uniti sono invece la vittima occidentale per eccellenza dei tentacoli delle Triadi. Ma il fenomeno, ancora relativamente marginale nei Paesi occidentali, è già importante nei Paesi asiatici oltre i confini della Cina – dove maggiore è il numero sia degli scammer sia dei pig – e del Sudest asiatico. Rajesh Kumar, a capo del dell’Indian Cyber Crime Coordination Center, sostiene che il 45% delle frodi finanziarie informatiche che avvengono in India provengono dal Sudest asiatico e che il ministero dell’Interno ha istituito un Comitato interministeriale ad hoc per occuparsi del problema. Inutile dire che le vittime sono per lo più indiani poveri che si affidano alle promesse degli scammer sperando di migliorare la loro posizione sociale.
Quanto valga globalmente questo mercato lo ha recentemente spiegato a Singapore il segretario generale dell’Interpol Jurgen Stock: le organizzazioni criminali, ha detto, si sono espanse dal Sudest asiatico fino a formare una rete globale che varrebbe oggi circa 3 mila miliardi di dollari l’anno.
Foto Credits: Emanuele Giordana, Shwee Kokko sul confine tai-birmano