Il caso del Venezuela davanti alla corte penale internazionale
La storia della Commissione Venezuelana per la Giustizia Penale Internazionale, team che ha presentato le memorie giuridiche sulle quali si è fondata la richiesta di giurisdizione sussidiaria della Corte Penale Internazionale per il caso denominato “Situación Venezuela 1”.
Come è stato documentato dai report ONU, il Venezuela, tra il 2014 e il 2017, ha vissuto un momento di sussulto “di popolo” come da tempo immemore non si vedeva nel paese caraibico. Come riportato anche da numerosi network di controllo, come il “Control Ciudadano para la Seguridad, la Defensa y la Fuerza Armada Nacional”, la repressione del Governo bolivariano nei confronti della popolazione è tuttora durissima e aggressiva; sparizioni, sequestri, esecuzioni extragiudiziali e tortura sono gli strumenti con i quali il Governo intende gestire il “furor di popolo” e riportare l’ordine all’interno del paese. Per questo motivo il popolo insorge e il Governo reprime.
Secondo il report della Missione indipendente delle Nazioni Unite, attivata con la Risoluzione numero 42/25 (Situazione dei Diritti Umani nella Repubblica Bolivariana del Venezuela) e guidata dall’ex-Presidente del Cile ed ex Alto Commissario ONU per i Diritti Umani, Michelle Bachelet, “per almeno un decennio, il governo, così come le istituzioni controllate dal governo, hanno applicato leggi e politiche che hanno accelerato l’erosione dello stato di diritto e lo smantellamento delle istituzioni democratiche, inclusa l’Assemblea nazionale, […] .Queste misure mirano a neutralizzare, reprimere e criminalizzare gli oppositori politici e i critici del governo” conclude la Bachelet. Misure che, per giunta, sono state istituzionalizzate.
Per chiarire il concetto di “istituzionalizzazione della repressione”, i report ONU spiegano che nel Paese, in questi anni tumultuosi, la militarizzazione della società si è fortemente evoluta estendendo le sue maglie a qualunque settore ed attività sociale “utilizzando finanche la popolazione in attività di raccolta informazioni e dati per l’intelligence”.
Uno studio svolto da Francine Jacome – Direttore esecutivo dell’Istituto Venezuelano di studi sociali e politici – chiarisce bene questa dinamica. Se dagli anni 2000 al 2013 si è incentivato l’uso di militari in ambito civile, è con la morte di Hugo Chavez che la questione si è radicalizzata; Nicolas Maduro ha intensificato la cooptazione di alti gradi militari per sostenere il regime politico e introdotto una divisione geografica non più civile ma militare, secondo la quale (internamente, nei documenti e nelle circolari interne ufficiali) non esistono più gli Stati, ma i Quartieri Generali Militari, ovvero non più “Estados” ma “Regiónes Estratégicas de Defensa Integral” – per esempio gli Stati di Miranda e La Guaira (per citarne alcuni) sono ora definiti Región Estratégica de Defensa Integral Capital: REDI CAPITAL.
Secondo lo stesso studio della Jacome, per giunta, il controllo della sicurezza cittadina è divenuto di tipo militare, lo Stato ha ceduto il monopolio legittimo della forza e del controllo a milizie armate, “Los Colectivos”, senza una chiara catena di comando e formate da personaggi provenienti anche dalle carceri. Alcuni di questi “Colectivos”, come il famigerato “Colectivo 23 de Enero” (dal nome di un “barrio” pericolosissimo a Nord-Est di Caracas), si sono resi partecipi e complici di numerosi ed efferati crimini contro la popolazione e i manifestanti, fino all’assassinio del manifestante Robert Redman, nel Febbraio 2014. Los Colectivos sono ancora operativi e formano un anello di sicurezza intorno alla persona del Presidente – non a caso vengono chiamati “il braccio armato della Rivoluzione”.
Questo scenario, oltre ad innalzare il livello di violenza nel Paese nonché la conta dei morti (nel solo febbraio 2014 il bilancio fu di tre morti e 70 feriti gravi), porta necessariamente alla drammatica condizione per cui la popolazione civile viene giudicata, in totale disaccordo con la Costituzione del 1999, nel quadro della giustizia militare.
