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“Welfare della Resistenza”: lo Stato sociale di Hezbollah nella crisi libanese

Di Bella Francesco

È dal 2019 che il Libano vive l’accentuarsi di uno stato di crisi multidimensionale, che ha assunto tinte emergenziali con l’esplosione del porto di Beirut nell’agosto del 2020. L’acuirsi di una crisi economica senza precedenti, con annessa svalutazione della lira libanese rispetto al dollaro (un dollaro vale, più o meno, 90.000 lire libanesi; simile il cambio con l’euro), un sistema bancario al collasso e un debito pubblico che si attesta intorno al 282% del Pil nel 2022 (dati Fmi), impatta in maniera profonda sull’organizzazione dei servizi pubblici e sugli investimenti. A questa situazione economica disastrosa si legano due fenomeni: da un lato, una crisi politica che ad oggi non ha ancora prodotto l’elezione di un nuovo Presidente della Repubblica, dopo la scadenza del mandato di Michel Aoun nell’ottobre del 2022; dall’altro, la crescita di movimenti di protesta all’interno della società civile, come il movimento della ṯawra (“rivoluzione”) nel novembre del 2019, che mettono in discussione l’establishment economico-politico libanese. Il protrarsi dell’emergenza umanitaria legata alla questione dei profughi siriani, circa 1,5 milioni di persone a cui non viene riconosciuto lo status legale di rifugiati, fa da tragico contorno a un quadro socio-politico drammatico: passeggiando oggi per le strade della capitale Beirut è possibile cogliere un senso di spaesamento caotico – coadiuvato da un’urbanistica lacerata fra il nuovo, il lusso, le macerie e l’abbandono – che riflette un sentimento misto fra rassegnazione e noncuranza, una precarietà che non lascia spazio alla resilienza.

In questo contesto di profonda vulnerabilità e debolezza, da parte soprattutto delle istituzioni locali, manca un piano di riforme adeguato atto ad affrontare e tamponare la crisi. Tuttavia, l’élite politica libanese sembra più interessata a mantenere lo status quo politico che a mettere mano a tale piano o a intraprendere azioni che richiedano un programma, anche timido, di riforme, come quelle richieste dal Fondo Monetario Internazionale per la rinegoziazione del debito nazionale, processo tuttora in stallo a causa del mancato adempimento delle condizioni tese a sbloccare il prestito (che comprendono la ristrutturazione del sistema bancario e una legge sul controllo dei capitali, della quale si è discusso per tutto lo scorso anno senza arrivare ancora a nulla di fatto). L’approvazione nello scorso dicembre di un fondo sovrano derivante dalle possibili revenues dei giacimenti di idrocarburi al largo delle coste libanesi – che andrebbero in parte a tamponare gli effetti della crisi economica – è una delle dimostrazioni di come ci si applichi maggiormente per la ricerca di soluzioni accessorie piuttosto che verso cambiamenti strutturali. In sintesi, appare chiaro che la classe politica libanese abbia più interesse a preservare il proprio niẓam (“apparato”) che realmente a contribuire ad alleviare lo stato di crisi in cui versa il Libano.

Ci si chiede, legittimamente, come è possibile che una classe politica dimostratasi manifestamente inadeguata a gestire una crisi così profonda sia di fatto ancora in piedi, nonostante le proteste della ṯawra e la crisi di legittimità che la totalità del sistema politico tradizionale ha attraversato negli ultimi anni. Le elezioni del 2022, infatti, non hanno fatto che riconfermare, in sostanza, i blocchi di potere della “vecchia” politica (le coalizioni formatesi a seguito della Rivoluzione dei Cedri, ossia l’Alleanza dell’8 marzo, di cui fa parte tra gli altri Hezbollah, e l’Alleanza del 14 marzo), a parte qualche notabile eccezione costituita da partiti e candidati indipendenti emersi dalle proteste del 2019. La risposta non può essere univoca: gli equilibri politici libanesi sono in gran parte il frutto del trauma della Guerra Civile e dei conseguenti Accordi tra le parti belligeranti nella città saudita di Ṭāʾif del 1989, in cui si tentò di bilanciare i rapporti di forza confessionali e settari, dando loro un’agibilità politica più controllata. Una parziale spiegazione, tuttavia, può essere ricercata nella maniera e nelle modalità attraverso le quali i partiti libanesi sono percepiti dal proprio elettorato, nello specifico nel loro ruolo di distributori di servizi di welfare quali, ad esempio, assistenza sanitaria ed economica. In Libano, infatti, lo Stato sociale è quasi totalmente appaltato alle organizzazioni confessionali e ai partiti – in un contesto dove, secondo dati dell’Unione Europea del 2023, l’80% della popolazione del Libano versa in condizioni di povertà e il 36% in condizioni di povertà assoluta – rendendo il sistema di welfare e la sicurezza sociale un campo di “fidelizzazione” con il proprio elettorato. Di conseguenza, il consociativismo settario che caratterizza il sistema politico libanese si riflette anche sul piano delle politiche di welfare.I principali partiti libanesi cristiani, sunniti, sciiti e drusi hanno la propria rete di protezione sociale, funzionante in maniere differenti e ricalcante logiche che rispecchiano le diverse strategie dei partiti in termini di compattamento dell’elettorato. Tuttavia, il caso che desta maggiore interesse è quello di Hezbollah, il partito sciita filo-iraniano, attore politico controverso ma, allo stesso tempo, perfettamente integrato nel sistema elettorale libanese. La capacità effettiva di Hezbollah di fondare una parte del proprio sostegno politico sull’efficienza della propria struttura di erogazione di servizi sociali è riconosciuta e si fonda sul radicamento territoriale e religioso – soprattutto nel sud del Libano e nell’area della Valle della Bekaa – e sull’eredità di strutture pre-esistenti nel panorama politico-religioso sciita.

