Tra dialettica locale e imperativi globali: quali sfide per una piena cittadinanza delle donne africane?
Dopo la storica IV Conferenza mondiale sulle donne, tenutasi nel 1995 nella Repubblica popolare cinese, a seguito della quale fu adottata la Piattaforma d’azione di Pechino, il rafforzamento del ruolo e dello status della donna non è ancora divenuto davvero realtà, nonostante il tema solleciti le coscienze. In effetti, i diritti e le opportunità delle donne sono sistematicamente ostacolati dal conservatorismo religioso e culturale, il cui obiettivo principale continua ad essere il ritorno ai valori tradizionali e alla religione. In questo contesto, la questione femminile si colloca quindi al centro del dibattito, essendo fortemente legata alla dicotomia tra modernità e cultura, tra globale e locale. I movimenti, le scelte, le opportunità e i diritti delle donne sono sempre più assoggettati ai contesti culturali e religiosi dominanti.
Universalismo contro relativismo culturale in Africa e le sfide per una cittadinanza femminile
In Africa le trasformazioni sono dominate politicamente ed economicamente dal protrarsi della crisi economica, i cui effetti sulla sfera sociale sono di vasta portata, e da una crisi ideologica segnata da derive preoccupanti come l’estremismo violento. Questa crisi è caratterizzata dall’ambivalenza tra universalismo e relativismo e dalla compenetrazione tra dimensione locale e globale, riportando in primo piano la questione della volontà di una convivenza comune. L’ambivalenza risiede nel fatto che è l’intera ideologia universalista ad esser messa in discussione dal relativismo culturale e religioso, ponendo i due approcci in aperta contraddizione tra loro. Per quanto riguarda la compenetrazione tra locale e globale, essa si basa sulla consapevolezza che i pericoli che affliggono il mondo, come il cambiamento climatico, le questioni di pace e sicurezza, le crisi alimentari, e i crimini informatici hanno dimensioni globali, ma allo stesso tempo si tende a cercare le soluzioni col metro del relativismo culturale. Quest’ultimo approccio è contrassegnato soprattutto da un ripiegamento identitario basato sull’idea che il mondo non può essere concepito come un unico insieme in evoluzione lineare, ma sia basato sulla diversità.
La questione femminista rimane quindi il crocevia di queste tensioni tra universalismo e relativismo, nel senso che molte società mantengono una concezione culturale dell’eguaglianza che mette in opposizione tradizione e modernità (nel senso di apertura).
Pertanto in alcuni paesi africani le istanze per il rispetto dell’identità culturale e il ritorno alla religione fanno della questione femminile la principale sfida. Durante la 62ma Commissione sullo stato delle donne (CSW), tenutasi a New York nel marzo 2018, alcuni paesi hanno espresso riserve su alcuni termini usati nel documento poiché ritenuti “polemici”, come “salute sessuale” e “diritti riproduttivi”. Alcuni stati partecipanti, come il Sudan, hanno sottolineato che alcune questioni esposte nel progetto di accordo conclusivo sono in contrasto col quadro legislativo di certi paesi, mentre la Mauritania ha indicato che l’uso di questi termini costituisce un ostacolo alla sharia.
L’esercizio della cittadinanza femminile nel contesto accademico: le sfide ancora da affrontare
Uno studio empirico condotto sulle percezioni e la rappresentazione dell’uguaglianza di genere tra i giovani universitari ha messo in risalto le realtà sociali che producono e riproducono le disuguaglianze di genere e, di conseguenza, ostacolano la partecipazione civica delle donne alla vita pubblica e privata.
La famiglia, luogo per eccellenza della prima socializzazione, inculca un certo numero di valori, un’identità sociale e modella la struttura sociale. In seguito, l’università diventa di fatto un’altra famiglia sostenuta dalla prima famiglia biologica e sociale, e subentra infine la comunità professionale. Dall’analisi di questi tre fattori di socializzazione, lo studio mostra che le relazioni di genere rimangono per la maggior parte basate sul patriarcato, nonostante i valori insegnati nell’università. Queste relazioni, ereditate dal modello di socializzazione appreso in famiglia, sono quindi alimentate da una particolare concezione della promiscuità, dell’occupazione dello spazio a livello pubblico e della cittadinanza.
