Le Donne Mukheriste: commercio transfrontaliero all’ingrosso e al dettaglio
Mukheristas è l’appellativo che designa le donne mozambicane che vivono della pratica economica del “mukhero”, cioè il commercio informale transfrontaliero tra il Mozambico e i paesi confinanti.
Il commercio transfrontaliero, che è praticato soprattutto dalle donne, offre un’importante opportunità di produzione di reddito per le famiglie, in particolare per quelle in cui il capofamiglia è proprio una donna. In questo gruppo ci sono donne che viaggiano per brevi periodi per acquistare merci da riportare a Maputo, la capitale, e rifornire il commercio al dettaglio e all’ingrosso- o che portano prodotti per rifornire un mercato selezionato o di lusso e li distribuiscono in tutto il Paese, contribuendo quindi alla creazione e di lavoro e di occupazione.
I mezzi di trasporto utilizzati possono essere terrestri (auto, autobus e treni) o aerei. Negli ultimi tre decenni, questo genere di commercio si è esteso oltre i limiti della regione dell’Africa meridionale, raggiungendo Medio Oriente (Qatar ed Emirati Arabi Uniti), Cina, India, Portogallo e Brasile.
Oltre a queste donne che commerciano in tutta la regione, ci sono quelle che commerciano per un mercato selezionato: le assistenti di volo. Portano scarpe, borse, profumi, portafogli, abiti da donna e da uomo, soprammobili, vini e altri prodotti richiesti da un pubblico selezionato o con un reddito elevato. Tuttavia, questo particolare gruppo non sarà esaminato in questa analisi sul commercio transfrontaliero. Ci concentreremo piuttosto su quelle donne che, col tempo, hanno avuto l’intraprendenza di sostituire il semplice commercio di verdure con quello di prodotti della natura più diversa.
Da parte del Governo del Mozambico e delle sue autorità fiscali il commercio transfrontaliero viene bollato come dannoso per l’economia, a causa dell’evasione fiscale e perché spesso viene praticato senza registrazione o riconoscimento formale dell’attività. Per le mukheristas questa attività tuttavia costituisce la fonte di reddito principale delle loro famiglie, anche a causa dell’incapacità del Governo di garantire loro un impiego formale e a causa delle procedure ostative per la formalizzazione (burocrazia, alti costi per il pagamento della registrazione dell’attività, tasse annuali sul reddito e sui prodotti importati).
Nonostante queste critiche, il commercio transfrontaliero rappresenta una fonte di posti di lavoro e di una catena di attività che lo completano. Ne fanno parte autisti, reclutatori di clienti, caricatori e scaricatori di prodotti, riparatori di carretti a mano o txova (parola che in Changana, una delle lingue nazionali parlate nel Mozambico meridionale, significa “spingere”), ristoranti, boutique, bottiglierie, stazioni di servizio, fornitori di servizi di conto corrente mobile (per pagamento di vari servizi e trasferimenti di denaro), telefonia mobile, venditori di pezzi di ricambio per veicoli e naturalmente le persone impegnate nel commercio all’ingrosso e al dettaglio. Questa attività opera letteralmente “Da Rovuma a Maputo e da Zumbo all’Oceano Indiano” (espressione locale che si riferisce agli estremi limiti territoriali del Mozambico) poiché raggiunge tutte le province del Mozambico.
In Mozambico il commercio transfrontaliero, soprattutto quello esercitato da dalle donne, è iniziato in misura limitata negli anni ’80, quando la città di Maputo era sotto assedio a causa della guerra, durata 16 anni (1976-1992), che opponeva la RENAMO al governo guidato dal FRELIMO. A causa della generale mancanza di prodotti alimentari, alcune donne decisero di affrontare il rischio dei proiettili e di recarsi nel Regno di E-Swatini (allora Regno dello Swaziland) per acquistare pane, uova, olio, zucchero, sapone e farina. Come hanno detto alcune donne intervistate, lo facevano per i loro figli, e se non lo avessero fatto, i loro figli sarebbero morti di fame. Va anche riconosciuto che l’accordo sulle strutture di frontiera, stabilito all’epoca, consentiva alla popolazione che viveva nella città di confine di Namaacha di attraversare il confine per fare acquisti di base, ed è stato in questo modo che si è aperta una finestra di opportunità per spostamenti più regolari e per l’espansione di questo tipo di attività.
Con la fine dell’Apartheid in Sudafrica e dei 16 anni di guerra in Mozambico, le donne hanno preso a esercitare questi commerci in modo più regolare e costante. D’altra parte dal 2005, con l’esenzione dei visti d’ingresso firmata tra i governi del Mozambico e del Sudafrica e successivamente anche con quello dell’allora Regno dello Swaziland, l’attraversamento delle frontiere è diventato più facile e quindi è aumentata la varietà dei prodotti che potevano essere introdotti in Mozambico. Inoltre, le donne non si limitano a portare prodotti provenienti da quei Paesi, ma ne portano altri all’estero dal Mozambico. Il commercio transfrontaliero è diventato una vera e propria ragnatela in cui agiscono diversi attori oltre alle mukheriste: gli spedizionieri, gli agenti del fisco, la polizia migratoria e le guardie di frontiera, i commercianti e i consumatori.
