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Mobilità sociale e dinamiche di distribuzione del reddito in Sudafrica

A proposito dello studiio di Marisa von Fintel*

Redazione

Il lascito del regime segregazionista del Sudafrica è un macigno che pesa sulla storia recente del paese e che, purtroppo, non può essere superato rapidamente. L’eredità della segregazione razziale si traduce in livelli elevati di disuguaglianza e povertà di reddito che persistono ancora oggi e si intrecciano con l’appartenenza alla comunità nera, alla lingua e al sito in cui si vive.
Nonostante nel corso degli anni Duemila si siano registrati miglioramenti nelle condizioni di vita che hanno portato ad una riduzione del numero di poveri, nel periodo 2008-2010 circa il 34% dei sudafricani viveva ancora in famiglie che si trovavano in una condizione di povertà cronica, cioè non temporanea e persistente nel lungo periodo.
In letteratura si parla di trappole di povertà (poverty trap) per indicare la situazione di individui, famiglie o nuclei abitativi che vivono a lungo al di sotto della soglia di povertà, a causa di meccanismi che si autoalimentano e condannano le persone ad una povertà permanente.
Riuscire ad identificare quali siano i meccanismi che impediscono l’uscita dalla povertà e contribuiscono a renderla una condizione cronica diventa fondamentale per l’attuazione di politiche di cambiamento, finalizzate ad un aumento dei redditi e del livello dei consumi almeno al di sopra della soglia di povertà. Dal secondo dopoguerra, in letteratura si è focalizzata molto l’attenzione sui bassi livelli di istruzione, le cattive condizioni di salute, lo scarso risparmio, la mancanza di garanzie per accedere al credito, l’esclusione sociale e la marginalizzazione sul piano territoriale.
La grande enfasi tradizionalmente assegnata al circuito economico risparmio-investimenti o credito-investimenti, ritenendo che la crescita economica fosse il motore per promuovere migliori condizioni di vita complessive, si è tradotta in una particolare attenzione all’accumulazione del reddito e al complesso di quei fattori produttivi e finanziari, ma anche sociali, geografici e di accesso al mercato che danno un vantaggio economico, definiti asset.
In particolare, un filone della letteratura si è specializzato nel cosiddetto approccio basato sugli asset, in ragione del fatto che focalizzarsi soltanto sul reddito o sul livello di consumo comporta spesso errori di misurazione e dà una fotografia istantanea che non aiuta a tracciare un profilo di lungo periodo, dal momento che reddito e consumi, diversamente dagli asset, subiscono rapide oscillazioni. Tale approccio mira a valutare l’esistenza di trappole di povertà distinguendo la componente strutturale del reddito, dipendente dalla dotazione di asset, da quella congiunturale legata a shock esterni, estemporanei e non dipendenti dagli stessi asset. L’idea di fondo è che non esista un processo lineare di crescita del reddito, perché esistono in realtà dei salti discontinui: solo se si dispone di alcuni asset chiave ci si può spostare su un percorso di maggiore accumulazione e crescita del reddito, che permetterà a sua volta un’ulteriore accumulazione, per poi passare a un successivo stadio di ulteriore crescita. A questo proposito si parla, in particolare, della cosiddetta soglia di Micawber. Tale soglia, al di sopra della povertà ma non tanto da rendere immuni agli shock, identificherebbe un punto di discontinuità da cui si originano due possibili alternative: o si resta intrappolati nel percorso precedente o ci si sposta su un percorso con più alti tassi di accumulazione del reddito. I poveri spesso non dispongono, né riescono ad acquisire sul mercato, degli asset che consentano loro di spostarsi su percorsi più vantaggiosi e restano così intrappolati nella povertà. Simmetricamente, si potrebbe dire che i ricchi beneficiano di una discesa libera nel benessere, perché rispetto ad altri partono da posizioni più vantaggiose in termini di dotazione di asset chiave, che permettono di accedere ad un gran numero di percorsi di accumulazione di reddito.

