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Brasile, crisi umanitaria tra gli indigeni Yanomami

Indagini per genocidio contro il governo Bolsonaro

Spera Luigi

Il piccolo Wathou è morto a soli sette mesi in un reparto di terapia intensiva neonatale dell’unico ospedale pediatrico dello Stato brasiliano di Roraima, lasciato senza scampo da una polmonite. Ventiquattro ore prima, un altro bambino indigeno, Ketaa, era stato vinto dalla malnutrizione. Altri prima di loro avevano perso la vita a causa della malaria e di altre malattie curabili. In tutto, nel 2022 si sono contati 99 decessi tra i bambini del popolo originario Yanomami. Nel corso del quadriennio 2019-2022 sono morti di stenti almeno 579 bambini con meno di 5 anni. In alcune regioni della riserva indigena otto bambini su dieci soffrono per la mancanza di cibo. Per questo i piccoli Yanomami muoiono di malnutrizione a un ritmo di 191 volte superiore alla media nazionale.

Agli adulti non va meglio. Quando non sono la fame e malattie, a uccidere è la violenza diffusa, gli omicidi, oppure le conseguenze degli stupri o dell’accesso all’alcol. Tutti abusi causati dall’invasione e dall’azione dei minatori illegali che con intensità sempre maggiore nel corso degli ultimi anni si sono impossessati di vaste zone della foresta amazzonica brasiliana. Le stime mostrano che almeno ventimila “garimpeiros” avrebbero invaso l’unica riserva Yanomami, un’area estesa quanto il Portogallo che, secondo la Costituzione e la legge, dal 1992 dovrebbe essere protetta e interdetta all’accesso di qualsiasi persona non appartenente a popoli originari.

Non è andata così, e per questo la comunità Yanomami, di circa trentamila persone, è al centro di una delle peggiori crisi umanitarie che hanno afflitto i popoli indigeni nella storia del Brasile. Una crisi che, a causa della negligenza da parte dello Stato, viene già considerata come un possibile genocidio. Su questa ipotesi di reato, previsto dal codice brasiliano, indagano le autorità e la Corte suprema del Brasile, che hanno già messo sotto la loro lente le azioni – e soprattutto le omissioni – del governo dell’ex presidente Jair Bolsonaro, criticato in patria e a livello globale per la sua politica anti-indigenista e dichiaratamente a favore dello sfruttamento della foresta amazzonica.

Esplorazione della foresta, criminalità organizzata e crisi umanitaria

Secondo uno studio dell’Ong Hutukara (Hutukara Associação Yanomami, Hay), l’estrazione illegale di risorse del suolo e sottosuolo nella riserva è cresciuta del 54 per cento solo nel 2022 rispetto all’anno precedente. Lo scorso anno sono stati distrutti 5.053 ettari di foresta pluviale amazzonica. Dal 2018, anno in cui furono disboscati 1.236 ettari di terreno, l’aumento è stato del 309 per cento. La maggior concentrazione di distruzione avviene lungo le sponde del fiume Uraricoera. Il corso d’acqua navigabile a nord della riserva Yanomami è la principale via di collegamento utilizzata dai minatori clandestini per raggiungere l’interno del territorio. Seguono il fiume Mucajaí, nella regione centrale, e la regione di Homoxi, alle sorgenti del Mucajaí. Dal dossier dell’Hay emerge in particolare l’aumento del disboscamento illegale legato all’attività di estrazione dell’oro.

