Il 26 dicembre scorso la Corte civile di Casablanca ha deciso di sciogliere l’associazione Racines. La decisione è stata presa dopo che l’organizzazione, con sede a Casablanca, ha ospitato un episodio della serie web “1 dîner, 2 cons” (“Una cena, due cretini”) che è andata in onda il 24 agosto 2018 e ha raggiunto più di 300.000 visualizzazioni. In quell’episodio i partecipanti (tra cui Aadel Essadani, attivista ed ex direttore generale di Racines, Ahmed Bechemsi, portavoce di Human Rights Watch per la regione MENA, Joudad Hamindi, coordinatore dell’Associazione per i diritti e le libertà religiose del Marocco) discutevano di diversi temi e avanzavano alcune critiche a certi passaggi del discorso del Re del 29 luglio 2018. La decisione di sciogliere Racines è stata ratificata dalla Corte d’appello di Casablanca il 16 aprile 2019.
L’associazione Racines è stata fondata nel 2010 e ha svolto un ruolo sempre più importante nel panorama dell’attivismo sociale. Solo nel 2018 ha organizzato e gestito numerosi progetti ed eventi, tra i quali progetti di educazione civica (in collaborazione con l’Unione europea), incontri regionali per valutare le politiche culturali a livello locale (in collaborazione con l’Ambasciata di Norvegia in Marocco e con la Open Society Foundation), un ciclo di incontri per promuovere la cultura della libertà di espressione (in collaborazione con l’Ambasciata Britannica presso il Regno) e una campagna contro le violenze di genere (in collaborazione con Oxfam Intermón). A quest’ultima iniziativa, in particolare, hanno preso parte più di 2000 persone e la terza edizione degli Stati generali della cultura in Marocco, organizzati sempre da Racines, ha coinvolto circa 400 partecipanti e 7000 spettatori. Inoltre, il lavoro di Racines è basato su una fitta rete di associazioni locali che sono alla base delle sue attività nelle aree periferiche delle città e nelle zone rurali.
Presumibilmente la decisione della Corte civile di Casablanca si basa sul fatto che l’associazione abbia esulato da quella che è la sua mission, che è quella di promuovere la cultura dell’integrazione nelle politiche statali di sviluppo umano, sociale ed economico. Tenendo conto che l’associazione non ha né organizzato né trasmesso lo show ma solamente offerto il suo ufficio come location e che il suo statuto include la promozione del dialogo, sorgono spontanee alcune domande fondamentali sullo stato della libertà di parola, sul ruolo della società civile organizzata in Marocco e, soprattutto, sull’atteggiamento delle autorità nei suoi confronti.
Il concetto di società civile è diventato popolare negli ultimi anni su entrambe le sponde del Mediterraneo, e il suo ruolo nei cambiamenti occorsi durante le Primavere arabe l’ha resa una lente analitica privilegiata nello studio della politica del mondo arabo. In Marocco, la riforma costituzionale guidata dalla monarchia del 2011 ha cambiato drasticamente il ruolo della società civile nel quadro legislativo. Il suo compito è definito nell’articolo 12 del testo costituzionale riformato, che stabilisce che la società civile e le organizzazioni non governative esercitano le loro attività liberamente e che contribuiscono all’«adozione, l’implementazione e la valutazione delle decisioni e delle iniziative delle istituzioni elette e dei poteri pubblici» all’interno di un quadro di democrazia partecipativa. L’articolo stabilisce anche che le associazioni non possono essere sciolte da poteri pubblici salvo che lo stabilisca la sentenza di una Corte. In effetti, la società civile è un tassello concreto nell’implementazione dei dettami della Costituzione.
Negli anni recenti, la società civile è fiorita in Marocco. Il numero di associazioni registrate è salito da 116.000 nel 2014 a 130.000 nel 2016, anche grazie al lancio dell’Iniziativa Nazionale per lo Sviluppo Umano (Initiative Nationale pour le Développement Humain). La maggior parte di queste associazioni ha scopi strettamente locali, ma gli obiettivi delle loro azioni variano sensibilmente (dal lavoro sociale allo sviluppo sostenibile, dall’ambiente alla formazione e allo sport).
La distanza tra ciò che è scritto nella Costituzione e il reale atteggiamento dei poteri pubblici nei confronti delle organizzazioni della società civile è allarmante e certamente il caso di Racines non è il primo in cui si registra una limitazione del ruolo delle organizzazioni della società civile nel paese.
Il professor Maâti Monjib parlava di un «ritorno all’autoritarismo» già nel 2015, dopo che l’associazione Freedom Now è stata espulsa dal Marocco (nel maggio 2014 le autorità statali si sono rifiutate di prendere visione della sua documentazione e quindi le hanno tolto lo status legale), e l’ex Ministro degli Interni Mohamed Hassad ha accusato le organizzazioni della società civile di ricevere denaro straniero per portare avanti un’agenda politica “non marocchina”. A seguito di quel fatto il professor Monjib è diventato personalmente un bersaglio delle autorità, che gli hanno vietato i viaggi all’estero: divieto che è stato rimosso solo dopo 23 giorni di sciopero della fame.
