Due milioni di afghani espulsi dal Pakistan. Quale sarà il loro destino?
Gli afghani e l’Afghanistan non fanno più notizia, ormai. Eppure, nel silenzio del resto del mondo, è in corso in Pakistan una enorme deportazione di massa di tutti gli stranieri non regolari, un’operazione di cui sono vittime quasi due milioni di profughi afghani.
Sono impressionanti le immagini e le testimonianze che mi sono arrivate dai valichi di confine, in particolare da Torkham e Chaman, dove stazionano camion e pullman stracolmi di anziani, donne, bambini. Un’ondata di esseri umani accampati in alta montagna, all’aria aperta e al freddo, tra il filo spinato, in attesa della registrazione per entrare in Afghanistan, cioè in un paese che non può e non vuole accoglierli.
Conosco bene quei posti: sono territori pericolosi, non ci sono rifugi coperti, né illuminazione, acqua potabile o servizi igienici. Quei valichi sono zone impervie, dove si passa dal caldo estremo al gelo invernale o alle piogge battenti, ma sono anche piene di pericoli d’altro genere. In quei luoghi avviene di tutto: furti, rapine, commercio di droga, violenze di ogni genere.
Alcuni mesi fa mi trovavo a Torkham, c’era un gran movimento di gente e di trafficanti di esseri umani, interi nuclei familiari ammassati come animali su camion, autobus, carretti. Tutti in fila per oltrepassare il confine, nei due sensi. Ma per chi era diretto verso il Pakistan, il viaggio era almeno sorretto dalla speranza di fuggire dai talebani. Adesso non è più possibile: è iniziato un assurdo esodo al contrario, e – con disperazione – per molti si torna a vivere sotto i talebani.
Da molte settimane in quelle zone di confine c’è una situazione di emergenza umanitaria, effetto dell’ordine di espulsione del governo di Islamabad per 1 milione e 700 mila cittadini afghani senza documenti. Il Pakistan ha infatti intimato agli immigrati irregolari di lasciare il territorio nazionale entro il primo novembre. Dal lato pakistano del confine sono trattenuti in strutture provvisorie, erette per le operazioni di registrazione del foglio di via, mentre al di là della frontiera il governo talebano, impreparato e sopraffatto da questa marea di profughi, ha fatto installare altre tende di fortuna, prive di qualunque servizio e assistenza.
L’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR) ha intensificato la sua presenza ai valichi ed in particolare a Spin Boldak, dove il flusso è stato senza precedenti. Secondo l’agenzia Reuters, a partire da ottobre ogni giorno si sono presentate dalle 5.000 alle 10.000 persone, sia agli uffici di registro della capitale che direttamente ai posti di frontiera. L’alternativa era rischiare la detenzione o la deportazione forzata. Le autorità pakistane negano che i profughi siano stati costretti a lasciare il paese, secondo loro si tratterebbe di un rientro volontario, ma secondo le agenzie internazionali è una vera espulsione forzata. L’UNHCR riporta che ai primi di novembre erano già partiti oltre 400.000 profughi, per finire accampati nei pratoni fangosi intorno a quei valichi, che con l’arrivo dell’inverno avranno temperature che scendono fino a meno trenta.
Da mesi in Pakistan ha preso corpo un sentimento di xenofobia verso gli immigrati afghani, non soltanto per il numero sempre più alto di arrivi ma anche per i crescenti attacchi terroristici da parte dei talebani pakistani.
Negli ultimi tempi discriminazioni e violenze si sono intensificate nei confronti dei rifugiati: sono cominciati gli arresti, le intimidazioni, le estorsioni, gli abusi, gli sfratti. Vengono privati dei loro beni, degli oggetti di valore, del bestiame, così da costringerli a lasciare il paese. Ritorsioni e multe colpiscono anche i proprietari pakistani che affittano loro una casa, chiunque venga trovato a fornire alloggio o lavoro ai cittadini afghani senza documenti regolari sarà multato e arrestato. Anche nei campi profughi di Islamabad e di Karachi, dove c’è la più grande concentrazione di sfollati afghani, il primo novembre sono iniziate le retate e gli insediamenti informali sono stati distrutti. La polizia arresta tutti gli irregolari e li concentra in un immenso campo di detenzione. Altri 49 campi sarebbero già stati costruiti in diversi luoghi del paese, dove secondo Amnesty International regnerebbe una totale assenza di rispetto dei diritti umani. Sono state anche imposte restrizioni sulle somme che i rimpatriati possono portare via, cioè soltanto 50.000 rupie (circa 175 dollari), ogni eccedenza verrà confiscata.