La presenza di minatori illegali, certificata dal 1980, è aumentata da quando numerose organizzazioni criminali brasiliane e colombiane hanno trovato nelle riserve amazzoniche un nuovo “El Dorado”. Sfruttando la conoscenza del bacino idrico della foresta, da anni attraversato per trafficare cocaina, le più potenti organizzazioni criminali del Paese hanno iniziato a delocalizzare la propria influenza criminale per poter sfruttare le risorse o semplicemente reinvestire e riciclare denaro sporco attraverso il contrabbando di oro e legname. Secondo le indagini di magistratura e della Polizia federale, tra Comando Vermelho (Cv), Primeiro Comando da Capital (Pcc) e i dissidenti delle disciolte Forze armate rivoluzionarie di Colombia (Farc), sarebbero circa 1.600 i membri di fazioni dentro e fuori il sistema carcerario dello Stato di Roraima. Molti, tra cui decine di latitanti, si nascondono all’interno della riserva indigena Yanomami, dove lavorano in collaborazione con i minatori illegali. La facilità di riciclare il denaro con l’oro e la mancanza di controlli sono le ragioni principali della migrazione di organizzazioni criminali verso l’attività mineraria. Oltre ad essere un ‘asset liquido’, il suo ingresso nel mercato avviene grazie a regole flessibili. La legge prevede che l’indicazione dell’origine dell’oro sia responsabilità del venditore e non dell’acquirente, e permette anche di non rivelare le zone di provenienza. Quindi, gran parte dell’oro estratto illegalmente finisce per essere “legalizzato” nel mercato finanziario.

L’estrazione illegale di minerali preziosi, cassiterite e oro in primis, ha riversato sulla zona sostanze gravemente inquinanti come il mercurio, con ripercussioni sullo stato di salute dei fiumi, delle falde acquifere e, di riflesso, sul cibo destinato al consumo locale, di fatto tagliando fuori gli indigeni dall’accesso alle risorse del territorio che li rende, da sempre, autosufficienti. Ribellione e resistenza vengono sopraffatte con violenze, stupri, torture e omicidi. La presenza di un numero sempre maggiore di garimpeiros invasori e criminali ha alterato l’armonia ambientale e la società originaria degli indigeni. Violazioni al tessuto sociale ed economico hanno deteriorato le condizioni sanitarie e generato focolai di infezioni: malaria, influenza, morbillo e covid-19.

La presenza tossica dei ‘garimpeiros’ nella riserva indigena

L’integrazione tossica tra gli indigeni e la ‘società’ dei cercatori d’oro contribuisce a peggiorare lo scenario. Gli invasori utilizzano due principali strategie per penetrare il territorio Yanomami: la forza o la persuasione. Nel rapporto “Yanomami sotto attacco”, delle associazioni Hutukara e Wanasseduume Ye’kwana, si fa riferimento all’adescamento e alla corruzione morale quali strategie adottate dai cercatori d’oro per entrare e rimanere nelle terre indigene. I garimpeiros corrompono gli indigeni in cambio di merci o di cibo, di cui si avverte la mancanza dopo che i campi sono stati distrutti dalle miniere, il bestiame è fuggito e il pesce è stato avvelenato dal mercurio.

In questa situazione di povertà forzata ed emergenza, le donne sono particolarmente vulnerabili. Il documento ricostruisce adescamenti e offerte di beni per gli indigeni “in cambio” delle loro figlie e sorelle. Per avere rapporti sessuali con le giovani indigene senza usare la forza, i garimpeiros offrono cibo, profumi, vestiti, oro e, soprattutto, bevande alcoliche. Non abituati al consumo di alcol, gli indigeni ne avvertono gli effetti più rapidamente e i cercatori ne approfittano per commettere crimini e per abusare di ragazze e donne. Presso la Casa della Salute indigena (Casai) della capitale di Roraima, Boa Vista, si trovano almeno 30 giovani Yanomami incinte di garimpeiros. Qui sempre più ragazze vengono assistite per malattie sessualmente trasmissibili, soprattutto la gonorrea.

I bambini non vengono risparmiati. Il ministero dei Diritti umani del Brasile ha avviato un’indagine per verificare possibili adozioni illegali e sfruttamento sessuale di minori nella riserva indigena. “Oltre alle cause di mortalità infantile, stiamo indagando su possibili adozioni illegali di bambini indigeni, casi di collocamento irregolare di minori in strutture di accoglienza, abusi sessuali e sfruttamento sessuale dei minori”, ha riferito la sottosegretaria per i diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, Ariel Castro.