Lo Stato sociale della “Resistenza”

Hezbollah nasce ufficialmente nel 1985 con la pubblicazione del proprio documento programmatico, dal titolo “Lettera aperta agli oppressi nel Libano e nel mondo” (Risālat al-maftuḥa li-l-mustaḍa‘fīn fi Lubnān wa al-ʿālim). Il nucleo nasce dall’unione del fronte di resistenza islamico dal nome Ḥizbullāh al-Lubnān (“Partito di Dio in Libano”), fondato nel 1978 da Abbas al-Musawi, con i fuorisciti da AMAL (acronimo di ’Afwāj al-Muqāwamat al-Lubnāniyya, “Battaglioni di Resistenza Libanesi”), l’altro grande partito sciita libanese fondato da Musa al-Sadr, in polemica con l’adesione del segretario Nabih Berri al Comitato di Salvezza Nazionale, al fine di far fronte all’occupazione israeliana nel sud del Libano del 1982. L’attenzione di Hezbollah per il contesto assistenziale, oltre a derivare dai precetti di carità e solidarietà su cui si basano i fondamenti ideologici islamici del partito, era figlia dell’osservazione del quadro sociale a cui appartenevano gli sciiti in Libano: da sempre ai margini della società, in condizioni di povertà e indigenza, la popolazione sciita, fra gli anni ’50 e ’70, aveva vissuto una fase di mobilitazione sociale e modernizzazione politica che comportò il progressivo allontanamento delle masse sciite dal sistema politico tradizionale, dominato dai zu‘amā’ (mediatori politici locali, in genere appartenenti a famiglie di spicco, il cui ruolo era nello specifico quello di power brokers, ossia di indirizzare il voto verso candidati specifici in cambio di vantaggi politici od economici) al fine di cercare nuove alternative per superare le disuguaglianze socioeconomiche che affliggevano la comunità. Il contesto era fecondo per l’azione di figure importanti come Musa al-Sadr, clerico sciita iraniano che, prima di consegnare il suo nome alla storia come fondatore di AMAL, si dimostrò attivo nel contesto dell’associazionismo, attraverso la fondazione di istituti benefici, orfanotrofi, enti previdenziali ecc. (tutte queste istituzioni verranno poi accorpate, dopo la scomparsa di Musa al-Sadr, nella Mu‘assasāt al-Imām Mūsā al-Ṣadr, “Fondazione Imam Musa al-Sadr”, gestita dalla sorella dell’imam).

Questo breve excursus storico è necessario per capire che Hezbollah non ha sviluppato ex novo una rete previdenziale autonoma, nascendo infatti come movimento di resistenza, ma ha in gran parte ereditato strutture e reti lobbistiche già operative dal precedente operato di Musa al-Sadr, dove con “ereditato” non si intende, chiaramente, una trasmissione diretta ed esclusiva, quanto la possibilità di operare in uno “spazio” già organizzato che permetta l’acquisizione più immediata di un know-how operativo. Il milieu ideologico di Hezbollah, inoltre, era particolarmente consono a sfruttare questa impalcatura a fini politici, poiché il partito sciita si è sempre dipinto come campione degli ultimi, dei più poveri e dei diseredati, dalle origini fino ai giorni nostri: basti dare un’occhiata al Manifesto programmatico del 2009, che riattualizza la “Lettera Aperta” del 1985, dove si nominano “forze capitaliste selvagge”, rappresentate da Stati Uniti, Occidente e la rete di monopoli internazionali, le quali avrebbero causato al Libano solo contraddizioni e conflitti (curiosa retorica per un partito che non ha mai opposto strutturalmente nessuna alternativa alle politiche economiche e riforme di ordine neoliberista che hanno caratterizzato la storia recente del Paese dei Cedri, come approfondito da Joseph Daher in “Hezbollah: The Political Economy of Lebanon’s Party of God”, Pluto Press 2016).

