Le migrazioni internazionali: una maledizione o una benedizione?
L’intreccio di visioni sulle migrazioni internazionali dà le vertigini, tanti sono i discorsi prevalenti su questo argomento. Le opinioni sono inficiate da luoghi comuni e altre illusioni. Si tratta di una vera torre di Babele dove ognuno parla ma nessuno ascolta, mentre tutti fingono di capire e di conoscere la verità. Sull’onda di emozioni e di immagini scioccanti divulgate e/o manipolate, pensiamo di poter arrivare a conoscere le “cause profonde” dei movimenti migratori. Può forse esistere un sistema di governance globale per la migrazione? Utopia o realtà? Una benedizione o una maledizione?
La ricerca di un consenso globale è di per sé un’ammissione dell’esistenza di un “dissenso”, di una contraddizione, di opinioni opposte, di disposizioni contrastanti in seno alle istituzioni, siano esse nazionali, regionali o internazionali.
Certe crisi o pseudo-crisi, che hanno generato improvvisi movimenti, spesso più prevedibili che sorprendenti, vengono tradotte in immagini di cui si nutrono continuamente gli organi d’informazione dominanti. Crisi che sarebbero causate da modelli di governance mal interpretati e che quindi troverebbero una soluzione efficace in un sistema migliore di governance o gestione e controllo politico delle dinamiche migratorie stesse. Si crea così una persistente confusione di fronte a flussi che crescono di intensità, sullo sfondo di uno scenario descritto da cifre, più o meno affidabili ed elaborate in laboratori di idee precostituite che descrivono masse di esseri umani in movimento.
È però emersa dal nulla una quantità di pubblicazioni tese a scongiurare il destino dei popoli costretti a circolare a viso scoperto davanti a porte di controllo invisibili – attraverso sofisticati sistemi di screening. Ogni percorso è monitorato da satelliti, osservatori che appaiono e scompaiono dopo aver mostrato strade vecchie e nuove, percorse da uomini, donne e bambini che non sanno dove stiano andando.
È in questo contesto che i continenti e le regioni del mondo si scambiano “buone pratiche” al fine di stabilire un patto globale sulla migrazione internazionale che dovrebbe diventare “vincolante”. Abbiamo bisogno di sognare un mondo migliore, anche se la speranza si allontana sempre di più, con la moltiplicazione di muri a livello di frontiere che in questo secolo dovrebbero diventare più aperte.
Il portale geopolitico Mondopoli vuole essere una tribuna aperta per far ascoltare altre voci, altre campane, altre istanze sollevate da flussi migratori che nessuna misura di sicurezza potrà esclusivamente e definitivamente interrompere. E ci sollecita a ragionare in modo aperto e critico su questi temi.
Occorre allora dire che sono esistiti e continueranno ad esistere uomini condannati a migrare per vivere e sopravvivere. Il diritto alla vita e alla morte non sono affari di Stato. Al di là dei discorsi dominanti, pedissequamente riprodotti dai portavoce, mi piace pensare che questa piattaforma miri a offrire uno spazio di libera espressione soprattutto ai migranti e agli analisti delle economie dominate, che si trovano in uno stato di sopravvivenza ai margini di un processo di globalizzazione o mondializzazione, o ancora di internazionalizzazione, reversibile in qualsiasi momento.
I discorsi delle economie dominanti sono velati da una certa miopia, una falsa cecità che distorce i rapporti sociali, portati avanti sulla base di tematiche che si suppongono “guidate” da conoscenze sulla migrazione internazionale basate su “pilastri” abilmente costruiti su approssimazioni.
- La relazione tra migrazione e sviluppo è contrassegnata dai “trasferimenti di denaro” dei migranti verso i non migranti, dalla mobilità delle competenze e dal ritorno dei migranti verso i paesi di origine. Tutti questi temi nascondono però delle contro-verità: i trasferimenti di denaro non possono trasformarsi in investimenti; la mobilità delle competenze è in realtà una fuga organizzata di cervelli da regioni incapaci di difendersi; il ritorno delle competenze è un mito alimentato perché le economie dominate investano di più in capitale umano per esportazioni “gratuite” verso le economie dominanti.