Bolsonaro: lo sfruttamento dell’Amazzonia come bandiera politica

Sin dalla campagna elettorale, poi vinta nel 2018, Bolsonaro ha fatto dello sfruttamento dell’Amazzonia una bandiera politica. In più occasioni ha riproposto come concetto chiave della sua visione politica lo sviluppo nella regione amazzonica: lo Stato, esercitando la sua sovranità, deve poter sfruttare economicamente il territorio così come tutti i paesi hanno diritto di fare all’interno dei loro confini. Una volta eletto, alle parole sono seguiti i fatti. Sin dall’inizio della sua amministrazione, Bolsonaro ha avviato un processo di depotenziamento economico, strutturale e funzionale di alcuni organismi istituzionali deputati alla tutela dell’ambiente e dei popoli originari, soprattutto la Fondazione nazionale dei Popoli indigeni (Funai) e l’Istituto brasiliano per l’ambiente e le risorse naturali rinnovabili (Ibama). Di conseguenza, nel corso degli anni si sono ridotti i controlli, le operazioni, i sequestri e le multe applicate per violazioni. Il territorio è stato lasciato senza tutela. E i criminali ne hanno approfittato.

Come se non bastasse, sono state avanzate numerose misure e proposte di legge per favorire lo sfruttamento delle risorse, spacciando l’apertura all’estrazione mineraria come un’opportunità per gli indigeni. Il governo ha proposto una riforma (Pl191) che prevedeva la cancellazione delle politiche di tutela del territorio autorizzando l’attività mineraria in riserve indigene e autorizzando piantagioni di colture transgeniche, la costruzione di centrali idroelettriche e la rimozione di barriere alle attività zootecniche, allo sfruttamento petrolifero e al turismo di massa. Dopo la bocciatura da parte della Corte suprema per incostituzionalità, il governo ha riproposto la legge sotto forma di decreto a dicembre del 2022, a fine mandato. Il testo è stato poi ritirato dal nuovo governo.

Inoltre Bolsonaro si è detto più volte detto a favore dell’approvazione della legge del limite temporale (490/2007 del marco temporal). Secondo la norma, i popoli indigeni che non possono provare che alla data del 5 ottobre 1988 (giorno in cui fu promulgata la Costituzione brasiliana) abitavano fisicamente sulle loro terre, non potranno vantare più alcun diritto su di esse. E questo significa che quelle terre non potranno mai essere considerate riserve e saranno esposte alla speculazione. Per l’Alto commissariato delle Nazioni unite per i diritti umani (Ohchr) “la legge si colloca nel contesto di un’agenda parlamentare anti-indigena” che ripropone “la forma più coloniale di sfruttamento, essendo un evidente tentativo di neutralizzare l’articolo 231 della Costituzione” (il quale prevede che siano riconosciuti agli indigeni i diritti di conservare la propria organizzazione sociale, i costumi, le lingue, le credenze e le tradizioni, così come i loro diritti originari sulle terre che tradizionalmente occupano. Spetta allo Stato delimitare, proteggere e garantire il rispetto dei loro territori e beni) . Il combinato disposto delle nuove proposte di legge, dell’indebolimento dei controlli e del messaggio lanciato da queste politiche ha favorito il clima che ha portato alle invasioni.

Denunce e allarmi ignorati dal governo: il quadro delle omissioni

La situazione in cui hanno vissuto gli Yanomami, soprattutto negli ultimi quattro anni, è stata oggetto di numerose denunce, inchieste, studi e report da parte di istituzioni brasiliane e internazionali, di partiti politici e associazioni di indigeni, oltre che dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (Onu) e di Organizzazioni non governative (Ong). In base all’analisi degli atti effettuata nelle ultime settimane da diversi ministeri e dalla magistratura, è emerso che molte volte e a più livelli istituzionali il governo Bolsonaro era stato avvisato e allertato della condizione di vita degli indigeni, senza mai dedicare attenzione o offrire una risposta alla crisi, lasciando progressivamente aggravare la situazione.

