Il Brasile concede i parchi nazionali alle aziende private: rischi e interrogativi
Uno dei fondamenti su cui poggia la strategia del governo Bolsonaro in campo ambientale è la concessione della gestione dei parchi nazionali a soggetti privati. Secondo alcuni osservatori si tratta di privatizzazioni che possono mettere a repentaglio gli ecosistemi, mentre per altri sono misure volte a migliorare i servizi e consolidare l’effettiva tutela delle aree protette. Fatto sta che, ad oggi, una trentina degli oltre settanta parchi nazionali brasiliani compaiono nella lista di quelli da dare in concessione ai privati e per alcuni l’iter si è già concluso.
L’argomento non è secondario visto che in gioco ci sono aree pressoché incontaminate di un paese con il più alto indice di biodiversità al mondo.
L’ente pubblico responsabile della gestione delle unità di conservazione (quindi anche dei parchi nazionali) è l’Instituto Chico Mendes de Conservação da Biodiversidade (ICMBio). Con una serie di decreti che seguono le linee guida previste dal Programa de Parcerias de Investimentos (piano di privatizzazioni e concessioni varato dall’ex presidente Michel Temer nei giorni immediatamente successivi all’allontanamento di Dilma Rousseff) il governo Bolsonaro sta estendendo e accelerando l’accesso dei privati nella gestione di un patrimonio finora amministrato quasi esclusivamente da soggetti pubblici.
Procedendo per ordine, la prima cosa da capire è quale sia la funzione di un parco nazionale. La risposta immediata che tutti darebbero è probabilmente “quella di proteggere la natura”. La Costituzione federale brasiliana del 1988, che pone le basi della legislazione ambientale del Paese, afferma che tutti hanno diritto ad un ambiente ecologicamente equilibrato, bene comune ad uso del popolo ed essenziale per una sana qualità della vita, imponendosi al potere pubblico e alla collettività il dovere di difenderlo e preservarlo per le generazioni presenti e future. Anche per questo si sottolinea la necessità di definire spazi territoriali e loro componenti da proteggere in modo speciale e in maniera che la loro alterazione o soppressione siano permesse soltanto mediante la legge e che sia vietato qualsiasi utilizzo che comprometta l’integrità delle caratteristiche che ne giustificano la protezione. Tra i compiti delle istituzioni vi è quello di promuovere l’educazione ambientale e la sensibilizzazione sulle tematiche della conservazione.
La Carta fa proprio un elemento già introdotto con la Política Nacional do Meio Ambiente (PNMA – legge 6.938 del 1981), che definisce come uno degli strumenti di politica ambientale del Paese la creazione di spazi territoriali protetti in modo speciale dal potere pubblico federale, statuale e municipale, come aree di protezione ambientale, di rilevante interesse ecologico e riserve estrattive. L’approvazione della PNMA coincide con un nuovo approccio alla definizione delle modalità di interazione con l’ambiente che ha portato all’uso di criteri scientifici e all’idea di protezione dell’habitat e del paesaggio. Il principale risultato di questo cambiamento è stata la definizione, con la legge 9.985 del 2000, del Sistema Nacional de Unidades de Conservação da Natureza (SNUC). Lo SNUC definisce concetti fondamentali come quelli di “unità di conservazione”, “diversità biologica” e “conservazione della natura”, stabilisce quali siano le tipologie di unità di conservazione, fissando gli obiettivi di ciascuna, e ne chiarisce le modalità di creazione e gestione. Punto chiave dell’istituzione dello SNUC è l’introduzione di un approccio scientifico nella strategia di protezione ambientale. In particolare, l’obiettivo dei “parchi nazionali”, ciascuno regolato da uno specifico “piano di gestione”, è preservare gli ecosistemi naturali di grande rilevanza ecologica e bellezza scenografica, rendendo possibile la realizzazione di ricerche scientifiche e lo sviluppo di attività di educazione e interpretazione ambientale, di ricreazione a contatto con la natura e di turismo ecologico. A testimonianza del valore di “bene pubblico” dei parchi nazionali brasiliani è interessante notare che, a differenza di altre tipologie di unità di conservazione, il territorio di un parco nazionale deve essere di proprietà pubblica e, se necessario, per la sua istituzione gli organi pubblici possono procedere all’espropriazione di aree private secondo i termini di legge. Fra le direttrici che orientano il SNUC vi sono inoltre: la possibilità di cercare sostegno e cooperazione con organizzazioni non governative, organizzazioni private e persone fisiche nello sviluppo di attività di ricerca, turismo ecologico, manutenzione; l’idea di incentivare comunità locali ed organizzazioni civiche affinché amministrino unità di conservazione nell’ambito del Sistema nazionale; il tentativo, ove possibile, di assicurare la sostenibilità economica delle unità di conservazione.
