In libreria – Conflict, Continuity, and Change in Social Movements in Southeast Asia
Un volume di Abdul Rohman*
Il campo degli studi sui movimenti sociali è particolarmente interessante, a partire dall’attenzione che viene oggi rivolta ai movimenti giovanili per la giustizia climatica e, più in generale, per la global justice. L’interesse sta anche nel fatto che diverse linee di indagine – sviluppatesi negli ultimi anni – favoriscono il superamento dei confini disciplinari convenzionali, inadeguati coi paradigmi dominanti ad affrontare la gamma di fenomeni empirici e il tipo di domande intellettuali che definiscono questo campo di ricerca. Si tratta, anzitutto, di un terreno di continuo dialogo tra sociologia e scienze politiche, nel tentativo di ampliare la nostra conoscenza dei movimenti sociali al di là delle agende teoriche classiche e di identificare il contributo che gli studi sui movimenti sociali possono dare ad altri campi della conoscenza. Lo testimoniano ad esempio i capitoli di un manuale pubblicato sette anni fa, l’Oxford Handbook of Social Movements, curato da Donatella Della Porta e Mario Diani, che combinava l’analisi delle microdinamiche dell’azione collettiva, il meso-livello delle culture e dei modelli organizzativi dei movimenti e la dimensione macro delle opportunità politiche e degli effetti dei movimenti sociali sul loro ambiente. Più recentemente, collettanee curate da Marco Giugni e Maria Grasso, come il volume Street Citizens: Protest Politics and Social Movement Activism in the Age of Globalization, pubblicato dalla Cambridge University Press nel 2019, si iscrivono nella stessa cornice e rinnovano gli sforzi nella stessa direzione.
Ancor di più, il campo degli studi sui movimenti sociali è importante perché permette di gettare lo sguardo oltre la tradizionale divisione tra Nord e Sud del mondo, cercando di cogliere somiglianze e differenze nei diversi contesti geografici in cui si sperimentano dinamiche e attivismo dei movimenti sociali con le varie specificità culturali e di quadro politico-istituzionale.
Mentre continua la guerra in Ucraina, monopolizzando l’attenzione rivolta dai mass media alla “politica estera”, i civili – indipendentemente dal fatto che si tratti di guerre civili prolungate, guerre dimenticate o nuove crisi internazionali in Europa, Africa, Asia, America latina e caraibica – vengono sottoposti a profonde sofferenze e violazioni dei più elementari diritti fondamentali e vanno considerati le principali vittime. Questa affermazione è indiscutibile, e tuttavia c’è dell’altro: i cittadini sono certamente vittime ma, al contempo, spesso hanno o possono avere un ruolo strategico nel determinare l’evoluzione dei conflitti, nel radicalizzare (o all’opposto smussare) le contrapposizioni, sostenere o criticare le scelte del proprio governo. Quello che fanno i governi di Russia e Ucraina, lanciando appelli alla rivolta e alla protesta, rivolgendosi direttamente alla popolazione civile della parte avversa, è una conferma dell’importanza della partecipazione attiva delle popolazioni civili nella trasformazione strutturali degli Stati e dei loro assetti governativi. Manifestazioni di massa e proteste di piazza segnano momenti storici importanti dei processi di democratizzazione, durante fasi di conflitto (si pensi alle cosiddette primavere arabe).
L’attivismo dei movimenti sociali, cioè le organizzazioni associative che possono contare su una massa critica di sostenitori disposti a manifestare pubblicamente il proprio sostegno agli obiettivi del movimento, può avere impatti molto diversi sulla stabilità istituzionale, a seconda delle vie di partecipazione disponibili e dei livelli di risposta dello Stato alle richieste della società. Ha un rilievo significativo, quindi, il quadro istituzionale di riferimento e l’assetto della governance: le relazioni tra Stato e società e i canali di partecipazione istituzionalizzati attraverso i quali i movimenti sociali possono esprimere le loro richieste e attraverso i quali lo Stato può rispondere sono molto limitati in contesti di regimi autoritari oppure di democrazia parziale e partecipazione limitata, come è il caso dell’Iran ma anche della Turchia.
La natura imprevedibile dell’organizzazione dei movimenti sociali è un altro fattore importante da tenere in considerazione, ed è un elemento che può determinare dubbi al sostegno finanziario esterno a movimenti che possono poi ritorcersi contro i loro stessi finanziatori. Il supporto degli Stati Uniti ai gruppi islamici militanti, compresi quelli jihadisti, in Afghanistan – prima e durante l’intervento militare sovietico – è uno degli esempi più citati.