Almeno quattro denunce dettagliate sono state inviate presso il Tribunale penale internazionale dell’Aia dai rappresentanti dell’Articolazione dei popoli indigeni del Brasile (Apib). Nel 2020 la Commissione interamericana per i diritti umani (Cidh) ha richiamato l’attenzione sulle minacce dei minatori al territorio del popolo Yanomami. Come risposta, il governo non partecipò all’udienza della Cidh organizzata per discutere delle violazioni dei diritti umani degli Yanomami. L’associazione Hutukara ha inviato nel corso degli ultimi due anni 21 lettere ufficiali ad enti pubblici denunciando “sanguinosi conflitti che possono raggiungere la proporzione del genocidio” degli Yanomami. Dal 2021 la Protezione civile dello Stato di Roraima ha avvertito numerose volte il governo della crisi umanitaria sofferta dagli indigeni Yanomami, delle violenze e della malnutrizione. Nel 2021 e 2022, di fronte alla crisi legata all’invasione dei garimpeiros, la Polizia federale più volte ha sollecitato l’aeronautica militare perché chiudesse lo spazio aereo sulla riserva per impedire i rifornimenti ai minatori illegali. Tra il 2020 e il 2022 le strutture di controllo del Sistema sanitario nazionale (Sus) nei territori Yanomami hanno denunciato problemi di gestione e di impiego delle risorse trasferite. Tutti gli allarmi e le segnalazioni sono stati rigorosamente ignorati dal governo Bolsonaro.

Secondo il pool di magistrati della procura federale di Roraima costituito per indagare sulle omissioni e negligenze istituzionali, il governo Bolsonaro ha “deliberatamente e sistematicamente ignorato la crisi umanitaria causata dall’attività mineraria illegale nella riserva Indigena Yanomami. L’inerzia – riferiscono i sostituti procuratori – è continuata anche dopo ripetute sentenze giudiziarie che obbligavano il potere pubblico ad agire”. Secondo la relazione della magistratura “man mano che gli indicatori di salute degli Yanomami si deterioravano, il comportamento negligente si è esteso a tutti i livelli del governo federale e alle strutture che avrebbero dovuto proteggere gli indigeni dall’invasione mineraria: il dipartimento per la Salute indigena (Sesai), la Funai, l’Ibama e le forze armate.

Tali comportamenti vanno dalla clemenza verso uno schema di corruzione che dirottava medicinali destinati alle popolazioni indigene, a operazioni di contrasto alle attività estrattive volutamente inefficaci, passando per il taglio dei rifornimenti nelle unità sanitarie e al tentativo di riversare i minerali sequestrati nel bilancio dello Stato”. La lunga relazione della procura è la base da cui prende le mosse l’inchiesta per genocidio.

L’inchiesta per genocidio

Il 31 gennaio il giudice della Corte suprema del Brasile (Stf), Luis Roberto Barroso, ha ordinato l’apertura di una indagine per verificare il possibile crimine di genocidio commesso contro gli indigeni Yanomami da parte di rappresentanti del governo dell’ex presidente Jair Bolsonaro. Le indagini non si limiteranno al sospetto di genocidio, ma includeranno crimini come la violazione del segreto giudiziario, la disobbedienza e i crimini ambientali che hanno minacciato la salute, la sicurezza e la vita di diverse comunità indigene.

Il giudice Barroso sostiene che una prima analisi dei documenti e delle denunce giunte alla Corte suprema avrebbe evidenziato “il verificarsi di azioni od omissioni, parziali o totali, da parte delle autorità federali”, che avrebbero aggravato “un quadro di assoluta insicurezza delle popolazioni indigene”. Secondo Barroso, diverse misure adottate dal governo avrebbero compromesso le operazioni di repressione dei minatori illegali. Nella sua richiesta il giudice supremo indica una serie di decreti e disposizioni del governo e di agenzie collegate che avrebbero dovuto difendere gli indigeni.