Gran parte dei profughi vive in Pakistan da decenni e l’80% delle persone che rientrano in Afghanistan sono donne e bambini, di questi uno su quattro ha meno di cinque anni. Per la maggior parte sono nati in Pakistan, nessuno di loro conosce il paese di origine, parlano urdu e le loro famiglie non hanno più nessun legame in Afghanistan. Saranno profughi nella loro stessa patria.
Negli ultimi anni una minaccia di espulsione massiccia era stata annunciata più volte, e in passato il Pakistan aveva già avviato rimpatri, in particolare tra il 2015 e il 2016, ma non si trattava di operazioni di queste dimensioni. Questa volta è stato applicato il Foreigners Act del 1946, che criminalizza l’ingresso irregolare permettendo di procedere all’arresto dei residenti illegali, ma non solo. Il Pakistan non aderisce ai principali trattati internazionali in materia di rifugiati, e quindi vengono cacciate via anche persone in possesso di certificati di rifugiato delle Nazioni Unite, secondo quanto riferisce la Reuters.
L’UNHCR e l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (IOM) hanno denunciato i rischi di un rimpatrio forzato e le difficoltà di un reinsediamento così ingente e hanno chiesto il blocco del provvedimento, sottolineando come molti rimpatriati si troveranno ad affrontare situazioni difficili nel loro paese e subiranno violazioni dei diritti umani, ma il governo pakistano ha rifiutato di interrompere il piano di rimpatri e sta procedendo agli arresti. Human Rights Watch ha affermato che queste deportazioni violano la Convenzione delle Nazioni Unite sul principio del diritto internazionale di non respingimento, ed ha lanciato un appello alle autorità affinché collaborino con l’UNHCR per registrare tutti gli irregolari.
Per decenni, a ondate successive, il Pakistan è stato il punto di riferimento per tutte le persone in fuga dall’Afghanistan. I flussi dei loro arrivi rappresentano quarant’anni di orrori passati. Attualmente il Pakistan ne ospita più di 4 milioni ma in passato superavano i 7 milioni. Di questi, secondo i dati dell’UNHCR, soltanto un milione e 400.000 sarebbero regolarmente registrati. Sono arrivati fin dagli anni Ottanta, prima a causa della guerra e dell’occupazione sovietica, poi della guerra civile tra le fazioni dei mujahiddin del Nord, del regime talebano, dei signori della guerra, poi delle bombe e dell’occupazione americana, e infine a partire dall’agosto del 2021 a causa del ritorno dei talebani.
Secondo i dati delle Nazioni Unite sarebbero 2 milioni circa gli afghani presenti in Pakistan senza documenti. Molti sono in attesa di essere reinsediati dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite, ma ci sono ritardi nelle procedure per il rinnovo dei visti scaduti. A questi vanno aggiunti 1,3 milioni di rifugiati che avrebbero il diritto di restare nel paese in quanto in possesso del POR, uno speciale permesso di soggiorno chiamato “prova di registrazione” e rilasciato dall’UNHCR, ma che come già sottolineato non è riconosciuto dalle autorità pakistane.
Tra gli irregolari sono compresi anche i 700 mila fuggiti nella sola estate del 2021, quando i talebani presero il potere per la seconda volta in Afghanistan. A costoro è scaduto il visto d’ingresso e sono in attesa dei ricollocamenti, soprattutto da parte degli Stati Uniti e di Stati europei, altri vivono nascosti in attesa dell’inserimento nei corridoi umanitari, ma molti non si sono registrati per il timore di identificazione. Chi lascia il paese per andare in paesi terzi deve pagare una tassa di 830 dollari, esclusivamente tramite carta di credito, ma sono pochi gli afghani che in Pakistan hanno accesso al sistema bancario e la tassa non si applica per chi farà ritorno in Afghanistan.
