Situata nel cuore del Sudamerica, tra Argentina, Brasile, Cile, Paraguay e Perù, e privata da oltre 100 anni – dopo la guerra con il Cile – dell’accesso al mare, la Bolivia è una delle destinazioni turistiche più interessanti ma meno battute dell’intera regione.
Secondo il Rapporto sulla Competitività Turistica Mondiale, il paese si attesta al 99 posto su 136, tra Ruanda e Cambogia. L’indice prende in considerazione quattro dimensioni quali la rete infrastrutturale, il patrimonio naturale e culturale, le politiche settoriali e il cosiddetto enabling environment. Quest’ultima dimensione include parametri legati al contesto economico, al mercato del lavoro e alle condizioni di sicurezza e salubrità. A livello regionale i dati sono altrettanto deludenti, giacché nel 2016 (ultimo anno con dati consolidati disponibili) la Bolivia è stata visitata da 1,1 milioni di turisti stranieri. Purtroppo né l’Istituto Nazionale di Statistica Boliviano (INE) né l’Agenzia di Turismo statale BOLTUR distinguono tra turisti regionali, provenienti dai paesi limitrofi, e viaggiatori che arrivano dal Nordamerica, Europa o Asia, rendendo difficile ricavare un quadro disaggregato. Ad ogni modo, il dato pone la Bolivia agli ultimi posti in Sudamerica davanti solo a Suriname, Guyana, Guyana Francese e Venezuela. Nonostante il contesto regionale, i flussi turistici sono tuttavia in costante crescita, se è vero che negli ultimi 10 anni si è assistito ad un aumento del 140% del numero di visitatori.
E il turista che arriva in Bolivia si trova effettivamente di fronte a una ricchissima offerta in virtù di un patrimonio culturale, materiale ed immateriale, tra i più ricchi e diversificati del continente e un patrimonio ambientale con dei livelli di biodiversità tra i più elevati al mondo. Si va dai resti archeologici dell’impero Tiwanaku, la più longeva delle civiltà preincaiche, al pregevole patrimonio coloniale di città come Sucre e La Paz e alle incredibili missioni gesuitiche della Chiquitania nell’estremo oriente del paese; dalle innevate vette andine sino alla selva amazzonica, passando per il Lago Titicaca e il Salar de Uyuni, lo spettacolare deserto di sale più esteso del mondo. Ma perché quindi, e al netto della recente crescita, la Bolivia è ancora una destinazione relativamente dimenticata dal mainstream turistico internazionale?
La prima ragione è che arrivare in Bolivia, per il turista straniero, rimane definitivamente più complicato e costoso rispetto ad altri paesi limitrofi. Ciò è principalmente dovuto all’assenza di un grande hub aeroportuale internazionale. Infatti, benché sulla carta vi siano nel paese quattro aeroporti internazionali – nelle città di La Paz, Santa Cruz della Sierra, Cochabamba e Sucre – solo i primi due registrano un traffico internazionale di qualche rilievo. Tuttavia, l’aeroporto di La Paz è situato nella città satellite di El Alto ad oltre 4000 metri di altitudine, e pertanto le componenti climatiche impongono un traffico contenuto. Resta quindi l’aeroporto Viru Viru di Santa Cruz della Sierra che a tutti gli effetti funziona come hub internazionale di riferimento del paese. Anche in questo caso, però, vi sono appena 30 voli intercontinentali settimanali distribuiti tra 4 itinerari (Miami, Città del Messico, Panama e Madrid). Non è un caso quindi se circa il 70% dell’oltre un milione di visitatori stranieri che ogni anno arrivano in Bolivia vi giungano via terra e che meno di 400.000 turisti scelgano la via aerea.
In seconda battuta, il paese soffre ancora di evidenti deficit di connettività interna sia viaria che aerea. Spostarsi all’interno del territorio nazionale può essere particolarmente difficoltoso, specialmente per quanto concerne le regioni amazzoniche e durante la stagione delle piogge.
A tali problematiche infrastrutturali si unisce un sistema ricettivo da migliorare, soprattutto sotto il profilo dell’attenzione al cliente.
Più in generale, il settore risente ancora della mancanza di percorsi definiti ed esperienze turistiche integrate. Nonostante l’esistenza di una offerta in nuce così composita – sia culturale che naturalistica – non sono stati sviluppati circuiti in grado di valorizzare appieno tale potenziale. Ancora si fatica ad superare del tutto la vecchia dicotomia altopiano-valle che da sempre accompagna la narrazione del paese andino. Tutto ciò si traduce, nella pratica, in una offerta disarticolata e destrutturata. In alcuni casi, come per chi visita il versante orientale del Lago Titicaca, la Bolivia è inserita nei circuiti turistici del Lago o nel macro-circuito Cuzco, Machu Picchu, Titicaca, divenendo un’appendice del turismo internazionale che arriva nel e dal vicino Perù.
