Una caratteristica che accomuna molti paesi in via di sviluppo in tutti i continenti è la significativa presenza del settore informale, cioè l’ampia casistica di attività economiche, tra loro anche molto eterogenee, che non sono rilevate dalla contabilità pubblica, evitano la tassazione e si sottraggono alle normative che tutelano i lavoratori, non registrando i contratti di lavoro. È il cosiddetto “sommerso” o “lavoro in nero”.
Si stima che il settore informale sia la quota prevalente di tutte le attività economiche presenti in molti paesi, sia per quanto riguarda il volume di attività che il numero di occupati, diventando di fatto la strategia di sopravvivenza per la maggioranza della popolazione. Al di là della confusione che talvolta si crea con l’economia illegale o criminale, il settore informale dell’economia è solitamente considerato un punto di debolezza del sistema, perché tutt’altro che marginale e spesso collegato con l’economia di mercato “regolare”, così da generare forme di concorrenza sleale che avvantaggiano le imprese che, pur operando regolarmente, utilizzano servizi o acquistano beni prodotti da imprese del settore informale; queste, a loro volta, offrono prezzi più bassi perché evadono le tasse, non garantiscono condizioni di lavoro dignitose e non tutelano i diritti dei lavoratori. Inoltre, sempre a livello generale, l’informalità è un fenomeno diffuso tanto nelle aree rurali quanto in quelle urbane – in contiguità con le imprese regolari dell’economia di mercato – e si caratterizza per una forte presenza di forza lavoro femminile, più vulnerabile e maggiormente sfruttata.
Sarra Ben Yahmed si è posta una domanda di ricerca chiara al riguardo: tra i nuovi protagonisti sulla scena internazionale, prendiamo in considerazione un paese con un’economia dinamica come il Brasile, in cui il settore informale è molto presente, e verifichiamo se e quanto la discriminazione di genere patita dalle donne in termini retributivi nell’ambito del settore informale sia maggiore di quella riscontrata nel resto dell’economia, definito “regolare” e “formale”.
L’interpretazione corrente è che l’economia informale tenderebbe a penalizzare maggiormente le donne, laddove riconosce minori tutele alla maternità, una fattispecie prevista dalla regolamentazione del mercato del lavoro soprattutto a beneficio delle donne: in Brasile, la legge prevede il congedo retribuito per maternità per 120 giorni nel caso delle donne e solo fino a 5 giorni nel caso degli uomini. Allo stesso tempo, però, il carattere di maggiore flessibilità del settore informale eserciterebbe un’attrazione proprio sulle donne, che per diverse ragioni (a cominciare dal carico familiare che grava su di loro) considerano la flessibilità molto importante.
Il risultato dell’analisi di Sarra Ben Yahmed è interessante: i differenziali retributivi di genere sono maggiori nell’economia regolare rispetto a quelli presenti nel settore informale.
Per spiegare le differenze tra il settore informale e quello regolare in ambito urbano, attraverso l’uso di appropriate tecniche econometriche applicate ai dati forniti da un’indagine campionaria del 2009 (Pesquisa Nacional por Amostra de Domicilios, PNAD), poi ripetuta nel 2015, l’autrice tiene conto sia delle differenze tra le caratteristiche “osservabili” che incidono sulla produttività dei lavoratori (quali età, esperienza lavorativa, titolo di studio, etnia di appartenenza, settore, tipologia contrattuale e dimensione di impresa), sia dell’esistenza di qualcos’altro, non immediatamente visibile e misurabile ma importante, perché la selezione tra chi ha lo status di lavoratore nel settore informale o in quello formale non è casuale, anche al netto delle caratteristiche rilevabili. In altri termini, anche a parità di caratteristiche osservabili, i lavoratori nel settore formale risultano sistematicamente diversi da quelli nel settore informale, a causa di alcune caratteristiche “non osservabili” direttamente (indice questo della nostra “ignoranza”) che si traducono in elevate differenze retributive. Occorre, dunque, tener conto delle caratteristiche non osservabili per misurare correttamente i differenziali retributivi di genere nei due settori. Ovviamente, le tipologie di lavoro prese in considerazione nel settore informale e in quello informale sono le stesse, tanto nel comparto pubblico quanto in quello privato, escludendo sia i lavoratori indipendenti che quelli domestici e i militari (perché quasi unicamente uomini).
