Le ragioni strutturali e congiunturali della crisi alimentare in Sri Lanka
Il dato fattuale e molto drammatico – che deve far notizia – è che lo Sri Lanka sta soffrendo la peggiore crisi economica mai registrata dall’indipendenza del 1948 a oggi, che si aggiunge a quel che la pandemia da COVID-19 ha determinato in un Paese già profondamente segnato e vulnerabile.
A fine giugno, lo Sri Lanka registrava un tasso d’inflazione molto elevato, pari al 57,4% secondo le più recenti fonti internazionali (Nazioni Unite) e, nel caso dell’inflazione relativa ai prezzi dei soli beni alimentari, nello stesso mese si è registrato un aumento su base annua del 75,8% in base ai dati della Banca centrale dello Sri Lanka. In particolare, i prezzi di riso, verdure, pesce fresco, zucchero, latte in polvere e pesce secco hanno registrato aumenti significativi durante i mesi scorsi. Invece, all’interno della categoria non alimentare, gli aumenti maggiori sono stati osservati nei prezzi dei trasporti (benzina, diesel e biglietti dell’autobus), dell’arredamento e attrezzature per la casa, della manutenzione ordinaria della casa e delle sottocategorie ristoranti e alberghi.
Il forte aumento dei prezzi dei generi alimentari – sostenuto negli ultimi mesi dalle preoccupazioni per la penuria alimentare globale scatenata dal conflitto in Ucraina – ha colpito direttamente la capacità della popolazione di nutrirsi in modo corretto, privando nei mesi scorsi due famiglie su cinque di un’alimentazione adeguata. Oggi, secondo il Programma alimentare mondiale (World Food Program) delle Nazioni Unite, la sicurezza alimentare è particolarmente precaria tra le persone che lavorano nel settore agricolo – nelle grandi piantagioni di tè, per esempio – dove più della metà delle famiglie è considerata insicura dal punto di vista alimentare. Anche per le famiglie che vivono in aree urbane la situazione è preoccupante: molte di esse stanno esaurendo i risparmi per far fronte alla situazione e ci sono segnali che ci si stia rivolgendo in modo crescente al credito per acquistare cibo e altri beni di prima necessità, seguendo quanto già accade in aree rurali.
Dal punto di vista economico e sociale, la caduta dei salari reali determinata dall’inflazione è un fenomeno molto grave e importante, foriero di rischi sociali, soprattutto in contesti come quello dello Sri Lanka, segnato storicamente dalla contrapposizione tra la maggioranza cingalese e la minoranza tamil – il lascito di oltre 25 anni di guerra civile – e dal perdurare della violenza interetnica. Fattori determinanti di carattere strutturale della crisi socio-economica devono essere rintracciati nelle politiche di aggiustamento strutturale e stabilizzazione finanziaria che il Paese ha adottato nei poco più di dieci anni trascorsi dalla fine della guerra civile, d’intesa con le principali istituzioni finanziarie internazionali (Fondo monetario internazionale e Banca Mondiale). Sono stati conseguiti alcuni risultati importanti nel campo della liberalizzazione commerciale e finanziaria ed è stato dato maggiore spazio d’azione al settore privato nazionale e internazionale. A fronte di ciò, le conseguenze sono stati gli oneri che ora gravano sul già rilevante debito pubblico, una bilancia commerciale negativa, gli alti tassi di povertà e le elevate disuguaglianze economiche di natura territoriale (basti confrontare i dati delle diverse province del Paese), oltre che sociale e di genere.
Il modello di specializzazione adottato negli ultimi quattordici anni ha reso il Paese eccessivamente dipendente dalle importazioni sul piano energetico.
L’attuale carenza di petrolio ha costretto scuole e uffici governativi a chiudere. La riduzione della produzione agricola nazionale, la mancanza di riserve di valuta estera (essenziale per importare gas da cucina e altri combustibili, cibo e medicinali) e il deprezzamento della moneta locale alimentano la penuria e la crisi economica spingerà sempre più famiglie verso la fame e la povertà – alcune per la prima volta –, aggiungendosi al mezzo milione di persone che, secondo le stime della Banca Mondiale, sono scese sotto la soglia di povertà a causa della pandemia da COVID-19. Le interruzioni giornaliere di corrente si sono allungate, così come le file alle stazioni di rifornimento: senza carburante per far funzionare i generatori, una stufa elettrica non è più un’opzione praticabile o accessibile, per cui – in città come nelle aree rurali – si registra un incremento del ricorso alle stufe a legna (dall’impatto negativo in termini di sostenibilità ambientale e immissione di gas a effetto serra in atmosfera). La maggioranza della popolazione, più vulnerabile economicamente, inclusa quella che era considerata classe media, mangia oggi quotidianamente più pane – che non deve essere cucinato – e meno riso rispetto al passato, con conseguenze negative sulla salute.
Le Nazioni Unite avvertono ora che quattro persone su cinque in questo Paese di 22 milioni di abitanti cominciano a saltare i pasti, con la conseguenza che la proporzione della popolazione malnutrita salirà presto. Parallelamente, come risposta a questa crisi, il governo ha annunciato la riduzione dell’orario settimanale di lavoro per 1,5 milioni di lavoratori del settore pubblico, che avranno così il tempo di dedicarsi direttamente alla coltivazione per l’autoconsumo alimentare.
Nel Paese sono aumentate le manifestazioni di protesta, comprese le cosiddette ‘proteste dalle cucine’, coi manifestanti a sbattere pentole e padelle. Ci sono stati scontri con la polizia e proteste dinanzi alla residenza del Presidente, il politico e militare Gotabaya Rajapaksa che, in seguito alle dimissioni rassegnate il 14 luglio, è stato costretto a fuggire, prima alle Maldive con un aereo militare, e a trasferirsi poi con la famiglia a Singapore.