Sulle basi di precedenti azioni legali contro Stati in seno alla Corte Penale Internazionale, come il Caso Myanmar, nel 2018 la Procuratrice Capo, Fatou Bensouda, accoglie l’istanza di alcuni Stati (Argentina, Canada, Colombia, Perù, Cile e Paraguay) facenti parte dello Statuto di Roma – la Carta su cui si fonda proprio la Corte Penale Internazionale (CPI) – per avviare una fase di valutazione preliminare d’ufficio dell’ipotesi di crimini contro l’umanità in Venezuela. Come ci spiega una persona parte dell’operazione (che per ragioni di sicurezza verrà chiamata VZ), è stato possibile attivare la CPI proprio perché i suddetti casi creano degli antecedenti giuridici in stretta correlazione alla situazione venezuelana – in particolare il caso di Myanmar – con molti elementi che configurano il reato di crimini contro l’umanità.
Nel Novembre 2019 una delegazione della “Commissione Venezuelana per la Giustizia Internazionale” (una organizzazione creata da un team legale, per portare l’stanza sul Venezuela alla CPI) consegna alla Procuratrice Bensouda un Memoriale tecnico giuridico per sostenere che i reati commessi dal Regime bolivariano durante gli anni 2014 – 2017 siano sufficientemente gravi per autorizzare un’azione da parte della CPI. l’Ufficio centrale della CPI, sulla base dei report presentati chiede l’autorizzazione per iniziare una investigazione formale sul caso del Venezuela.
Per le ragioni esposte nei documenti che la Commissione ha sottoposto all’Ufficio della Bensouda, la Commissione stessa, nel 2019 sollecita la CPI a investigare sui crimini di competenza della Corte considerando gli elementi e i casi come sistematici, gravi e pianificati da una struttura di potere nel territorio della Repubblica Bolivariana del Venezuela.
Dal 2019 fino ai giorni d’oggi, quando l’incarico di Procuratore Capo è passato da Fatou Bensouda a Karim Khan, l’investigazione è andata avanti e la Commissione Venezuelana per la Giustizia Internazionale ha consegnato innumerevoli testimonianze e prove di crimini contro la popolazione civile.
A sostenere i report della Commissione Venezuelana per la Giustizia Internazionale nel 2020, come prima citato, viene attivato il Consiglio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite. Come sottolinea VZ : “il compito del Consiglio ONU è proprio quello di rispondere con prontezza a emergenze severe sui Diritti Umani, che include la prevenzione e la condanna dei crimini contro l’umanità commessi in Venezuela per far in modo che la situazione non peggiori.” Il report della “Missione di Esperti Indipendenti dell’ONU”, a fine 2020, porta numerose testimonianze della veridicità di quanto affermato dal team legale della Commissione.
Nei primi mesi del 2021 la CPI apre ufficialmente un’inchiesta contro il Venezuela denominata “Situación Venezuela 1”. Insieme al team inizia un incessante lavoro di investigazione tecnico-giuridica per cercare di capire fino a che punto il Governo si fosse spinto nella repressione e se, come poi avvenuto, questi metodi di repressione fossero divenuti uno strumento di controllo permanente sulla popolazione venezuelana; si è poi lavorato per identificare la catena di comando che aveva autorizzato l’utilizzo di certi metodi e per stabilire se esistesse il fondamento giuridico per adire alla Corte Penale Internazionale, con il risultato che per la prima volta nella storia è stato aperto un processo per presunti crimini di Lesa Umanità nei confronti di un Governo di un paese Latinoamericano.
A fine novembre 2021 il nuovo Procuratore capo, Karim Khan, si reca a Caracas per depositare il Memorandum, il documento che formalizza l’apertura della fase investigativa con la quale si ufficializza che per la CPI esistono elementi sufficienti per pensare che nel Paese siano stati commessi crimini gravi contro la popolazione, presso il Palacio de Miraflores, la sede del Governo Bolivariano.
Quello che avverrà adesso, dopo la fase di sospensione delle indagini da parte del Procuratore richiesta dal governo venezuelano, a norma dell’art. 18.3 dello Statuto di Roma, è che saranno analizzati dalla Corte stessa tutti i documenti prodotti dall’ufficio del Procuratore per confermare il fatto che in Venezuela non si vive in uno Stato di diritto e che, per tanto, tecnicamente e giuridicamente in Venezuela non c’è maniera di sanzionare adeguatamente i crimini che vengono commessi.
“Cercare di aprire un caso presso la CPI e provare a stabilire responsabilità penali internazionali per gli alti gradi civili e militari era l’unica soluzione per avere una giustizia equa ed imparziale, esaustiva e veritiera, “erga omnes”, l’unica meritata dal popolo venezuelano”, conclude VZ.
Foto Credits: Diariocritico de Venezuela, Attribution 2.0 Generic (CC BY 2.0) attraverso Flickr