La struttura di Hezbollah si divide in un braccio militare (cosiddetta Muqāwama, “Resistenza”), un bureau politico e una sezione che si occupa esclusivamente di assistenzialismo sociale. Erroneamente, si pensa che il braccio politico e quello sociale servano a supportare e legittimare il braccio militare, ma è una visione pregiudizievole, soprattutto rispetto al settore sociale, che è smentita dall’entità dei fondi che vengono diretti esclusivamente al suddetto ambito: si calcola, infatti, che generalmente intorno al 50% del budget annuale di Hezbollah finanzi le attività previdenziali e simili, con cifre che possono oscillare dai 250 ai 500 milioni di dollari all’anno (numeri che, tuttavia, rappresentano solo stime: le cifre di bilancio annuali di Hezbollah sono irreperibili, data anche la natura dei finanziamenti al partito, composti da donazioni da parte delle comunità libanesi all’estero, dal finanziamento iraniano, ma anche da ricavi dal traffico di droga internazionale, contrabbando e riciclaggio di denaro, come è riportato da numerose inchieste giornalistiche, studi accademici – come, per esempio, da Margaret Hermann e Stuart  S. Brown, “Transnational Crime and Black Spots. Rethinking Sovereignty and the Global Economy”, Palgrave Macmillan, 2020 – e dal Dipartimento di Stato degli Stati Uniti.  Questo sforzo economico è ben testimoniato dalla moltitudine di programmi sociali che Hezbollah guida, incentrati su salute, educazione, sport, assistenza economica, infrastrutture, edilizia, agricoltura, micro-credito, istituzioni religiose, centri giovanili e mass-media.

Particolare attenzione meritano le istituzioni che costituiscono il nucleo della sezione sociale di Hezbollah. Prima fra tutte, la Mu‘assasat al-Šahīd (“Fondazione del Martire”), fiore all’occhiello della struttura previdenziale del partito sciita, poiché si occupa dell’assistenza economica, sanitaria ed educativa delle famiglie dei “martiri” caduti nelle guerre della “Resistenza”, soprattutto quelle contro Israele. Per l’assistenza previdenziale ai poveri e indigenti della società libanese è presente la Lajnat ‘Imdād Imām al-Khomeini (“Comitato di assistenza Imam Khomeini”), istituzione caritatevole islamica derivata e finanziata direttamente dall’Iran e dalla diaspora libanese, soprattutto nelle aree a sud di Beirut e nel nord a Batroun e nella valle della Bekaa. La Lajnat ‘Imdād assiste le famiglie indigenti e gli orfani attraverso assegni mensili, assistenza sanitaria ed educativa (possiede infatti una fitta rete di istituzioni scolastiche, fra cui anche centri per bambini disabili), fino addirittura ad occuparsi del collocamento lavorativo dei laureati. Le altre istituzioni portanti sono la Jihād al-Binā (letteralmente “Sforzo per la Costruzione”), istituita nel 1985 per far fronte alla ricostruzione delle infrastrutture danneggiate dall’invasione israeliana ed espansasi successivamente su tutto il Libano attraverso grandi progetti infrastrutturali e appalti mirati, soprattutto nelle aree del sud del Libano e della Bekaa, e la Hayy’at al-Ṣaḥiyyat al-Islāmiyya (“Unità Sanitaria Islamica”), che possiede una rete di ospedali, cliniche, farmacie e altri servizi medici su tutto il territorio libanese.