Nell’ordinare alla Polizia federale di aprire un’indagine per genocidio, il ministro della Giustizia, Flavio Dino, ha affermato che “ci sono indicazioni molto forti della possibilità di un tentativo di genocidio”. Il fatto che si siano registrate morti dovute a malnutrizione o malattie curabili, che le popolazioni locali abbiano avuto scarso o nessun accesso ai servizi sanitari e che le ripetute richieste di aiuto contro la violenza derivante attività illegali di minatori non siano state ascoltate “evidenziano una possibile intenzione di arrecare grave danno all’integrità o addirittura causare l’estinzione del suddetto originario gruppo”, ha scritto. “Le risorse pubbliche federali destinate alla salute indigena, non sono state correttamente utilizzate”, ha aggiunto Dino nel documento trasferito alla polizia.

Scudo Yanomami: le misure di contrasto al ‘garimpo’ del governo Lula

Da quando alla fine di gennaio il presidente appena eletto Luiz Inacio Lula da Silva ha dichiarato l’emergenza nazionale Yanomami, è stata avviata una massiccia operazione di salvataggio, affiancata a numerose azioni di repressione per espellere i minatori illegali. Dal punto di vista sanitario, dopo aver sostituito i coordinatori del Sistema sanitario di assistenza ai popoli indigeni (Sesai), il governo ha disposto il trasferimento nell’area di medici e infermieri del Servizio sanitario nazionale (Sus). Grazie a questo intervento è stato possibile riprendere le attività dei centri di salute dedicati all’assistenza agli indigeni che erano stati chiusi. Nell’area dove la situazione è più grave è stato aperto un ospedale da campo dell’aeronautica militare. Per gli ammalati più gravi è stato montato un ponte aereo, sempre a cura delle forze armate, per trasferire le persone più bisognose di aiuto verso gli ospedali e i centri più attrezzati dello Stato.

Quanto alla repressione delle attività criminali, il primo febbraio il governo ha inaugurato l’operazione “Scudo Yanomami”, un piano che prevede innanzitutto il blocco degli accessi via aerea e via fiume, per iniziare a limitare le infiltrazioni delle reti criminali nella zona. Il governo ha disposto una “no fly zone“, primo passo inteso a smantellare un’intera economia illegale e i suoi artefici. Il ministero della Giustizia ha inoltre inviato la Forza nazionale per rafforzare soprattutto la sicurezza delle basi Funai e dei presidi sanitari destinati all’assistenza umanitaria degli indigeni. Nella zona sono inoltre operative squadre della Polizia federale che, con il supporto logistico delle Forze Armate, stanno demolendo gli accampamenti, distruggendo le attrezzature e arrestando i minatori abusivi. L’aeronautica militare brasiliana (Fab) ha poi aperto tre corridoi aerei attraverso i quali è consentita l’uscita spontanea dei minatori che operano illegalmente nella regione. L’apertura parziale è stata adottata dopo che governo e popoli indigeni avevano notato una fuga volontaria dei cercatori d’oro a seguito dell’inizio delle operazioni.

Il presidente della Commissione parlamentare d’inchiesta creata nel Senato brasiliano per monitorare la situazione e controllare le misure adottate dal governo in favore del popolo Yanomani, Hiran Gonçalves, ha riferito che già circa 19.000 garimpeiros sono già usciti dalla riserva Yanomami. Questo mostra che evidentemente finora era mancata la volontà politica e l’azione repressiva. Questo lascia anche intuire un possibile trasferimento di garimpeiros verso altre riserve o altre aree non tutelate della foresta amazzonica. Per questo, è significativo l’annuncio fatto dal presidente Lula lo scorso 13 marzo, nel corso del suo intervento alla 52ma Assemblea generale dei popoli indigeni, in cui ha evidenziato che è necessario identificare e demarcare nuove riserve indigene per impedire nuove invasioni di minatori illegali e favorire così la tutela della foresta amazzonica.

Foto Credits:

Sam valadi – Attribution 2.0 Generic (CC BY 2.0), attraverso Flickr

Javierfv1212, CC BY-SA 3.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/3.0>, via Wikimedia Commons