Il deterrente minimo della Cina e le prospettive per la stabilità strategica sino-americana
La letteratura di settore descrive il deterrente nucleare cinese come “minimo”, “di autosufficienza”, “ridotto ma efficace”, “esistenziale”. Nonostante queste caratterizzazioni trovino una validazione empirica in buona parte della storia della Cina, non costituiscono una garanzia automatica di stabilità strategica tra Washington e Pechino, i due maggiori antagonisti dei nostri giorni. Alcune dinamiche, infatti, oggi potrebbero complicare l’equilibrio nucleare tra i due Paesi, oltre che spingere Pechino ad una modifica della propria postura.
I primi semi di una dottrina nucleare cinese risalgono all’esperienza traumatica degli eventi in Corea e nello stretto di Taiwan durante gli anni Cinquanta. Infatti, dall’osservazione di quei fatti Mao concluse che la bomba avrebbe modificato l’equilibrio delle forze attraverso l’effetto della deterrenza, attraverso quello che definì il “ricatto nucleare”. Tuttavia, il pensiero maoista sull’arma atomica manteneva anche tratti distintivi. Tra questi spiccava la convinzione che il valore tattico del nucleare nemico – ovvero l’utilizzo dell’arma sul campo di battaglia in contesti di combattimento – potesse essere neutralizzato conducendo una “guerra popolare” di notte e facendo ricorso alla guerriglia, con tanto di dispersione e ricerca di combattimenti serrati con il nemico. I comunicati successivi alle detonazioni chiarirono alcuni concetti centrali dell’approccio cinese alle armi nucleari. Secondo tali comunicati, lo scopo unico dell’arma nucleare era «difendere e proteggere il popolo cinese dalla minaccia di una guerra nucleare lanciata dagli USA». Nel primo comunicato emesso all’indomani dell’esplosione della bomba atomica, è contenuta anche una caratteristica distintiva della politica nucleare cinese: il principio del “nucleare di sola difesa”, ovvero l’impegno a non ricorrere all’arma atomica per primi in caso di conflitto.
L’impegno ad un No First Use (NFU) è, quindi, inerente al programma nucleare cinese. Nei documenti strategici cinesi questa posizione minimale è stata definita come “guadagnare padronanza colpendo solo dopo che il nemico ha colpito” (只有 在 敌人 攻击 后, 才能 通过 攻击 获得 控制 权). In questo modo, la Cina negava logicamente l’utilizzo della bomba atomica e ogni possibile minaccia nucleare a scopi coercitivi contro tutti i Paesi che non fossero dotati di capacità nucleari. La teorizzazione dei leader cinesi era perciò rivolta alla seconda mossa di un eventuale confronto atomico. La priorità era, infatti, quella di garantire a Pechino la capacità di un “secondo colpo”, ossia la possibilità di rappresaglia in seguito ad un attacco nucleare nemico, colpendo civili e città, cioè la base socioeconomica (cosiddetto counter-value, o controvalore come bersaglio da colpire), in quella che la letteratura degli studi strategici definisce “deterrenza tramite punizione”. Per tale missione, come puntualizzò Zhang Aiping, uno degli artefici del programma missilistico cinese, non «era necessaria una grande accuratezza» perché non «avrebbe fatto grande differenza se il missile avesse colpito il Cremlino o il Teatro Bol’šoj».
L’eccezionalità – e la lunga coerenza – della postura nucleare cinese rispetto a quelle contemporanee di Stati Uniti e Unione Sovietica, prima, e Federazione Russa, poi, ha convinto gli analisti e gli esperti di sicurezza a descrivere il deterrente atomico di Pechino come “minimo”, “di autosufficienza”, “ridotto ma efficace”, “esistenziale” tanto per la sua ridotta dimensione quanto per la sua minimale dottrina di impiego. Tali valutazioni sono state alla base di una generale e condivisa fiducia nella stabilità strategica tra la Cina e gli Stati Uniti anche dopo la fine della Guerra Fredda. Alcuni fattori, però, potrebbero rendere il quadro meno chiaro e spingere a previsioni meno ottimistiche.
Anzitutto, la caratterizzazione dell’arsenale atomico cinese come “minimo” e “di second strike” ignora alcuni dati storici rilevanti del programma nucleare e missilistico della Repubblica popolare cinese (RPC). Ad esempio, nel decennio successivo alla morte di Mao (settembre 1976), la politica nucleare cinese mostra sia elementi di continuità che di discontinuità con l’era maoista. Per quanto riguarda l’acquisizione di capacità strategiche, è evidente che, tra il 1977 e il 1980, la priorità della Commissione militare centrale presieduta da Deng fosse stata quella di ultimare i due missili balistici rimanenti del piano di otto anni di ricerca e sviluppo, approvato nel 1963 con il placet di Mao Zedong e Zhou Enlai. Dopo il 1980, la politica nucleare cinese fu il prodotto delle impellenti esigenze economiche propugnate dalla fazione in ascesa, ovvero quella denghista, che aveva fatto dello sviluppo nazionale la massima priorità politica. Pertanto, una postura nucleare coerente con il passato maoista e che prediligeva il second strike, l’occultamento e la mobilità dei vettori dovette apparire come una scelta decisamente più conveniente rispetto all’imbarcarsi in costosi programmi di ricerca e sviluppo di capacità di primo attacco o di difesa da missili balistici nemici. Tuttavia, la stessa esigenza economicistica rese possibili due sviluppi che rappresentano una cesura rispetto al passato maoista. Infatti, le due principali innovazioni rilevate nella ricerca, ovvero gli ordigni nucleari tattici e le bombe al neutrone, comportavano una spesa estremamente contenuta. Per ottenere tali capacità Pechino poté agevolmente riadattare le tecnologie nucleari e missilistiche che aveva già sviluppato e che erano già diventate pienamente operative. Le due innovazioni dimostrano che la teoria dell’immutabilità della strategia nucleare cinese nasconda, in realtà, un quadro più complesso e che merita maggiore approfondimento. La leadership di Deng Xiaoping, infatti, si fece promotrice di un approccio pragmatico ed economicistico alle armi nucleari, che non mancò di innovare parzialmente la strategia atomica della Repubblica popolare cinese. Non fu, quindi, solo il peso culturale o ideologico a dare forma alla politica nucleare cinese dopo la morte di Mao ma un originale pragmatismo strategico. Se e quando la Cina dovesse percepire di essere soggetta ad una minaccia alla propria esistenza, come quella posta dall’Unione Sovietica durante la Guerra fredda, calcoli strategici simili potrebbero alterare la postura nucleare cinese, con il risultato di turbare lo status quo e, quindi, la stabilità sino-americana.