L’appropriazione e la strumentalizzazione della produzione scientifica, degli spazi fisici, del mantenimento e del trasferimento del sapere, così come il dirigismo religioso e associativo nell’università, costituiscono gravi minacce alle libertà accademiche. In effetti, la nascita di movimenti e associazioni di ogni tipo, e l’organizzazione di manifestazioni di obbedienza religiosa e culturale in opposizione ai valori accademici universali, dimostrano inequivocabilmente che la minaccia all’equilibrio universitario e ai diritti delle donne è molto concreta. Questi movimenti dettano linee guida per l’università, che purtroppo non hanno alcun impatto di natura accademica e talvolta demoliscono l’intera ideologia progressista dell’uguaglianza di genere. Le incomprensioni e il non rispetto delle libertà accademiche rendono l’università teatro di scontri, tensioni e conflitti in cui la violenza talvolta prevale sulla dialettica. Anche le questioni relative all’uguaglianza di genere sono al centro di queste turbolenze, soprattutto per ciò che riguarda un’equa distribuzione degli spazi, l’accesso alle opportunità di formazione, le possibilità di avanzamento ed accesso a posizioni di responsabilità, la creazione di collegamenti tra lavoro e vita familiare, ma anche in nome dell’espressione e delle aspirazioni ad una maggiore giustizia sociale.
Un’analisi molto più approfondita delle percezioni e delle descrizioni dell’uguaglianza di genere da parte degli studenti mostra che il concetto di diversità e cittadinanza, che rimanda anche ai valori dell’uguaglianza di genere, non è poi così diffuso. Infatti, dalle percezioni e dalle descrizioni di studenti e studentesse circa le libertà e i movimenti delle donne si può notare come i rapporti di potere nella vita di coppia e in quella pubblica siano influenzati dal patriarcato. Persiste la convinzione di fondo che il posto della donna sia a casa, anche nel caso in cui può contribuire al mantenimento della famiglia con la sua attività professionale.
Lo spazio pubblico rimane quindi interdetto alle donne, anche se si notano alcune aperture. A livello generale studenti e studentesse sembrano accettare il principio di uguaglianza, ma ciò mostra i suoi limiti quando si valutano caso per caso i “diritti” e i presunti “obblighi” delle donne. La linea di demarcazione tra lo spazio di evoluzione privato e quello pubblico per uomini e donne è molto netta. Anche gli studenti e le studentesse che sembrano essere meglio informati sulle questioni di giustizia sociale non sono pienamente impegnati nella causa dell’eguaglianza. Le argomentazioni religiose a supporto dei valori culturali definiscono pertanto le loro percezioni e rappresentazioni delle relazioni uomo-donna. Sulla questione del lavoro femminile – e questo può essere il vero paradosso – il contributo economico delle donne è ammesso, anche se è considerato sussidiario nell’ambito del bilancio familiare.
L’analisi dell’ideologia dell’uguaglianza di genere tra i giovani mostra che c’è mancanza di chiarezza sui rapporti di potere, che non soltanto sono oggetto di continue negoziazioni, ma si evolvono in un contesto di conflitti di genere aperti o latenti. Il discorso progressista è oggi ostacolato da una lettura conservatrice dei valori della società di cui la donna rimane il punto focale.
È di certo necessaria un radicale cambiamento per non cadere nei vincoli del confinamento o nelle derive della globalizzazione. C’è ancora una forte resistenza ai valori universali dell’uguaglianza di genere. Così, in Senegal, la legge sulla parità è stata rapidamente superata da un appello all’ordine delle comunità religiose o culturali, basato sulla necessità di mantenere intatte le fondamenta su cui è costruita la società senegalese, imperniata sulla cultura arabo-musulmana e quella giudaico-cristiana.
Sarebbe certamente necessario mettere in discussione l’attitudine alla socializzazione, intesa come propensione d’insieme di un individuo, o di un gruppo di individui, a vivere in società attraverso lo scambio e il rispetto reciproco, escludendo di fatto la sottomissione, la violenza e la prevaricazione per costruire una nuova cittadinanza delle donne, sia nello spazio privato che in quello pubblico.
Lungi dall’aver risolto la complessità della cittadinanza femminile, specialmente in un contesto culturale fortemente segnato dal patriarcato, questo articolo vuole essere solo un modesto contributo al dibattito identitario che l’Africa deve portare avanti per riconciliare i suoi valori culturali e le sue ambizioni universalistiche di uguaglianza di genere, in un mondo in piena crisi ideologica ed esposto alla minaccia fondamentalista.