I dati grezzi indicano infatti che le donne risultano disoccupate più spesso degli uomini (per esempio, sono molto più disoccupate le ragazze con figli rispetto ai ragazzi nella stessa situazione) e che il tasso di informalità è più alto tra le lavoratrici rispetto agli uomini; inoltre, i differenziali retributivi di genere sono più alti nel settore informale e tendono a crescere in entrambi i settori con l’aumentare del livello di istruzione. Fin qui tutto sembra confermare le teorie generali sul mondo del lavoro. Tuttavia, il quadro cambia approfondendo l’analisi. Tenendo conto delle caratteristiche osservabili dei lavoratori non si ottengono risultati diversi, salvo un allargamento del divario retributivo di genere: per esempio, nel caso dei lavoratori altamente specializzati, gli uomini guadagnano il 30 per cento in più delle donne nei lavori regolari e il 19 per cento nel caso del settore informale. Invece, quando si prendano in considerazione anche le caratteristiche non osservabili, cioè le differenze sistematiche nell’assunzione dei lavoratori, si scopre che i differenziali retributivi di genere non risultano più significativi nel settore informale, mentre restano rilevanti nel caso del lavoro regolare. Ciò risulta vero per tutti i livelli di istruzione dei lavoratori.
Se, dunque, si può affermare che il settore formale discrimina di più le donne, soprattutto al crescere del livello di istruzione, si tratta anche di darne una spiegazione.
Per un verso, tale risultato parrebbe una conferma del cosiddetto fenomeno del “soffitto di cristallo” (o di vetro), proprio del settore formale, a causa del quale l’avanzamento di carriera delle donne viene impedito da discriminazioni di genere, perché il costo e la protezione del lavoro sono maggiori nel caso delle lavoratrici. Per la stessa ragione, nei paesi in cui l’inserimento delle donne nel mondo del lavoro è avanzato, esiste anche il fenomeno della cosiddetta “scogliera di cristallo” (o di vetro), quello per cui le donne al vertice corrono maggiori rischi di perdere il lavoro e di essere considerate meno competenti in ragione del fatto di essere donne.
Per un altro verso, sempre nel settore formale esiste una sorta di compensazione, per cui i differenziali retributivi di genere sono il pegno che le donne devono pagare per ottenere maggiori protezioni lavorative.
Si parla infine di discriminazione “statistica” perché, a parità di caratteristiche lavorative tra un uomo e una donna, un datore di lavoro confronta i costi e i benefici derivanti dall’eventuale assunzione dei due candidati con lo stesso contratto di impiego. La decisione di assumere l’uno o l’altra e quella di fissare un livello salariale dipendono dall’asimmetria informativa sul comportamento del lavoratore e sulla presunzione che, come indica la media statistica, le donne mostrerebbero un minore “attaccamento” al lavoro (per il semplice fatto che si assentano di più in conseguenza della maternità e degli impegni di cura della famiglia).
In base ad alcune indagini di campo condotte in passato in Brasile intervistando lavoratori e lavoratrici nel settore informale, risultava che circa il 30 per cento sia degli uomini che delle donne avesse scelto di entrarvi spontaneamente. Tuttavia, le ragioni di tale scelta differivano profondamente: tra le donne che optavano “liberamente” per un impiego nel settore informale, quasi la metà lo faceva ritenendolo compatibile con le faccende domestiche di cui dovevano occuparsi; al contrario, quasi nessun uomo ricorreva a questa spiegazione e lo giustificava col fatto che nel settore informale si riuscisse a guadagnare di più, motivazione quasi del tutto assente tra le donne. Si tratta d’informazioni ancora oggi coerenti con i risultati dell’analisi condotta da Sarra Ben Yahmed, che ovviamente non vanno letti come una critica al sistema di tutele giuridiche che proteggono il lavoro femminile. Infatti, anche se il differenziale tra uomini e donne è più elevato nel settore con lavori regolari, è pur vero che i livelli retributivi delle donne nel settore formale tendono ad essere sempre più alti che in quello informale. Inoltre, le tutele in forma di sussidi per la disoccupazione e il congedo retribuito durante la maternità sono dei benefit goduti solo da chi ha un lavoro regolare, a parziale compensazione delle discriminazioni retributive subite dalle donne nel mercato del lavoro brasiliano.