Pur non essendo la concessione dei parchi nazionali una privatizzazione in senso stretto, si tratta di un’apertura vistosa, inserita all’interno di un ampio piano di de-statalizzazione che delegherà per decenni ai privati i servizi di supporto ai visitatori in molte aree protette. Ciò a fronte di una serie di investimenti che, secondo l’idea del governo brasiliano, dovrebbero portare ad una maggiore salvaguardia, alla generazione di posti di lavoro e a nuove possibilità di svago per i cittadini. In ogni caso, l’ICMBio manterrà il timone delle attività di ricerca, protezione e controllo in tutti i parchi.
È tuttavia innegabile che ci si trovi di fronte a una novità importante nell’approccio alla conservazione della natura. Vi è da chiedersi fino a che punto il coinvolgimento di aziende private permetterà di tutelare i parchi nazionali e di mantenere la loro funzione primaria, che è la protezione degli ecosistemi e non la generazione di lucro o l’imitazione dei parchi divertimenti. Solamente in futuro si potrà valutare se l’impatto delle concessioni sull’obiettivo fondamentale dei parchi nazionali sarà stato positivo, negativo o irrilevante. Al momento ci si può limitare ad analizzare alcune situazioni già esistenti in cui i privati sono inseriti nella gestione delle aree protette, a prestare attenzione ai segnali provenienti da esperti, società civile e comunità locali e a porsi alcuni interrogativi per riflettere sulla questione.
La svolta del governo ha già portato delle novità. Nel Parque Nacional da Chapada dos Veadeiros, che preserva una vasta porzione di cerrado (tipologia di savana estremamente ricca di biodiversità che si sviluppa sul 24% del territorio brasiliano e ne costituisce uno de sei grandi biomi), il primo cambiamento è stata l’introduzione di un biglietto a pagamento per potere accedere. Aggiudicataria della concessione ventennale è la Socicam, azienda specializzata in infrastrutture per la mobilità, che gestisce aeroporti e terminal marittimi e fluviali in tutto il Brasile. L’impresa entra per la prima volta nel settore della gestione delle aree protette e ha dichiarato un investimento iniziale di 2,5 milioni di reais per nuovi servizi e per il potenziamento di quelli già esistenti (punto informativo e spazio di ingresso, area espositiva, spazio commerciale, luoghi di ristoro, area campeggio, trasporto interno al parco e ristrutturazione di una strada che conduce ai sentieri). A prescindere da cosa accadrà, colpisce il fatto che ad occuparsi di un’area protetta tra le più famose del Paese sia un colosso delle infrastrutture.
Situato tra gli Stati di Rio de Janeiro e Minas Gerais, il Parque Nacional do Itatiaia è il più antico parco del Brasile. Fondato nel 1937, ha la finalità di proteggere un ecosistema particolare che coniuga ambiente montano, vegetazione atlantica e numerose sorgenti. Nel febbraio 2019 il già citato ICMBio e Hope Recursos Humanos, azienda senza esperienza nella gestione delle aree protette e coinvolta nelle indagini dell’inchiesta “Lava Jato”, hanno firmato il contratto per una concessione di venticinque anni. L’azienda ha previsto interventi per un valore pari a 17 milioni di reais, inclusa la pavimentazione di una strada e la realizzazione di uno spazio commerciale. Dopo due anni, gli unici investimenti realizzati dalla nuova gestione del parco sono stati segnaletica lungo i sentieri e il nuovo sito web su cui acquistare i biglietti di ingresso.