Provvedimenti di welfare durante la crisi

Numerosi sono stati i provvedimenti che la sezione sociale di Hezbollah ha attuato durante la crisi che affligge il Libano dal 2019, in primis sul piano sanitario, specificamente nel contesto della pandemia da COVID-19. Occorre ricordare che, dal 2020 al 2021, Hezbollah ha avuto il controllo de facto sul Ministero della Sanità attraverso la nomina di un proprio affiliato, Hamad Hassan.Non è compito di questo articolo analizzare come si configuri l’utilizzo dei ministeri e delle istituzioni statali nella strategia di influenza di Hezbollah; basti però sapere che uno dei vantaggi di avere il controllo sul Ministero della Sanità è che ad esso è generalmente indirizzato il quarto budget più alto (nel 2019 erano oltre 700 milioni di dollari, dietro solo quello della Difesa, degli Interni e dell’Educazione – dati consultabili su www.opendatalebanon.org), il quale è diretto quasi totalmente al settore pubblico. Coordinando quindi la propria Unità Sanitaria con i fondi del Ministero, Hezbollah è riuscito a sviluppare un proprio piano per assistere la popolazione, dislocando oltre 1.500 dottori/esse, 3.000 infermieri/e, 5.000 membri di équipe mediche ed oltre 100 ambulanze nelle aree ad alto bisogno, mettendo inoltre a disposizione le proprie strutture per accogliere i pazienti affetti da COVID e per i pazienti in quarantena. La stessa strategia è stata adottata, in coordinamento sempre con l’Unità Sanitaria e la Mu‘assasat al-Jarḥa (“Fondazione del Ferito”, fondazione per l’assistenza ai feriti di guerra o catastrofi), in occasione dell’esplosione del porto di Beirut, per assistere i feriti, mentre le organizzazioni giovanili si adoperavano a pulire le strade e i comitati locali affiliati ad Hezbollah si occupavano di fornire riparo e assistenza a chi aveva perso la casa. Un altro importante utilizzo del Ministero della Sanità da parte di Hezbollah è stato, come riporta un’inchiesta del sito web libanese Al-Janūbiyya, quello di servirsene come paravento al contrabbando di medicinali provenienti da Siria e Iran, che il partito destinava alle farmacie di proprietà, soprattutto nel sud del Libano (Tiro e Nabatiyeh); l’accesso ai medicinali di contrabbando permetteva (e permette tuttora, come è possibile vedere sul territorio e come riferiscono alcune fonti della società civile) di aggirare la tassazione, colmare l’assenza di medicinali nelle farmacie libanesi dovuto all’insolvenza del Ministero e di creare un monopolio al ribasso rispetto alle farmacie concorrenti.

In questi ultimi anni Hezbollah si è espanso anche nel settore della grande distribuzione, attraverso la creazione di una rete cooperativa di supermercati, dal nome Maḫazin Nūr (letteralmente, “Magazzini Luce”); i beni venduti all’interno della catena di supermercati (tre nel sud del Libano, due nella Bekaa e due a Beirut) sono tutti di provenienza iraniana. Tuttavia, l’accesso a questa catena è esclusivo ai soli possessori della carta al-Sajjed, una carta sociale che viene fornita ai membri del partito e alle famiglie a basso reddito, e che viene ricaricata mensilmente. Fonti locali assicurano che la carta al-Sajjed garantisce accesso anche ad altri servizi aggiuntivi al di fuori della grande distribuzione, ad esempio servizi legati al ramo assicurativo e sanitario, ma data la ritrosia a parlare di qualsiasi argomento relazionato ad Hezbollah da parte dei libanesi (per paura di ripercussioni e/o di dare informazioni sensibili ai “nemici” del partito), non è stato possibile approfondire maggiormente né capire l’ammontare della ricarica mensile ad oggi (nel 2020 era ricaricata mensilmente con 300.000 lire libanesi, più o meno 180 euro all’epoca; con l’inflazione odierna, questa cifra ammonterebbe a poco meno di due euro).