La crisi nei mesi è peggiorata, fino alle manifestazioni contro il primo ministro, Ranil Wickremesinghe, accusato di molteplici reati, inclusi crimini di guerra durante gli ultimi anni della guerra civile, violazioni dei diritti umani, corruzione e, più recentemente, istigazione alla violenza sui manifestanti anti-governativi il 9 maggio 2022. Il fratello, Ranil Wickremesinghe, ha assunto il ruolo e i poteri presidenziali ad interim il 13 luglio e il 20 luglio, in base ai risultati di un’elezione parlamentare, è divenuto Presidente del Paese. Hanno fatto il giro del mondo e dei social media le immagini riprese dal canale privato Sirasa TV che, in un filmato, mostra i manifestanti che si tuffano nella piscina all’aperto del presidente poi fuggito all’estero, dopo aver fatto irruzione nella sua residenza ufficiale nella capitale commerciale dello Sri Lanka, Colombo.
La fuga del presidente Rajapaksa all’estero è emblematica per una potente dinastia politica che ha detenuto la presidenza, l’ufficio del primo ministro e i portafogli delle finanze, degli interni e della difesa. Insediatosi come presidente nel 2019, Gotabaya Rajapaksa aveva nominato suo fratello Mahinda primo ministro. Politiche populiste, come i tagli alle tasse, hanno quasi svuotato le casse dello Stato, rendendo il Paese incapace di fronteggiare crisi eccezionali come quella innescata dalla pandemia da COVID-19 e quella, più recente, dell’aumento dei prezzi dell’energia e dei beni alimentari.
In breve, si era determinato in Sri Lanka un legame perverso tra svalutazione, squilibrio finanziario esterno, squilibrio fiscale interno e inflazione, un intreccio comune per esempio a quanto avvenne durante le crisi debitorie latinoamericane degli anni Ottanta (su cui si scontrarono prospettive teoriche opposte: monetarismo e strutturalismo), con effetti e retroazioni reciproche: la svalutazione ha effetti sul quadro fiscale, che dipende sia dall’esistenza ed entità di entrate statali per realizzare spesa pubblica all’interno sia dalle entrate in valuta da contrapporre agli obblighi derivanti dal servizio del debito.
A fronte della scarsità di entrate pubbliche e del crollo delle riserve valutarie, il governo ha cercato di imporre misure tampone, repentine e drastiche, come quella del divieto generalizzato sui fertilizzanti chimici, un costo netto per le importazioni del Paese.
Senza poter qui entrare in un aspetto molto importante per qualsiasi misura di politica economica, che in gergo si chiama sequencing ottimale di un’operazione, cioè la tempistica, le fasi, la gradualità o meno di certe misure e la necessità di dotarsi di misure di accompagnamento per renderle sostenibili e adeguate, si trattò di una misura che non produsse i risultati sperati. Secondo i dati diffusi dall’istituto statistico centrale del Paese, quasi il 10% degli abitanti dello Sri Lanka aveva già problemi di sicurezza alimentare prima della pandemia da COVID-19, che sono diventati ancor più gravi proprio con la pandemia, che ha imposto una chiusura a un’economia fortemente dipendente dall’estero. Il divieto generalizzato sull’uso di fertilizzanti chimici – non certo dettato da un orientamento ambientalista – ha avuto un effetto boomerang. Con il crollo delle riserve estere, il governo non è stato in grado di pagare le importazioni di generi alimentari, tra cui il riso, prodotto nazionale di base del Paese, ove la produzione si è ulteriormente ridotta a causa del mancato uso dei fertilizzanti. L’agricoltura biologica, ‘imposta’ nel Paese in concomitanza col divieto di importare fertilizzanti, si è trovata a giocare un ruolo improprio nel bel mezzo della crisi valutaria e di bilancio pubblico, come componente per dare ossigeno finanziario nell’immediato, quando dovrebbe essere tipicamente una misura di trasformazione profonda nel lungo periodo.
La cattiva gestione, il nepotismo e la mancanza di accountability dei governi impuniti per decenni, compresi quelli succedutisi in questi ultimi quattordici anni, sono responsabili delle politiche scellerate sul piano della povertà e delle crescenti disuguaglianze, che hanno reso la stragrande maggioranza della popolazione estremamente vulnerabile a shock esterni come quelli attuali.
Può darsi, invece, vi sia capitato di leggere – come è capitato a chi scrive – un’ardita interpretazione della crisi alimentare in Sri Lanka, collegata alla scelta ambientalista del governo di convertire l’agricoltura ai metodi agro-biologici. Si tratta di un accostamento ardito e fuorviante, costruito ad arte attorno allo specifico episodio del divieto di usare (e, quindi, importare) fertilizzanti chimici. La presenza organizzata dei giovani sia di Fridays for Futures che di Extinction Rebellion in Sri Lanka a favore della giustizia ambientale e climatica è un fenomeno sociale reale che non ha nulla a che vedere con le responsabilità di anni di politiche macroeconomiche d’impianto neoliberista di cui si pagano oggi le conseguenze. La questione ambientale in Sri Lanka è, al contrario, un problema molto serio, come mostra un singolo dato sulla deforestazione, che aumenta a ritmi impressionanti: nel 2017, l’area coperta da foreste era pari al 29,7% del territorio; nel 2019, prima della pandemia, era precipitata al 16,5%.
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