I due parchi nazionali tra loro limitrofi della Serra Geral e degli Aparados da Serra, si trovano al confine tra gli stati di Santa Catarina e Rio Grande do Sul e custodiscono il fragile ambiente che si sviluppa lungo i più grandi canyon dell’America latina. Sono zone selvagge dove si estendono le ultime foreste di araucaria del Brasile sopravvissute all’agricoltura e alle monocolture di eucalipto e pino americano. I due parchi sono stati concessi a gennaio 2021 a Construcap (tra le prime dieci imprese di costruzione brasiliane) la quale, nei prossimi 30 anni, prevede di realizzare investimenti per 60 milioni di reais (offerta 27 volte più alta di quella prevista dal bando di concessione). L’atto è stato impugnato dalla magistratura e inizialmente invalidato a causa della mancanza di alcune licenze ambientali ma è poi stato sbloccato. Si parla di parcheggi, ristoranti – di cui uno su torre panoramica –, servizi di supporto e sicurezza del turista, negozi di souvenir, trasporti interni, sorvoli in elicottero e si punta a un forte aumento dei visitatori del parco. Anche in questo caso si prevede l’introduzione, dell’ingresso a pagamento con costo che raggiunge gli 80 reais. Nei municipi che compongono la regione dei Campos de Cima da Serra in cui si trova il parco, si assiste a nuove pressioni nel settore immobiliare con conseguente aumento dell’antropizzazione e del consumo di suolo. Si è davanti, insomma, ad un processo che da un lato porterà alla trasformazione del territorio da area protetta a semplice attrazione turistica da mettere a frutto per i privati e, dall’altro, contribuirà al degrado del paesaggio.
Qual è la posizione di comunità locali, esperti e organizzazioni della società civile di fronte al cambiamento messo in atto dal governo e quali problemi stanno emergendo?
Il primo rischio è quello di anteporre l’interesse economico alla funzione primaria dei parchi nazionali che è la conservazione dell’ambiente. Consegnando a grandi soggetti privati il controllo sulle visite nei parchi, lo sfruttamento economico delle attività turistiche diviene la priorità dell’ente gestore. Ad esempio, se i piani di gestione che fissano il numero massimo di visitatori, non fossero formulati correttamente o fatti rispettare, l’impatto ambientale rischierebbe di essere molto elevato. Per citare un solo caso, il Parque Nacional do Iguaçu, che custodisce imponenti cascate in un’area di foresta atlantica di gran pregio, nel 2019 ha registrato oltre 2 milioni di visite. Con la concessione, il cui bando è stato lanciato a dicembre 2021, si punta a raddoppiarne il numero. Ciò porterà ad un aumento della pressione sull’ecosistema che, se non regolato adeguatamente, potrebbe essere estremamente dannoso (fanno molto parlare, ad esempio, i quintali di monete lanciati in acqua dai turisti e pescati anche tre volte all’anno dai vigili del fuoco: sono pericolose per la fauna e il delicato equilibrio delle cascate poiché rilasciano sostanze tossiche).
Altro fattore sottolineato da molti è l’assenza di coinvolgimento della popolazione delle aree interessate la cui sussistenza è spesso vincolata ad attività di turismo di base comunitaria. È il caso, per esempio, del Parque Nacional do Caparaó, inserito di recente nella lista di quelli da concedere ai privati, dove già dal 1995 le famiglie si sono organizzate per ospitare i viaggiatori nelle proprie abitazioni secondo un modello che successivamente è stato adottato anche dai residenti in altre aree protette del Paese. Allo stesso modo, tra gli abitanti del Parque Nacional do Pau Brasil, nello stato di Bahia, si registrano malumori dovuti alla poca trasparenza e alla perdita di controllo da parte della comunità durante il passaggio dalla gestione ICMBio a quella – anche qui – della Hope Recursos Humanos. In entrambi i casi, il rischio è che cooperative e piccoli e micro-imprenditori delle comunità che vivono nei parchi, siano sostituiti da attività imprenditoriali più grandi, con conseguenti danni economici e sociali del contesto locale.