Per queste ragioni segnaliamo il saggio di Abdul Rohman, docente di “Nuovi media e comunicazione in Asia” presso il Dipartimento di Comunicazione della RMIT University in Vietnam, intitolato “Conflict, Continuity, and Change in Social Movements in Southeast Asia”, edito dalla Routledge nella collana Contemporary Southeast Asia Series, che intende pubblicare lavori originali e di alta qualità di studiosi sia nuovi che affermati su tutti gli aspetti del Sud-Est asiatico.
Il saggio è basato su interviste a 40 attivisti (studenti universitari, funzionari pubblici, docenti, artisti, liberi professionisti, sacerdoti e giornalisti) coinvolti negli sforzi di costruzione della pace durante i periodi delle violenze del 1999 e del 2011 ad Ambon, capitale delle Molucche in Indonesia, nonché a 20 leader della comunità coinvolti in diversi movimenti sociali e a 30 cittadini di Ambon, tutte realizzate tra la fine del 2014 e l’inizio del 2017. L’intento dell’autore è quello di approfondire, con un approccio culturale, le ragioni di continuità, discontinuità, cambiamento e scioglimento nei movimenti sociali dopo che questi riescono a introdurre cambiamenti comportamentali, culturali, politici ed economici nei loro ecosistemi.
La premessa è che i tanti movimenti che si manifestano con proteste, manifestazioni di piazza, campagne e altre forme di attivismo volte a cambiare le società sono molto cresciuti numericamente a livello mondiale negli ultimi anni, potendo sfruttare la facilità di diffusione attraverso i social media (soprattutto Facebook e Twitter) e utilizzando sia piattaforme online che offline per dare voce alle proprie preoccupazioni e ai propri obiettivi immediati. Soprattutto nel Sud del mondo, dove il divario digitale è pervasivo, molti movimenti si affidano ancora a tattiche tradizionali, come marce dai villaggi alla capitale e proteste comunitarie per fare pressione sulle autorità locali e ottenere risultati concreti. Nei casi oggetto di studio nel volume l’uso di piattaforme online e offline è stato decisivo nel determinare il percorso storico di quei movimenti sociali. La prospettiva dell’autore è quindi, anzitutto, quella dell’importanza da attribuire ai canali di comunicazione e ai legami relazionali all’interno dei movimenti, analizzandoli nelle diverse fasi del ciclo di vita degli stessi movimenti.
L’attenzione rivolta alla realtà indonesiana è interessante anche perché recentemente in Europa sono circolate immagini e testimonianze, amplificate dai mass media, sui movimenti di protesta dei cittadini di Hong Kong contro il governo cinese e – con minor diffusione – su un imponente raduno di musulmani che chiedevano il rispetto dei valori islamici a Jakarta. Tuttavia non si è quasi mai approfondita la causa delle fasi di ascesa e di picco dei diversi movimenti sociali, quali siano la struttura e i meccanismi che li rendono possibili, la loro eventuale diffusione e successo nell’influenzare il discorso pubblico ma anche – all’opposto – come si verifichino il declino e la parabola finale di un movimento, i suoi fallimenti e quel che accade dopo. Prevale cioè la tendenza a concentrarsi, al più, sui movimenti di maggiore successo e al momento più popolari come unici casi di studio, trascurando il ciclo di vita dei movimenti sociali e, soprattutto, quelli che perdono di visibilità e consenso, sebbene i loro fallimenti dei possano influenzare significativamente altri movimenti successivi. Le relazioni e i legami che uniscono gli attivisti, nonostante il fallimento di un movimento, si mantengono vivi e – secondo l’autore – sono un aspetto fondamentale da studiare, poiché si riflettono nelle interazioni sociali degli attivisti anche in seguito e ciò facilità l’emergere di nuovi movimenti.
In circa 140 pagine, distribuite in dodici capitoli, l’autore presenta il concetto di fasi di movimento sociale e le principali ragioni che permettono a un movimento sociale di continuare, cambiare o esaurirsi. I casi utilizzati per chiarirlo sono il movimento Kopi Badati e il gruppo Filterinfo (illustrati nel capitolo 3). Entrambi sono sorti durante un periodo di violenza interconfessionale tra musulmani e cristiani ad Ambon, nel 2011, con episodi di guerriglia urbana innescate dalla morte – per incidente – di un tassista musulmano, e hanno poi contribuito a portare la pace sull’isola. Il movimento Badati mirava a collegare le diverse comunità religiose in aree di confine soggette a casi di violenza. Il gruppo Filterinfo intendeva contrastare la disinformazione diffusa durante le violenze. I due movimenti sono utilizzati come casi di studio perché rappresentativi dei motivi per i quali un movimento si è fermato e l’altro è riuscito invece a continuare e a diventare una forza di cambiamento, anche dopo aver raggiunto il suo obiettivo originario.