- Le migrazioni regolari sono incastrate negli interstizi di un mercato del lavoro presumibilmente destinato a diventare senza frontiere. Questo millennio è iniziato con la carenza di manodopera qualificata di cui le economie dominanti hanno bisogno per salvaguardare la propria crescita e il benessere delle loro popolazioni, nonostante il rapido progresso della tecnologia e la robotizzazione delle aziende. Alcuni “cacciatori di teste” vengono incaricati di procurare le competenze necessarie laddove siano disponibili, senza curarsi delle regole o dell’etica.
- Le migrazioni irregolari di persone di “basso livello” sono invece vietate. In tutto il mondo sono state erette misure di protezione e sicurezza alle frontiere. Persino alcune economie dominate si stanno impegnando in questo divieto di circolazione, ricavandone alcuni piccoli vantaggi, per fermare flussi che disturberebbero la serenità e perturberebbero la pace di paesi sicuri e presumibilmente stabili. Voci di ogni tipo vengono risvegliate e alimentate da pseudo-nazionalisti, spesso loro stessi ex migranti, a loro volta diventati guardiani del tempio in cui viene salvaguardata la ricchezza saccheggiata.
- La protezione dei diritti umani dei migranti, siano essi in una situazione regolare o irregolare, dovrebbe essere un diritto acquisito dall’umanità. Che si tratti del diritto alla vita, alla casa, alla salute, all’educazione, alla dignità di ogni persona, specialmente in difesa delle persone più vulnerabili… questi diritti vengono screditati dagli stessi che si professano rispettosi dei Diritti dell’Uomo. A nord come a sud, i migranti vulnerabili vengono rinchiusi, imprigionati, venduti nonostante l’esistenza di convenzioni che dovrebbero garantire i diritti fondamentali per la vita.
- I diritti dei richiedenti asilo e dei rifugiati vengono scanditi come un dovere dalla “comunità internazionale”, formata principalmente dalla cosiddetta “Triade” – cioè, l’America del Nord, l’Unione Europea e il Giappone –, che domina l’economia mondiale e controlla la politica internazionale, dopo essersi accaparrata la ricchezza del mondo e del pianeta terra. Sono doveri a geometria variabile, che aprono la strada a organizzazioni umanitarie che si alimentano delle donazioni delle economie dominanti.
Questi pilastri, che sostengono i discorsi delle economie dominanti ritrasmessi da alcune organizzazioni e agenzie internazionali, meriterebbero la decostruzione sociale della retorica del pseudo-sapere costruito, al fine di identificarne le ragioni nascoste e profonde, i guadagni e le perdite degli uni e degli altri.
Il mondo si trova oggi all’incrocio di sentieri, strade e autostrade monitorate da satelliti. Ogni movimento è osservato e digitalizzato a scapito del diritto alla libertà di circolazione di beni e persone. Ciascuno si erige a poliziotto e mostra i suoi muscoli, con o senza mezzi concreti per controllare regole che cambiano ad ogni minimo sorpasso, più o meno facilitato. È così che si aprono autostrade in assenza di codici di circolazione universalmente condivisi tra i paesi.
Da ogni parte sorgono interrogativi, sulla base di paradigmi e teoremi costruiti attraverso approssimazioni raccolte e riunificate in “schede informative”, profili di paesi che dovrebbero costituire riferimenti oggettivi e impeccabili. Questi dati, più quantitativi che qualitativi, diventano anche oggetto di proiezioni e previsioni di azioni da intraprendere, tramite un processo di definizione delle priorità che lascia poco spazio ai fattori imprevisti ed alle incognite legate ai cambiamenti climatici, che minacciano intere aree in molte regioni del mondo. Nelle condizioni attuali del nostro ambiente si possono quindi prevedere enormi spostamenti, a parità di ogni altra condizione.
Considerando la migrazione internazionale come uno strumento di analisi dei rapporti sociali tra società differenti, va notato il fatto che esistono paesi a mobilità molto bassa ed altri a mobilità molto elevata. La spiegazione dei movimenti deriverebbe perciò dall’intreccio di forze endogene ed esogene, che esercitano pressioni sociali più o meno intense sui flussi migratori internazionali. Al giorno d’oggi tutte le regioni del mondo sono attraversate da convulsioni spesso esacerbate da evidenti disparità tra strati sociali, tra i diversi gradi di sviluppo economico, sociale e culturale dei paesi e tra i vari regimi politici che si confrontano in lotte aperte o nascoste. L’impatto sul benessere è perciò complesso e non può essere misurato da pochi, soggettivi indicatori di felicità in questo o quel paese.