Le nuove migrazioni del Sud del mondo*
La questione migratoria non può, e non deve, essere gestita bilateralmente tra il Nord e il Sud del mondo. È invece necessario porre maggiore attenzione alle relazioni Sud-Sud per migliorare le condizioni di vita di tutte le persone coinvolte dalle migrazioni.
Nel ventunesimo secolo il mondo è giunto a un bivio economico, politico e demografico. Oggi più che mai ci troviamo di fronte a un divario economico. I cambiamenti di direzione delle migrazioni all’interno e tra i paesi del Sud e del Nord del mondo si sono accentuati a causa della globalizzazione, della crisi economica, dei flussi delle rimesse e della crescente importanza delle economie dei mercati emergenti, sino al punto in cui oggi le cifre effettive delle migrazioni Sud-Sud superano quelle delle migrazioni Sud-Nord. Molti più paesi di prima fungono allo stesso tempo da luoghi di origine, transito, destinazione e rientro delle migrazioni.
Con l’evolversi dei processi economici e politici, la sfida principale diviene quella di fare in modo che le migrazioni vadano a beneficio di tutti coloro che ne sono coinvolti: i migranti stessi, i rispettivi paesi di origine e destinazione, le società e le famiglie dei migranti. In parte per questa ragione, il dialogo politico sulla migrazione è a un bivio, anche perché gli interessi dei vari soggetti e delle parti interessate – e di una vasta gamma di gruppi d’interesse – possono facilmente entrare in conflitto. Sia nei paesi poveri che in quelli ricchi, fattori economici, politici e demografici fanno da sfondo al dibattito sulla migrazione di persone più o meno qualificate.
Dinamiche migratorie in evoluzione
Attualmente la manifestazione più evidente dei cambiamenti nei fenomeni migratori è l’intensificazione della migrazione Sud-Sud, che nel 2016 ha superato quella Sud-Nord; oggi i due flussi rappresentano rispettivamente il 38% e il 34% delle migrazioni globali. Ciò dimostra come il profilo demografico del mondo stia cambiando. Nel 2001 la popolazione mondiale ha superato la soglia dei 7 miliardi di persone. Quasi l’82% di queste vivono nel Sud del mondo, soprattutto in paesi poveri come Malesia, Indonesia, Pakistan, Bangladesh, Nigeria, in cui la popolazione ammonta più o meno a 150 milioni ed è ancora in crescita. La loro popolazione giovanile è pronta e disponibile per ogni lavoro, ovunque e in qualsiasi momento.
Sebbene i paesi del G9 siano normalmente considerati i più ricchi al mondo, attualmente stanno mostrando segni di involuzione economica. Nel frattempo stanno emergendo due nuovi gruppi di paesi: i cosiddetti BRICS (Brasile, India, Cina e Sudafrica) e i CIVETS (Colombia, Indonesia, Vietnam, Egitto, Turchia e Sudafrica). Blocchi economici come i BRICS e i CIVETS rappresentano il futuro dello sviluppo economico globale. Pressoché tutti questi paesi sono nel Sud, sono caratterizzati da popolazioni giovani in rapido accrescimento, una veloce crescita economica associata a economie generalmente stabili, bassa inflazione e un debito contenuto. Visti i presupposti, è probabile che negli anni a venire la crescita della popolazione e le migrazioni si indirizzeranno proprio verso questi snodi economici meridionali.
Secondo la Banca mondiale, in cima alla lista dei paesi destinatari delle rimesse più alte al mondo nel 2015 troviamo l’India (USD 72,2 mld), la Cina (USD 63,9 mld), le Filippine (USD 29,7 mld), la Nigeria (USD 20,8 mld) e l’Egitto (USD 20,4 mld). Negli ultimi cinque anni, il valore delle rimesse in molti paesi poveri è cresciuto sensibilmente e in alcuni casi è ora paragonabile a quello delle esportazioni o degli aiuti allo sviluppo provenienti dall’estero. Tuttavia, i costi delle transazioni per le rimesse Sud-Sud sono più alti di quelli Nord-Sud e molto più alti di quelli Nord-Nord, il che erode una parte consistente delle rimesse dirette verso il Sud del mondo.
Come modificare il discorso sulla migrazione
Un numero di cambiamenti fondamentali ha catapultato le migrazioni nel discorso pubblico moderno, il maggiore dei quali è avvenuto nel corso degli ultimi 20 anni. Gli attacchi dell’11 settembre negli Stati Uniti ha comportato una riconfigurazione delle migrazioni con una forte enfasi sulla sicurezza. Come ben sappiamo, la mobilità umana è ora soggetta a controlli sensibilmente più rigidi, ancor di più sotto l’attuale amministrazione statunitense.
La migrazione è un aspetto significativo della gestione economica mondiale e una componente importante delle relazioni commerciali internazionali. Nel momento in cui la globalizzazione si estende e si intensifica, la sfida diviene massimizzare le opportunità offerte dalle migrazioni minimizzandone gli aspetti negativi.
Mentre molti paesi del Nord hanno accolto un considerevole numero di migranti per un lungo periodo di tempo e non sono ora in grado di assorbirne di più, è anche evidente che politiche migratorie restrittive fomentano l’immigrazione irregolare. Di conseguenza, il successo delle politiche migratorie più severe dipende soprattutto dal miglioramento delle condizioni economiche nei paesi di origine dei migranti, ponendo l’accento sulle cause alla radice delle migrazioni. Tale strategia può anche sollecitare il necessario rientro dei connazionali più qualificati per la trasformazione sociale dei propri paesi.
