“Questo è il prezzo che dobbiamo pagare per la nostra bellezza” mi disse la funzionaria del Dipartimento delle finanze filippino, l’equivalente del nostro Ministero dell’economia. Stava parlando dell’esposizione del paese ai disastri naturali: terremoti, tifoni, inondazioni ed eruzioni vulcaniche che in maniera ricorrente colpiscono le Filippine, ma che sono stati anche gli artefici, nel corso dei millenni, dell’attuale morfologia del paese. Una terra di rara bellezza, dove fiordi tropicali e vulcani si affacciano su spiagge bianchissime. Un paese che è un arcipelago composto da oltre settemila isole, nel quale vivono poco più di 100 milioni di persone. Un quarto di queste sono congestionate nell’area metropolitana di Manila (Metro Manila), la capitale delle Filippine, che nel corso degli anni si è trasformata in una megalopoli che accoglie 24 milioni di persone.
Le Filippine sono divise amministrativamente in diciassette regioni che fanno capo a tre grandi gruppi insulari: Luzon, Visayas e Mindanao. Quest’ultima è la zona più arretrata del paese, anche a causa di un conflitto che si protrae da cinque decenni e che ha visto contrapposti il governo di Manila, movimenti insorgenti comunisti e gruppi indipendentisti islamici. Paradossalmente, Mindanao è la sola parte delle Filippine che si trova al di sotto della cosiddetta cintura dei tifoni e quindi meno esposta – per quanto non immune – agli sconvolgimenti naturali.
Il gruppo insulare di Mindanao consiste nell’isola principale di Mindanao, svariate piccole isole al largo della costa settentrionale e meridionale, più l’arcipelago di Sulu sul lato occidentale che si allunga verso il Borneo. Oggi a Mindanao vive il 25% della popolazione nazionale – la stessa di Manila per intenderci – ma il 33% di tutti i poveri del paese. Dei circa 25 milioni di abitanti, 4,4 sono musulmani e 2,9 appartenenti a gruppi indigeni. Il Pil pro capite di Mindanao è di 1.800 dollari l’anno, ovvero la metà di quello nazionale. La Regione autonoma della Mindanao islamica (ARMM) ha addirittura un Pil pro capite di soli 700 dollari, pari ad appena l’8% di quello di Metro Manila. Tuttavia, non è stato sempre così.
Storicamente Mindanao fu la prima regione delle moderne Filippine a svilupparsi. I sultanati di Sulu e di Maguindanao vantavano sistemi di governo avanzati già a partire dal 1400 e avevano dei legami commerciali consolidati con la Cina e con i regni insulari del sud-est asiatico. In realtà, sino a pochi decenni fa, la situazione era ben differente. Negli anni settanta Mindanao aveva un Pil pari a quello di Luzon e tre volte superiore a quello di Visayas. Addirittura sino agli anni ottanta, la regione era ricca quanto la Tailandia e registrava livelli superiori a quelli del Vietnam o dell’Indonesia. Oggi il Pil pro capite della Tailandia è tre volte quello di Mindanao, mentre Vietnam e Indonesia doppiano la macro-regione filippina.
Mindanao è di per sé una zona ricca di risorse naturali. Vi sono importanti giacimenti di minerali come oro, rame e nickel. Inoltre, Mindanao gode di un clima quasi ideale per l’agricoltura, proprio per essere situata al di là della richiamata cintura dei tifoni. Il suolo è fertile ed è adatto ad una gran varietà di coltivazioni. Per questo l’area è tutt’ora la principale fonte di produzione agricola delle Filippine. Ciononostante, e al netto dei trascorsi storici e delle ricchezze naturali, la crescita e lo sviluppo di Mindanao sono attualmente ben al di sotto del proprio potenziale. La dilagante povertà e la generalizzata arretratezza non sono imputabili esclusivamente al conflitto. È vero che il conflitto ha distrutto le infrastrutture e mantenuto i piccoli imprenditori e proprietari terrieri a livello di sussistenza, come è pur vero che il 60% delle persone che vivono nelle aree di conflitto sono al di sotto della soglia di povertà.
Tuttavia, la presente situazione è figlia anche di politiche industriali miopi e scelte economiche errate intraprese negli ultimi decenni. Il modello economico di Mindanao si è basato sulle grandi piantagioni, la silvicoltura, l’industria mineraria e quella pesante, allo scopo di sostenere un regime di sostituzione dei beni di consumo importati con beni di consumo prodotti sul mercato interno quale strategia di sviluppo industriale. Si tratta di settori ad alta intensità di capitale, con un limitato indotto interno, il che non ha permesso di ridistribuire gli utili a livello locale e non ha generato alcun effetto moltiplicatore. Inoltre, le politiche protezionistiche nazionali in materia commerciale e industriale hanno finito con il tassare pesantemente la produzione agricola.