Una pratica su cui alcune organizzazioni ambientali puntano il dito è il cosiddetto greenwashing, che si verifica quando soggetti privati accusati di mettere in atto strategie predatorie nei confronti dell’ecosistema, si re-inventano difensori della natura magari adottando un’area protetta. Con l’ultimo decreto firmato da Bolsonaro, il 7 febbraio 2022, nello stato di Minas Gerais saranno “privatizzati” altri tre parchi nazionali: è possibile che Vale, colosso minerario brasiliano responsabile del disastro di Brumadinho del gennaio 2019 (episodio tragico in cui si verificò il cedimento della diga che conteneva 13 milioni di metri cubi di acqua contaminata da scarti della lavorazione mineraria; morirono almeno 270 persone e le conseguenze furono pesantissime dal punto di vista sociale e ambientale), si candidi alla loro gestione avendo annunciato, nel luglio 2020, investimenti pari a 250 milioni di reais nelle aree protette dello Stato. Altro esempio è quello di Carrefour, azienda della grande distribuzione che, secondo la ong Reporter Brasil ha avuto nella filiera dei suoi fornitori alcune aziende inserite nella lista di quelle che hanno sfruttato lavoratori in condizioni di schiavitù e accusate di allevare bestiame in aree deforestate illegalmente o in terre appartenenti a comunità indigene: è di febbraio 2021 la notizia che la rete di supermercati Carrefour, tra le principali sul mercato brasiliano, ha “adottato” 75,9 ettari di foresta amazzonica nella Reserva Extrativista do Lago do Cuniã nell’ambito del programma governativo Adote um parque.
Altro fattore di rischio è la tutela dei popoli e delle comunità tradizionali riconosciuti e tutelati dalla legge brasiliana: la popolazione delle riserve estrattive (che fa cioè un uso sostenibile delle risorse naturali secondo metodi tramandati di generazione in generazione), i quilombolas (membri delle comunità discendenti dagli insediamenti creati nei secoli passati dagli schiavi in fuga dalle piantagioni) o i popoli indigeni. Per citare un caso, nel Parque Nacional da Serra da Canastra (montagne del Minas Gerais, ricche di risorse idriche, che custodiscono le sorgenti del Rio São Francisco, fiume che disseta il nord-est brasiliano) vivono 550 famiglie appartenenti a 43 comunità tradizionali e altre 1.500 famiglie di piccoli produttori (i canestreiros), che vivono di micro-produzioni di formaggi tipici, estrazione e artigianato delle pietre preziose. Si tratta di comunità le cui attività sono tutelate dalla legge, che lavorano in sintonia con gli obiettivi di conservazione del parco ma che nella sua ‘privatizzazione’ vedono un pericolo. Occorrerà capire come tale contesto convivrà con il futuro schema di gestione del parco.
Infine, alcuni punti di vista mettono in risalto il fatto che il programma di concessione dei parchi nazionali non sarebbe altro che l’ennesimo ingrediente della strategia di indebolimento delle istituzioni preposte alla tutela dell’ambiente avviata dal governo Bolsonaro. Quest’ultimo, ha diminuito i fondi a disposizione di ICMBio e IBAMA (Instituto Brasileiro do Meio Ambiente e dos Recursos Naturais Renováveis), ridotto i concorsi nel settore e nominato amministratori pubblici dalle opinioni controverse (il semplice fatto che Ricardo Salles, ex ministro dell’ambiente scelto da Bolsonaro, mettesse in discussione il cambiamento climatico, che con la sua gestione abbia contribuito a difendere gli interessi di latifondisti e industria mineraria illegale, che abbia reso più complicato il sistema dei controlli e delle multe ambientali e che si sia assistito alla crescita di incendi e indici di deforestazione, basta a comprendere la situazione).
A conclusione di questa breve analisi poniamo una serie di interrogativi utili ad alimentare la riflessione sulla nuova stagione dei parchi nazionali brasiliani.
Qual è lo scopo della gestione privata di un’area protetta? Si è certi che tale via consenta di rispettare il dettato costituzionale che fissa come obiettivo primario delle unità di conservazione quello di tutelare l’ecosistema naturale e prevede che ogni altra attività sia subordinata ad esso? Perché, invece di investire sugli enti pubblici ambientali – magari aggiungendo competenze specifiche e dotandoli di mezzi idonei a generare valore economico da re-investire su una tutela più efficace – il governo Bolsonaro ha scelto di indebolirli nei bilanci e togliere loro la responsabilità gestionale delle attività potenzialmente più remunerative? Infine, come coniugare la protezione di un ambiente quasi incontaminato con i piani di crescita orientati dalle regole del mercato dei concessionari privati?
La risposta a queste e ad altre domande arriverà negli anni a venire ma qualche segnale di allarme, come appena visto, si sta già manifestando. La sensazione, intanto, è che la politica di “de-statalizzazione” bolsonarista abbia toccato un campo delicato, fragile e difficilmente coniugabile con le dinamiche del profitto e che il turismo, da risorsa aggiuntiva, possa trasformarsi in un meccanismo di speculazione e degradazione del territorio e in un valore posto al di sopra della tutela ambientale.
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