Sfide e raccomandazioni
I paesi ricchi e quelli poveri hanno bisogni migratori divergenti, per cui i primi sono stati spinti a ripensare e consolidare le politiche relative a chi debba essere attratto e accolto per poter soddisfare la propria domanda di forza lavoro qualificata. Per i paesi poveri d’origine, invece, la perdita di specialisti informatici, ingegneri e medici, nonostante si tratti di una parte trascurabile della forza lavoro, ha avuto un impatto negativo enorme.
La globalizzazione comporta una maggiore integrazione dei mercati tra gli stati per merci, servizi, capitali e informazione, sostenuta dalla liberalizzazione delle politiche economiche e la rimozione di barriere doganali. I mercati globali, le risorse globali, le idee globali e la solidarietà globale possono – o almeno dovrebbero – migliorare le condizioni di vita per tutti nel mondo. Tuttavia, la nuova interdipendenza avvantaggia i profitti più che le persone, e i benefici non sono distribuiti equamente.
La costante richiesta di un regime di commercio più equo da parte del Sud del mondo è causata dagli effetti dannosi che producono i regimi doganali iniqui imposti dai paesi ricchi sui prodotti agricoli provenienti dal Sud, e le loro conseguenze negative su sviluppo, creazione di posti di lavoro e, in conclusione, sulla pressione migratoria. In alcuni casi le tariffe doganali sono state abbassate per promuovere il libero commercio, ma senza un’immissione di investimenti diretti dall’estero che stimolasse la creazione di posti di lavoro o avesse un effetto sulla migrazione di forza lavoro.
La crisi finanziaria globale del 2008 ha aggiunto un’ulteriore dimensione alle migrazioni globali. Gli effetti recessivi si son fatti sentire sia sulle economie in crescita che sui paesi più poveri. Le economie emergenti in rapida evoluzione come Brasile, Cina e India hanno dovuto far fronte a difficoltà economiche, mentre la rapida diffusione e la profondità della crisi ha reso i paesi poveri in Africa e Asia ancor più vulnerabili. I paesi poveri all’origine delle migrazioni, le cui economie dipendono pesantemente dalle rimesse dei migranti, sono quelli che hanno sofferto in maggior misura.
A differenza dei paesi ricchi, i paesi africani non sono ancora in grado di avviare solidi piani di stimolo alla ripresa, così da esporre le loro già povere popolazioni a ulteriori difficoltà. Per molti paesi dipendenti dall’assistenza allo sviluppo – come Uganda, Ruanda, Malawi e Senegal – il flusso di aiuti è in via di diminuzione, così come quello di capitali privati. Nel frattempo, i leader africani devono affrontare la sfida di come trattenere le rare capacità dei connazionali emigrati, riportandoli in patria per impiegarli efficacemente nello sviluppo nazionale. In presenza di condizioni di lavoro favorevoli nei paesi d’origine, uomini e donne qualificati professionalmente sceglierebbero di restare, e quelli della diaspora farebbero ritorno. Ora i leader debbono attuare politiche che assicurino che l’industria operi alla massima capacità, che si verifichino le condizioni per far sì che il settore privato prosperi e che si attuino governance democratica e partecipazione popolare – in maniera che i concittadini si inseriscano nell’economia nazionale al loro rientro. Effettivamente, dal momento che l’attuale crisi globale continua a ridurre le opzioni di investimenti esteri, aiuti e sviluppo tecnologico in Africa, assieme al valore delle esportazioni primarie, il rientro di capitali potrebbe avvenire se facesse ritorno in patria un numero sufficiente di membri della diaspora socialmente ed economicamente praticabile.
Un passo fondamentale: le comunità economiche regionali
Le comunità economiche regionali (Regional economic communities, RECs) attualmente esistenti in Africa per la regolamentazione del commercio e delle migrazioni sono spesso dominate dalle economie di singoli stati, e i migranti sono stati indirizzati verso un numero limitato di paesi membri. Tuttavia, queste organizzazioni sono ben posizionate ai fini della promozione del dialogo e di una migliore gestione della mobilità della forza lavoro. La Comunità economica africana, per esempio, promuove programmi che favoriscano la mobilità del lavoro all’interno e tra gli stati africani, incoraggiando il sostegno allo sviluppo. È venuto il momento, per i paesi che finora hanno avuto un atteggiamento ambiguo sul libero movimento delle persone e sono stati riluttanti a modificare le leggi nazionali e le pratiche amministrative, di riallineare le normative domestiche con i trattati subregionali per facilitare la mobilità, l’istituzione e l’insediamento della forza lavoro intraregionale. Le lezioni apprese da alcuni RECs, come i tentativi della Comunità economica degli stati dell’Africa occidentale (Economic Community of West African States, ECOWAS) di creare una subregione senza confini, dovrebbero essere replicati da altri. Si dovrebbero altresì promuovere iniziative concordate per la gestione della migrazione di forza lavoro all’interno delle comunità regionali, attraverso accordi multilaterali basati effettivamente sulla domanda e offerta delle competenze necessarie.
Infine, il commercio intraregionale nel Sud del mondo nell’insieme rimane una frazione infinitamente bassa del commercio globale. Questa forma di commercio Sud-Sud dovrebbe essere incoraggiata per sfruttare il suo potenziale di stimolo allo sviluppo, alla riduzione della povertà e alla creazione di posti di lavoro. L’impatto indiretto sulle migrazioni potrebbe esser enorme.
Le migrazioni sono una questione complessa: comprendono i migranti irregolari, la migrazione femminile, la mobilità degli studenti, quella dei professionisti qualificati, i richiedenti asilo e i rifugiati. Di conseguenza, è nostro preciso imperativo mostrare le migrazione come fattore positivo di sviluppo e, così facendo, rimodellare il discorso che circonda i movimenti delle persone tra i confini e i continenti.