Ad ogni modo, come certificato anche dall’aumento dei flussi, il governo boliviano nel corso degli ultimi anni si sta molto spendendo per uno sviluppo del settore. Il Piano di Sviluppo Nazionale 2017-2020 stabilisce 4 risultati da raggiungere specificamente rispetto al settore turismo:
- Aumento delle entrate derivanti dal settore sino a 1,581 milioni di dollari;
- Incremento del numero di turisti stranieri a 2,6 milioni;
- Incremento dei turisti nazionali sino a 4,5 milioni;
- Miglioramento ed ampliamento dell’infrastruttura e dei servizi turistici.
Nel Piano di Sviluppo Nazionale il turismo viene visto dalla politica boliviana innanzitutto come volano per lo sviluppo economico e la diversificazione produttiva. A tale scopo sono state programmate una serie di azioni, fra cui una campagna internazionale per la promozione turistica della Bolivia, lo sviluppo di opere infrastrutturali e di servizi di base nelle destinazioni turistiche prioritarie, la realizzazione di accordi con linee aeree per aumentare la frequenza dei voli e stabilire collegamenti diretti per l’integrazione delle mete turistiche, e l’incremento della capacità del sistema alberghiero e dei servizi di base nelle regioni turistiche prioritarie, includendo la costruzione di hotel pubblici e a capitale misto.
Ma l’elemento distintivo della politica turistica boliviana risiede indubbiamente nell’importanza attribuita al turismo comunitario. Indicato dall’articolo 337 della Costituzione come mezzo per la riduzione della povertà delle comunità rurali, il turismo comunitario è stato successivamente codificato nella legge nazionale sul turismo “Bolivia Te Espera” come la relazione diretta dell’impresa e della comunità con i visitatori da una prospettiva pluri-nazionale e interculturale nello sviluppo di viaggi organizzati con la partecipazione consensuale dei suoi membri, garantendo la gestione adeguata delle risorse naturali, la valorizzazione del patrimonio culturale e territoriale delle nazioni e dei popoli, per la distribuzione equa dei benefici generati nell’ottica del “Vivir Bien”.
Da questo punto di vista, il turismo comunitario si inserisce perfettamente all’interno non solo dell’agenda politica del governo boliviano, ma anche nella cosmogonia di un popolo e della sua relazione con la Madre Terra, la Pacha Mama in lingua quechua.
Tuttavia i deficit strutturali del sistema – unitamente alla vocazione storicamente di nicchia del turismo comunitario – creano un collo di bottiglia e un circolo vizioso. Il mezzo – il turismo comunitario – è insufficiente al raggiungimento del fine – la generazione di reddito e la diversificazione produttiva – per via delle carenze endogene del settore. In tale contesto, la Bolivia dovrà fare attenzione a non cadere nella cosiddetta trappola del turismo comunitario, che in alcuni casi ha portato intere comunità rurali ad abbandonare le proprie attività produttive per abbracciare un terzo settore non in grado di sostenere il peso di un’offerta sovradimensionata e di una domanda troppo circoscritta.
Di converso, i siti in aree non urbane che vantano i flussi turistici maggiori, come il Lago Titicaca ed il Salar di Uyuni, e che hanno un sistema ricettivo non esclusivamente comunitario registrano forme di turismo di massa sempre meno sostenibili. In particolare, l’impatto ambientale delle centinaia di fuoristrada che a Uyuni sfrecciano ogni giorno a più di 100 km mette a serio rischio l’intangibilità del deserto di sale. È pur vero che il governo sta provando a dedicare maggiore attenzione al tema della sostenibilità del settore turistico. In questo senso può e deve essere letta l’intenzione del governo di La Paz di avviare il processo per la certificazione dell’intero paese come destinazione turistica sostenibile in base ai criteri mondiali del “Global Sustainable Tourism Council”.
Tuttavia, se è pur vero che la visione del governo boliviano parte esattamente dal concetto di diversificazione produttiva, le politiche dovranno fare molta attenzione a calibrare correttamente il tiro onde evitare squilibri dall’impatto economico, ambientale e produttivo potenzialmente pericoloso.
Ciononostante, o forse anche per questo, la Bolivia rimane un paese magico, nel quale è possibile assaporare le mille sfumature della cultura andina.
Il paese si sta lentamente ma progressivamente aprendo al turismo internazionale. Uno sviluppo sostenibile del settore non potrà che passare dalla definizione e dal consolidamento di un’offerta integrata, in grado di far coesistere e valorizzare le mille differenze, sfaccettature ed idiosincrasie di quello che si è autodefinito uno Stato plurinazionale.
Il modello del turismo comunitario ha tutto per essere vincente, ma dovrà essere in grado di imporsi sul mercato internazionale senza perdere la propria identità e facendo attenzione a non fare il passo piu lungo della gamba. Questa forse è la vera sfida della Bolivia, e non solo in ambito turistico.