Come qualsiasi altra attività, anche questa ha subito impatti negativi associati alla situazione economica e militare del Mozambico e alle crisi sanitarie, in particolare quella del COVID-19. Le restrizioni di movimento parziali (coprifuoco) o totali (lockdown) imposte durante la crisi del COVID hanno avuto conseguenze molto negative su queste attività. Di conseguenza si sono verificate carenze di prodotti e i prezzi sono aumentati fortemente. D’altro canto, le città mozambicane, in particolare Maputo, hanno iniziato a registrare un aumento degli orti familiari e della produzione agricola in piccoli appezzamenti lungo le aree verdi. Questa situazione ha permesso agli abitanti di Maputo e delle città vicine di tornare a consumare prodotti locali.
L’emancipazione femminile attraverso il commercio transfrontaliero.
Le donne sono le protagoniste del commercio transfrontaliero informale dell’Africa australe. Attraverso questa attività, oltre a garantire il reddito familiare, contribuiscono anche all’approvvigionamento dei mercati interni (formali e informali). Anche se la partecipazione a questo settore del commercio informale sembra offrire un’opportunità per l’emancipazione economica delle donne, esse svolgono però questa attività in un ambiente irto di difficoltà che le pongono in situazioni di vulnerabilità, rispetto a pericoli come episodi di violenza, furti, frodi , perdita di beni a causa della confisca da parte dell’Autorità fiscale, e altro ancora. Sono inoltre esposte a rischi sanitari che includono infezioni da HIV o Covid-19.
Da un recente studio su “Ricerca qualitativa sui commercianti transfrontalieri informali in Mozambico: le sfide dell’associazione ICBT Associação Mukhero nell’ambito di COVID-19″, condotto nella città di Maputo per IDE-JETRO, durante il quale ho raccolto testimonianze di mukheristas e del presidente dell’Associação Mukhero, è emerso chiaramente che questo commercio è d’importanza vitale per le donne e le loro famiglie.
Grazie a questo commercio, le donne si emancipano perché garantiscono un reddito alle loro famiglie, espandono le loro attività in tutto il Paese, sono in grado di costruirsi una casa , di fare in modo che i loro figli studino fin quando le loro possibilità lo permettono e, soprattutto, creano una catena di piccole attività che ampliano i loro confini. Si sentono emancipate, perché l'”emancipazione delle donne” inizia con l’emancipazione finanziaria.
Tutti qualificano in modo dispregiativo l’attività di mukhero, che però salva le famiglie
Il commercio transfrontaliero rappresenta una delle grandi sfide nei processi di gestione della circolazione delle persone, della gestione delle entrate doganali e della sicurezza delle persone coinvolte in questa attività. Tuttavia, quando si parla di commercio transfrontaliero o delle persone coinvolte, che sono per lo più donne, affiorano molti pregiudizi su di loro e diverse etichette negative vengono loro affibbiate dalla società. Le donne che svolgono questa attività sono guardate con disprezzo, perché agli occhi di alcuni esercitano attività illecite e usano mezzi illegali .
Gli studi condotti nell’ambito del SAMP (Southern African Migration Programme) mostrano la grande vulnerabilità di queste donne che, a causa di varie circostanze, si sono trovate costrette a esercitare questa attività e per motivi di sopravvivenza, attuano strategie per sfuggire all’ostilità dell’ambiente che le circonda.
In una delle rarissime occasioni in cui ho intervistato direttamente delle mukheristas una di loro mi ha mostrato il suo diario, in cui racconta l’odissea che deve affrontare, dal lasciare i suoi figli alla cura dei vicini , all’attraversamento della frontiera, alle molestie sessuali che subisce durante tutto il viaggio per portare i prodotti sul mercato. Ma alla fine della giornata si sente felice, perché ha garantito il pane ai suoi figli e a molte altre persone. Nonostante i pregiudizi, nel corso di un seminario tenutosi nel gennaio 2020 sull’espansione dei supermercati e la sopravvivenza del mercato informale, cui hanno partecipato rappresentanti del Comune di Maputo, ricercatori, il presidente dell’Associazione Mukhero e alcune donne mukheriste, si è arrivati alla conclusione che questa attività costituisce un “salvavita” per molte famiglie, rifornisce i mercati informali, diversifica la dieta degli abitanti della città e rende disponibili prodotti altamente lavorati ed è un facilitatore per alcuni commercianti che non vogliono affrontare le difficoltà legate alle procedure di importazione dei prodotti.
Va tuttavia considerato anche il problema rappresentato dal fatto che i generi alimentari che arrivano tramite le mukheristas fanno diminuire drasticamente il consumo di prodotti naturali, biologici e di produzione locale, compresa la frutta. Una delle indagini su migrazione e povertà condotta nella città di Maputo mostra un aumento delle malattie associate al consumo di cibo e allo stile di vita urbano. Il diabete e le malattie cardiovascolari sono una conseguenza dell’elevato consumo di alimenti ricchi di sodio, grassi e zuccheri, dello stile di vita sedentario e del basso consumo di alimenti biologici. Una delle principali conseguenze è l’onere che grava sui servizi sanitari per il trattamento di malattie prevenibili.
La città di Maputo e molte altre città del Mozambico hanno sempre più bisogno di cibo a prezzi accessibili e disponibile in modo regolare. Il commercio transfrontaliero è la soluzione? O ci sono alternative? Se durante il COVID-19 è stato possibile “sopravvivere” al lockdown, perché non investire ancora di più nell’agricoltura urbana?
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Foto Credits: Helena Guivala