Per la verità, il rifiuto di concedere documenti legali per la costituzione di un’associazione è una tattica comune utilizzata dallo stato marocchino per tenere gli attori della società civile sotto controllo. Ad esempio, una situazione simile ha riguardato l’Associazione dei diritti digitali marocchina (Association des Droits Numeriques, ADN) e l’Associazione marocchina dei giornalisti investigativi (Association Marocaine du Journalisme d’Investigation, AMJI). Lo staff dell’AMJI ha subito attacchi personali dopo aver effettuato un training rivolto a giovani giornalisti sui reportage online. Hicham Mansouri (Project manager dell’AMJI) è stato condannato a dieci mesi di prigione.
Un’altra strategia comune è l’interdizione di eventi pubblici o assemblee. Secondo la legge marocchina, se si vuole organizzare un evento pubblico occorre notificarlo alle autorità locali in forma scritta con due giorni di anticipo. Nel migliore dei casi, le autorità comunicheranno la ricevuta dei documenti e l’attività avrà luogo (cioè senza alcuna autorizzazione formale); in pratica, in questo modo, le autorità hanno il potere di bloccare qualsiasi iniziativa fino all’ultimo minuto prima del suo svolgimento. L’Associazione marocchina per i diritti umani (Association Marocaine des Droits Humains, AMDH) è abituata a questa pratica: in uno dei suoi report, l’associazione ha denunciato di essersi vista negare l’utilizzo di spazi pubblici 127 volte soltanto tra il luglio del 2014 e il marzo del 2017. Nonostante molti protagonisti della società civile abbiano denuinciato abusi di potere, la repressione è continuata e solo nella prima metà del 2018 l’AMDH ha ricevuto quasi cinquanta divieti.
Nel novembre 2018, il festival Migrant’scène, organizzato dal Gruppo antirazzista per la difesa dei migranti stranieri (Groupe antiraciste d’Accompagnement et de Défense des Etrangers et Migrants, GADEM) è stato «proibito dalle autorità». L’evento culturale, che ha luogo ogni anno dal 2010, è stato fermato dal caïd (l’agente locale delle autorità di Tangeri) che non tollerava le attività di un’«associazione di sinistra che viene da Rabat e attacca il governo». È da rilevare che l’interdizione è stata comunicata solo ai partner di GADEM, che non ha ricevuto direttamente nessuna informazione o documentazione scritta. Precedentemente, Racines si è trovata di fronte allo stesso tipo di ostacolo quando non ha ricevuto l’autorizzazione all’occupazione di suolo pubblico per uno spettacolo di teatro di strada contro il razzismo (chiamato b7al b7al, “Tutti uguali”). Nella seconda metà del 2015, Racines e i suoi partner avrebbero dovuto iniziare un tour in diverse città marocchine, ma le repliche sono state sistematicamente vietate in tutte le città nelle quali avrebbero dovuto svolgersi. Pur avendo presentato i documenti necessari per accedere agli spazi pubblici, le autorità locali di Tangeri e Fès hanno impedito le rappresentazioni il giorno stesso in cui avrebbero dovuto svolgersi. Dieci giorni prima dello show successivo, a Nador, le autorità hanno informato Racines che lo spettacolo era proibito a livello nazionale.
Se nell’ultima riforma costituzionale si riscontra un’evoluzione del ruolo della società civile in Marocco, bisogna porsi domande importanti sull’effettività di questa evoluzione. Nei limiti del rispetto della Costituzione, la società civile dovrebbe essere libera di agire secondo il proprio volere. Ciononostante, se le sue attività sono percepite come pericolose o provocatorie dalle autorità statali, la reazione è immediata. Le esperienze di quei protagonisti della società civile che hanno preso pubblicamente posizioni critiche nei confronti delle autorità statali o delle loro politiche dimostra che il potere pubblico marocchino vuole tenere la società civile al guinzaglio, spesso sfruttando le “zone grigie” della legislazione. Inoltre, gli strumenti a disposizione dei poteri giudiziari procurano ulteriori mezzi di controllo su quegli attori o iniziative che provano a travalicare i confini delle linee rosse imposte dallo stato.
È evidente che il potere pubblico marocchino non autorizza la società civile organizzata a fare un passo avanti rispetto all’agenda politica dello Stato. La partnership tra la società civile e le autorità è funzionale solo se l’agenda della società civile è coerente con quella ufficiale. Le posizioni prese nei confronti degli attivisti che si oppongono apertamente all’agenda politica del governo e di quelle iniziative che offrono un punto di vista alternativo della situazione portano ad interrogarsi seriamente sulla reale volontà di mettere in pratica le disposizioni della legge fondamentale del Marocco.