Forse il più grande apporto nell’ambito dei servizi da parte di Hezbollah è stata la creazione, negli anni ’80, di una organizzazione finanziaria nota come Al-Qard al-Ḥāsan (letteralmente “Prestito Misericordioso”, abbreviato d’ora in poi in AQAH), che durante la crisi ha funzionato (e funziona) come sistema bancario e di micro-credito alternativo al sistema bancario libanese. In AQAH si possono aprire tre tipi di conti: un conto deposito di base, un conto “contributivo” (rivolto ad azionisti benestanti) e un fondo di “cooperazione sociale” ossia, come spiegato sul sito dell’associazione, un “fondo congiunto” con parenti, colleghi, vicini di casa ecc., “attraverso il quale ottenere prestiti facilmente rimborsabili volti ad attività tese a consolidare il concetto di cooperazione e solidarietà”. Questa organizzazione fornisce prestiti senza interessi dietro garanzie collaterali o dietro garanzie di terzi; la richiesta di prestiti da parte di AQAH è cresciuta costantemente durante la crisi: da 76,5 milioni di dollari nel 2007 a 480 milioni di dollari nel 2019. È legittimo perciò chiedersi come questo sistema sia mantenuto in vita all’interno di uno stato “agonizzante” dal punto di vista finanziario e bancario nonostante, peraltro, sia stato nel 2007 oggetto di sanzioni da parte del Dipartimento del Tesoro statunitense, con l’accusa di fornire a Hezbollah accesso al sistema bancario internazionale. Il sistema è finanziato dai proventi delle varie imprese e business di Hezbollah; tali ricavi vengono trasferiti, attraverso una rete di clearing houses (istituzioni finanziarie intermediarie che fungono da garanti del buon fine delle operazioni finanziarie, svolgendo le operazioni di compensazione) compiacenti, nel sistema bancario libanese, dove vengono riciclati. A livello finanziario è un procedimento che richiama in certi aspetti il sistema finanziario islamico della ḥawāla (che significa, letteralmente, “trasferimento di un debito” o “tratta”), ossia un sistema informale di rimesse che consente a individui o aziende di trasferire denaro attraverso un sistema di intermediari che si basa sull’onore. In ogni caso, AQAH è la prima istituzione di micro-credito in Libano e, recentemente, ha anche installato sportelli di prelievo nel sud di Beirut; considerando che gli sportelli in Libano sono disattivati a causa dell’insolvenza delle banche, AQAH risulta di fatto totalmente indipendente dal sistema bancario libanese.

Quale futuro?

Come è già stato riportato sopra, parlare di Hezbollah e la sua rete previdenziale con le fonti locali è estremamente difficile: laddove non c’è paura nel fornire informazioni, si riscontrano toni estremamente apologetici o, al contrario, denigratori e diffamatori. È perciò molto difficile, sia da fuori che dentro al Libano, avere una precisa e chiara idea della qualità del funzionamento di un sistema sociale parallelo talmente grande come quello del “Partito di Dio”. Tuttavia, è possibile ravvisare una somma di fattori che hanno messo in crisi tale sistema negli ultimi anni. In primis, lo sforzo bellico in Siria a supporto del regime di Bashar al-Assad: vi sono fonti che sostengono come la Mu‘assasat al-Šahīd abbia incontrato problemi negli ultimi anni a risarcire le famiglie dei caduti, andando a incrinare il sostegno a Hezbollah da parte dei ceti popolari sciiti. A questo, va aggiunto il colpo in termini di popolarità che le proteste della ṯawra hanno inflitto a tutto il sistema tradizionale: l’appendice “Kullun ya‘ni kullun” (“Tutti significa tutti”) allo slogan – coniato durante le primavere arabe – “Al-shaʻb yurīd ’isqāṭ al-niẓām” (“Il popolo vuole abbattere il sistema”) non escludeva certamente Hezbollah dall’equazione. Il passaggio all’opposizione nelle elezioni del 2022, dopo lo storico accesso alla maggioranza di governo nel 2018, ha decretato anche un’erosione in termini di voto e sostegno, soprattutto da parte dell’elettorato cristiano, a cui Hezbollah era arrivato in parte anche grazie al valore del suo operato sociale. In tutto questo, non bisogna dimenticare la più recente crisi al confine con Israele, che potrebbe da un momento all’altro trascinare Hezbollah in un conflitto regionale i cui esiti, anche per il funzionamento del proprio apparato politico e sociale, non sono scontati. La sensazione, insomma, è che l’asticella sia stata posta troppo in alto per un partito impegnato su così tanti fronti (militari, politici e sociali), il cui finanziatore principale (Iran) è sottoposto a sanzioni e misure restrittive da parte di Unione Europea e Stati Uniti, le cui imprese e attività economiche-commerciali non sono sempre limpide, costretto a operare in un contesto di crisi nazionale senza precedenti dal quale tuttavia trae benefici politici “tappando i buchi” di un welfare in gran parte assente. Verrebbe da pensare che è un gioco pericoloso di speculazione, ed è pur vero che Hezbollah trae vantaggio dal contesto catastrofico in cui versa il Libano, in termini di autonomia e ritorno politico; ma, allo stesso tempo, Hezbollah rischia di rimanere intrappolato e travolto, insieme a tutto l’apparato politico libanese – del quale è allo stesso tempo parte ed autonomo –, da una crisi che si allarga su troppi fronti per poter essere semplicemente arginata con provvedimenti accessori e populistici.