Inoltre, i documenti strategici e operativi pubblicati da Pechino negli ultimi tre lustri forniscono informazioni rilevanti. Il manuale Science of Second Artillery Campaigns (SAC-04) del 2004 del Second Artillery Corps, il Corpo a capo dell’arsenale missilistico cinese (oggi rinominato Forza missilistica dell’EPL) potrebbe, ad esempio, marcare un importante passo avanti nella postura nucleare cinese e aprire la strada ad una maggiore elasticità nell’adesione al NFU. Secondo il documento, la RPC si riserva di abbassare la soglia atomica in risposta alla “minaccia di attacchi convenzionali su impianti nucleari, su importanti obiettivi strategici e contro i centri politici o economici” e nel caso di “intensificazione prolungata di un conflitto convenzionale”. Se confermata, questa chiosa rappresenterebbe un significativo spostamento rispetto alla tradizionale strategia nucleare cinese. Tuttavia, alcuni studiosi mettono in dubbio la veridicità del SAC-04 e lo considerano più un bluff dovuto all’uscita unilaterale degli Stati Uniti dal Trattato anti-missili balistici nel 2002. Anche l’edizione 2013 dello Science of Military Strategy (SMS-13) dell’Accademia delle scienze militari dell’EP, però, sembrerebbe aver apportato alcuni cambiamenti degni di nota. Originariamente concepito come pubblicazione interna, l’SMS-13 è stato ritrovato e reso pubblico dalla Federation of American Scientists, consentendo agli analisti di avere un quadro molto più sfumato e preciso della postura nucleare cinese. Se da una parte l’SMS-13 conferma l’adesione all’NFU, alcuni studiosi hanno sottolineato la novità di alcuni passaggi del documento. Ad esempio, il testo rivela che Pechino si riserva di passare a una postura di launch-on-warning – lancio su allarme, ovvero una volta ricevuta l’allerta di un attacco imminente – quando le «condizioni lo consentano e quando diventi necessario». Se, da un lato, una simile posizione potrebbe virtualmente essere considerata coerente con l’impegno al “nucleare di sola difesa”, dall’altro aumenterebbe notevolmente l’incertezza strategica attorno all’arsenale nucleare cinese. La Strategia militare del 2015 ha raccomandato di migliorare i «sistemi strategici di early warning e di comando e controllo» dell’EPL, così da aumentare la capacità di «dissuadere altri paesi dall’utilizzare o minacciare l’impiego di armi nucleari contro la Cina», prevedendo così la possibilità di ritorsioni nucleari senza che necessariamente sia stato effettuato un primo colpo nemico. Nel 2019, il Libro bianco sulla difesa nazionale sembrerebbe ribadire l’adesione cinese ad una «politica nucleare di NFU in qualsiasi momento e in qualsiasi circostanza».
Infine, elementi tecnologici-organizzativi possono produrre effetti strategici macroscopici. Come rilevato da Thomas J. Christensen, negli ultimi decenni la Cina ha sviluppato piattaforme e sistemi con compiti di C4ISR (Command, Control, Communications, Computers, Intelligence, Surveillance and Reconnaissance, ndr) sia convenzionale che nucleare. Questa dinamica crea non pochi problemi per la gestione di una relazione strategica già messa duramente alla prova come quella tra Washington e Pechino. Prendiamo il caso dei satelliti ed elaboriamo uno scenario futuro non impossibile. Una crisi locale (Taiwan? Mar Cinese Meridionale? Mar Cinese Orientale? India?) si aggrava fino a sfociare in un conflitto limitato tra la Cina e un altro attore regionale e spingere gli Stati Uniti ad intervenire e neutralizzare i satelliti cinesi utilizzati per l’intelligence navale o di terra. La postura nucleare cinese di NFU imporrebbe alla Cina una risposta convenzionale. Nondimeno, nel caso in cui il sistema colpito svolgesse una funzione chiave nella prevenzione e nell’allerta di un imminente attacco nucleare contro il suolo cinese, tale mossa potrebbe essere letta dalla leadership di Pechino come l’avvisaglia di un tentativo di accecamento strategico. La soglia nucleare verrebbe drasticamente abbassata e i rischi, già alti con l’escalation in corso, aumenterebbero esponenzialmente.
In un’era di “competizione strategica” come quella attuale, Cina e Stati Uniti hanno la responsabilità di ridurre al minimo i rischi strategici connessi ai loro dossier di rivalità e per farlo saranno necessarie misure di confidence– e security–building che ad oggi non sembrano all’orizzonte. Tali misure aiuterebbero a rendere più trasparenti gli obiettivi e le preoccupazioni delle due leadership con il risultato di ridurre le occasioni di instabilità.
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