Diversi fattori hanno spinto il governo pakistano ad attuare questo piano di espulsioni. In primo luogo, le relazioni tra il Pakistan ed il governo talebano sono diventate tese, negli ultimi due anni. Inoltre, la decisione è ufficialmente motivata da ragioni di ordine pubblico perché gli afghani sarebbero una minaccia per la sicurezza del paese, ma probabilmente secondo vari analisti si inquadra nella generale situazione di instabilità politica, che comprende il rischio di un default economico. Il paese è alle prese con un’inflazione fuori controllo e si trova in difficoltà a rispettare le condizioni di salvataggio del Fondo Monetario Internazionale, quindi gli afghani sono diventati merce di ricatto e di scambio. In questi anni il Pakistan ha ricevuto ingenti aiuti economici da parte della comunità internazionale, soprattutto dagli Stati Uniti.
Da due anni in Pakistan si verificano numerosi atti terroristici: secondo il Pak Institute Peace Studies, un istituto di ricerca di Islamabad, da agosto 2021 ad aprile 2023
sono stati registrati 473 attacchi suicidi, che hanno provocato più di mille morti. Secondo il Ministero dell’Interno, degli attentati sarebbero responsabili in larga misura i talebani pakistani del gruppo terroristico Tehrik-i-Taliban Pakistan (TTP), finanziati dal regime talebano e fiancheggiati dalla comunità di rifugiati afghani.
I talebani afghani negano qualunque contatto e legame con il TTP, sostengono che a Doha hanno preso l’impegno di non consentire a nessun gruppo jihadista straniero di utilizzare il loro territorio per colpire i paesi vicini e che hanno anche emesso una fatwa, cioè un divieto religioso, di compiere attentati in Pakistan.
Al flusso di gente in arrivo dal Pakistan si aggiungono, per il momento con numeri inferiori, anche decine di migliaia di afghani rimpatriati dall’Iran, espulsi soprattutto dalle regioni orientali di quel paese. Il governo iraniano, per bocca del suo Ministro dell’Interno, ha dichiarato che 3 milioni di afghani dovrebbero essere espulsi, ma l’accanimento si sta concentrando sui rifugiati illegali arrivati negli ultimi due anni.
I rapporti di Human Rights Watch evidenziano come la condizione degli afghani in Iran sia diventata estremamente critica. Ci sono aree completamente proibite alla popolazione afghana in 15 province o parzialmente vietate in altre 12. IL governo ha anche imposto una serie di divieti che rende difficile il lavoro agli stranieri e i rifugiati con un permesso di lavoro possono essere impiegati solo in un numero limitato di attività, con salari molto bassi e privi di tutele e dei diritti fondamentali.
Che paese troveranno i rimpatriati? Per il governo di Kabul sarà difficile la gestione di questa massa di gente: gli aiuti internazionali sono diminuiti e comunque tra la popolazione afghana ci sono già 29 milioni che vivono in povertà estrema. Ci sono ancora da ricollocare 6 milioni di sfollati interni, e la crisi umanitaria si è aggravata ulteriormente per il terremoto avvenuto nella provincia di Herat.
Per far fronte all’improvviso afflusso di rimpatri dal Pakistan il governo di Kabul ha allestito dei campi di emergenza, che però sono in pessime condizioni, privi di qualunque servizio, e altro al momento non può garantire.
L’Afghanistan non è in grado di accogliere e gestire questo ingente rientro e inoltre queste persone ritornano senza portarsi dietro nulla. Le famiglie partono sapendo già che non avranno alcuna sistemazione e non sapranno dove andare. Molti vedranno l’Afghanistan per la prima volta, e oltre il 40% di loro non potrà far ritorno nei propri luoghi di origine, a causa di calamità e disastri naturali intervenuti. Subiranno gravi forme di violazione dei diritti umani, soprattutto le donne e i minori, e altri dovranno anche affrontare persecuzioni e violenze da parte del regime talebano.
Foto Credits: EU Civil Protection and Humanitarian Aid, CC BY-NC-ND 2.0 DEED Attribution-NonCommercial-NoDerivs 2.0 Generic – Attraverso Flickr