I movimenti sociali offrono ai partecipanti la possibilità di stabilire basi collaborative e sviluppare amicizie durature, da cui possono nascere movimenti successivi. Ciò avviene quando si trovano modi diversi per capitalizzare lo slancio di un particolare movimento. Tuttavia, possono esserci attriti anche all’interno dello stesso movimento. Un attrito non riconciliato può portare a un ritiro e a cessare di collaborare. I movimenti possono di conseguenza sciogliersi e non raggiungere i loro obiettivi immediati. Il capitolo 4 analizza le fonti di attrito all’interno del movimento Kopi Badati; gli attriti derivanti dal dissenso sulle strategie (a cominciare dalla decisione se lavorare o meno con enti e finanziatori esterni), da opinioni incompatibili e dal sentirsi non riconosciuti hanno corroso il senso di appartenenza degli attivisti, incrinato l’unità e portato allo scioglimento. Quando le relazioni dei partecipanti con gli altri si deteriorano, diventa difficile per loro identificarsi con il movimento. Al contrario, la capacità dei partecipanti di conciliare gli attriti interni può essere un fattore di successo.
Nei capitoli 5 e 6 l’autore si focalizza, invece, sull’ascesa e sulla fase di picco del gruppo Filterinfo. La lotta contro i contenuti divisivi e la disinformazione che circolano nei media, sui social e nelle conversazioni interpersonali sono state le ragioni dell’ascesa di Filterinfo. Durante il suo picco, Filterinfo è stato un centro di informazione per gli attivisti, per coordinare i modi di verificare la disinformazione sul campo e condividere i risultati con un pubblico più ampio. Si tratta di un esempio di gande attualità, pensando a quanto le aree informative tradizionali – in cui le persone utilizzano luoghi pubblici per condividere informazioni con gli altri – siano state sospese durante la pandemia da COVID-19 che, per il suo grave impatto socio-tecnico, economico e politico, oltre che sanitario, è stata equiparata a una guerra contro un nemico comune. Al suo apice, il movimento Filterinfo era diventato più conosciuto al pubblico: ad Ambon, mentre la disinformazione si diffondeva rapidamente sui media di massa, digitali e sociali durante il conflitto, gli attivisti hanno usato costantemente Filterinfo per coordinare i modi di verificare la disinformazione. Un attivista aveva postato sul gruppo che un bus navetta era stato preso a sassate dalla folla vicino alla stazione degli autobus; un altro attivista aveva risposto chiedendo chi potesse recarsi sul posto per verificarlo e non molto tempo dopo era stato riportato al gruppo un aggiornamento sull’incidente della lapidazione dell’autobus, mentre gli altri attivisti condividevano poi la notizia su gruppi di social media più ampi e nelle loro cerchie sociali. Durante queste attività di condivisione delle informazioni, i rapporti tra gli attivisti si sono rafforzati. Le amicizie tra coloro che avevano già interagito in precedenza con eventi comunitari e organizzazioni giovanili si sono approfondite. Altri che erano stati messi in contatto attraverso Filterinfo sviluppavano un senso di identità di gruppo, mentre percorrevano insieme le aree a rischio per verificare la disinformazione sul campo. L’esperienza condivisa dagli attivisti è poi diventata la base per amicizie durature, mentre il conflitto scendeva e Filterinfo diventava gradualmente meno attivo. Inoltre, durante la fase di sospensione delle attività e nella parabola discendente del protagonismo del movimento, gli attivisti di Filterinfo hanno mantenuto le relazioni sviluppate durante la fase ascendente e di picco, attraverso incontri offline in caffè e ristoranti, oltre che utilizzando varie piattaforme di social media per mantenere vivo il ricordo dell’esperienza della partecipazione al movimento, e creando un archivio online di memorie (capitolo 7).
I capitoli 8-10 approfondiscono i lasciti di Filterinfo: l’ascesa di organizzazioni comunitarie e di nuovi leader col rafforzamento delle organizzazioni comunitarie preesistenti e la creazione di nuove su questioni legate ad ambiente, istruzione, turismo, lavoro creativo e tecnologie dell’informazione e della comunicazione, oltre alla capacità di gestire le tensioni tra le diverse organizzazioni.
Il capitolo 11 si sofferma sulla fase transitoria tra l’interruzione delle attività di un movimento e la crescita dei movimenti successivi.
Il capitolo 12 conclude il lavoro avventurandosi nel difficile compito di estrapolare osservazioni e considerazioni utilizzabili in altri contesti, offrendo idee relative agli approcci per gestire la continuità e il cambiamento nei movimenti sociali.
Il tentativo di spiegare perché un movimento sociale si scioglie e perché un altro riesce a continuare e cambiare dopo aver raggiunto il suo obiettivo immediato rende la lettura dello studio – ancorché poco interdisciplinare e sostanzialmente focalizzato sulla dimensione culturale e della comunicazione –rilevante per chi si interessa di studi asiatici, dei (nuovi) media, delle comunicazioni e della società civile in contesti di conflitto.