Ne è scaturito che le attività agricole hanno bassi livelli di produttività, il settore manifatturiero è limitato dalle scarse infrastrutture, mentre il terziario è sostanzialmente un settore a bassa specializzazione, ridotto ad essere il bacino per il surplus di lavoratori provenienti dal settore agricolo e che non trovano impiego nelle città.
In altre parole, il modello di crescita seguito da Mindanao negli ultimi anni non è riuscito a sfruttare quello che sarebbe stato il miglior vantaggio comparativo: l’agricoltura dei piccoli proprietari terrieri. Il dato macroeconomico di per sé non è sufficiente a creare posti di lavoro e ridurre la povertà. Conta anche e soprattutto come e quanto i benefici di tale crescita siano distribuiti, in particolare per quanto riguarda le fasce più povere della popolazione.
Tale modello di crescita, oltre a non essere sostenibile, ha contribuito allo scontro sociale, alimentando de facto il conflitto interno, lasciando il potere e ricchezza nelle mani di una ristretta élite e perpetuando lo status quo.
Una crescita economica inclusiva in grado di combattere la sperequazione sociale e creare posti ed opportunità di lavoro diviene un passaggio ineludibile anche per spezzare la spirale di conflitto e povertà in cui è precipitata Mindanao, ben consapevoli tuttavia che le cause del conflitto non sono di natura meramente economica.
Ripartire dall’occupazione significa anche mettere il capitale umano al centro di ogni discorso sullo sviluppo di Mindanao. In quest’ottica, nel recente rapporto diffuso dalla Banca Mondiale, vengono identificate tre direttrici di sviluppo strategico:
- Aumentare la produttività delle aziende agricole e nel settore della pesca, migliorando la connettività e l’accesso ai mercati locali e internazionali;
- Investire in educazione, formazione e protezione sociale;
- Affrontare le cause del conflitto e rafforzare la presenza istituzioni nelle aree di conflitto.
Aumentare la produttività agricola implica migliorare e razionalizzare i sistemi di irrigazione, adoperare le nuove tecnologie, ma anche assicurare una infrastruttura logistica degna di questo nome, innanzitutto mediante la costruzione di strade. L’arretratezza ed insufficienza della rete viaria ha delle ricadute economiche enormi, a partire dagli elevati costi di trasporto e distribuzione.
Drammatici sono anche i bisogni relativi alla formazione delle risorse umane. Il Dipartimento dell’agricoltura filippino calcola che quasi l’80% dei contadini e pescatori di Mindanao vivano sotto o appena al di sopra della soglia di povertà e siano privi delle conoscenze di base per competere sui mercati. Gli squilibri relativi alle opportunità di studio ed alle offerte formative perpetuano l’attuale schema di diseguaglianza. Le offerte formative riguardano quasi esclusivamente persone che hanno completato gli studi superiori e che provengono da ceti medio-alti. Di fatto, vi sono pochissimi spazi di formazione per la maggioranza della popolazione povera che rimane all’interno del settore agricolo.
Un’altra questione irrisolta è quella delle dispute fondiarie che danneggiano l’efficienza agricola, in special modo dei piccoli proprietari, e limitano l’occupazione. Ugualmente importante è il rafforzamento della rete di fornitura elettrica. I continui e lunghi black-out hanno dei costi molto considerevoli per le imprese, arrestando la produzione e danneggiando i macchinari. La lista potrebbe continuare: espansione dei servizi finanziari, riduzione dei costi commerciali, semplificazione delle norme doganali e altro ancora.
Le sfide per Mindanao sono enormi. La povertà inasprisce un conflitto che alimenta altra povertà. La sfida è però nazionale. Dal momento che rappresenta la principale fonte agricola delle Filippine, migliorare la produzione di Mindanao significa abbassare i prezzi e rendere il paese più competitivo. Inoltre, come maggiore area di conflitto del paese, pacificare Mindanao vuol dire portare la pace nelle Filippine. La ricostituzione di un vincolo di fiducia tra soggetti in guerra da decenni e la creazione di un sistema istituzionale legittimamente riconosciuto sono obiettivi a medio-lungo termine. I temi del miglioramento della produttività, del lavoro e della dignità sociale di milioni di persone mirano a un orizzonte forse più immediato. Dal progresso economico e sociale di Mindanao potrebbe, infatti, dipendere lo sviluppo delle Filippine.