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In Sudafrica, analizzando i dati relativi al 1993 e 1998 forniti dall’Istituto nazionale di statistica, è stata verificata l’esistenza di molteplici percorsi di crescita in corrispondenza di una particolare soglia di Micawber, coincidente con un valore di reddito doppio rispetto alla soglia di povertà. È utile ricordare che nel 1996, subito dopo la fine del regime segregazionista, il Sudafrica avviò un programma macroeconomico in linea coi principi del cosiddetto Consenso di Washington, secondo cui si sarebbe ottenuta una riduzione della povertà lasciando al mercato il compito di promuovere la crescita economica. In pratica, nella seconda metà degli anni Novanta, in Sudafrica la povertà aumentò e gli interventi pubblici per contrastarla furono ridotti al minimo.
Studi successivi hanno messo in discussione la validità di questi risultati e la possibilità stessa di identificare trappole di povertà in corrispondenza delle soglie di biforcazione dei percorsi di accumulazione del reddito, perché i meccanismi che intrappolano nella condizione di povertà non sono solo molteplici, ma afferiscono a diversi soggetti (individui, famiglie, comunità). Esistono al contempo meccanismi che possono determinare trappole di povertà legate sia ad uno stato stazionario sia ad equilibri multipli, al punto che esisterebbero soglie o punti di non ritorno che porterebbero persone diverse a sentieri divergenti.
Marisa von Fintel testa questa stessa ipotesi utilizzando dati campionari aggiornati, raccolti attraverso l’indagine sulla dinamica del reddito nazionale (National Income Dynamics Study, NIDS) e relativi al 2008, 2010 e 2012. Quasi 19 mila persone hanno dato informazioni sulla propria condizione economica in tutti e tre gli anni considerati e, in base al numero di componenti delle relative famiglie, è stato possibile calcolare il valore del reddito pro capite.
Come soglia di povertà nazionale si è utilizzato il valore di 636 Rands del 2012 (pari a 76,9 dollari), sulla base del costo dei beni e servizi fondamentali.
Nel frattempo, il contesto macroeconomico sudafricano è cambiato rispetto alla fine degli anni Novanta. Negli ultimi anni, la riduzione della povertà è diventata una delle priorità delle politiche pubbliche e ciò potrebbe essere la ragione per l’eventuale assenza di una trappola di povertà a livello microeconomico, cioè di singoli individui e famiglie, per cui esisterebbero molteplici punti di equilibrio (di permanenza nella povertà o di uscita da essa).
L’analisi, focalizzata sulla componente strutturale della dinamica dei redditi individuali, smentisce l’esistenza di una trappola di povertà così come ipotizzata dall’approccio basato sugli asset, secondo cui esisterebbe una soglia chiave di Micawber in corrispondenza della quale si biforcherebbero i percorsi di accumulazione strutturale del reddito, lasciando parte delle famiglie in povertà mentre altre ne uscirebbero.
I dati dimostrerebbero dunque la prevalenza in Sudafrica di un equilibrio di stazionarietà, cioè l’esistenza del solo equilibrio di permanenza nella povertà, senza prospettive di biforcazione dei percorsi: il reddito strutturale nella sua dinamica di lungo periodo tende a mantenersi sugli stessi livelli, il che significa in pratica una scarsissima mobilità economica verso l’alto. In estrema sintesi, chi parte da condizioni di povertà ben difficilmente riuscirà ad uscirne. L’esistenza di una soglia chiave di Micawber è confermata, ma ben al di sopra della soglia di povertà, il che significa che la mobilità economica resta appannaggio esclusivo di chi sta già bene.
Si tratta di risultati che trovano conferma, del resto, nei dati macroeconomici aggregati: nel periodo 2010-2012, nonostante la crescita del Pil, in Sudafrica la disuguaglianza è rimasta molto elevata, segno che le dinamiche di accumulazione del reddito non si sono equamente distribuite. I più poveri mediamente sono rimasti gli ultimi, nonostante l’introduzione di politiche pubbliche orientate a contrastare la povertà. I dati mostrano inoltre una forte correlazione tra povertà ed appartenenza alla comunità nera. In pratica, la mobilità economica e sociale risulta più bassa proprio nelle zone dove più alta è la concentrazione di quella popolazione.