Per eliminare la povertà, bisogna conoscerla meglio
Giunti al termine del secondo decennio delle Nazioni Unite per l’eliminazione della povertà (2008-2017) assisteremo probabilmente a varie forme di autocompiacimento. Le dichiarazioni di vittoria nella guerra contro la povertà troveranno supporto nelle stime di povertà rilasciate recentemente dalla Banca mondiale (BM), che ha il compito di monitorarla per conto del sistema delle Nazioni Unite.
Le distorsioni nella misurazione della povertà
Gli ultimi dati della Banca mondiale sulla povertà globale indicano che 767 milioni di persone, pari al 10,7 per cento della popolazione globale, vivono in estrema povertà, rispetto a circa il 42 per cento stimato nel 1981. Questi dati suggeriscono che la maggior parte dei progressi sono dovuti all’Asia orientale, soprattutto la Cina.
La linea di povertà internazionale della Banca Mondiale è stata progressivamente ritoccata, passando da un dollaro al giorno nel 1985 a 1,08 dollari nel 1993, a 1,25 dollari nel 2005 ed a 1,90 dollari nel 2011. Le stime di povertà per il 2011 sono disponibili utilizzando sia la linea da 1,90 dollari, sia quella da 1,25 dollari al giorno. La povertà globale risulta essere diminuita, passando dal 14,5 per cento della popolazione mondiale (pari a 1.011 milioni di persone) calcolato secondo la linea di povertà da 1,25 dollari, al 14,2 per cento (pari a 987 milioni di persone) misurato con la nuova linea da 1,90 dollari! La povertà globale risulterebbe quindi ulteriormente ridotta utilizzando la nuova linea di riferimento, il che genera confusione tra chi si aspettava un’impennata statistica del numero di poveri, visto l’aumento del 52 per cento del valore di riferimento della linea di povertà tra il 2005 ed il 2011!
Facendo eco a una precedente critica, il premio Nobel per l’economia Angus Deaton sostiene che la Banca Mondiale abbia “un pregiudizio istituzionale, che la porta a sovrastimare i dati sulla povertà per salvaguardare la sua posizione di leadership nella lotta contro la povertà globale”. Non c’è quindi da meravigliarsi se la Banca Mondiale si trova ad affrontare seri problemi di credibilità quando si discute del suo ruolo rispetto al fenomeno della povertà.
La metodologia di stima della povertà della Banca Mondiale è problematica, come ammesso dallo stesso Martin Ravallion, l’ideatore della linea di povertà da un dollaro al giorno. E i dubbi rimangono, anche dopo diversi aggiustamenti: la linea di povertà della BM appare arbitraria, in quanto non è stabilmente ancorata a una definizione largamente accettata dei bisogni umani fondamentali.
I progressi in Asia sono sovrastimati
L’Asian Development Bank (ADB) ha sostenuto che la linea da 1,25 dollari non fosse rappresentativa per l’Asia, il continente che secondo la Banca Mondiale ha presumibilmente contribuito maggiormente alla diminuzione della povertà globale. Nel campione di riferimento, con il quale la BM stabiliva il suo benchmark da 1,25 dollari, c’erano solo due paesi asiatici, rispetto a tredici paesi africani.
L’ADB ritiene che ci siano altri fattori più rilevanti, come le spese di sussistenza per i poveri dell’Asia, i costi alimentari che aumentano più velocemente del livello generale dei prezzi e la vulnerabilità ai disastri naturali, ai cambiamenti climatici, alle crisi economiche e ad altri shock. Il tasso di povertà estrema stimato dall’ADB per l’Asia nel 2010 è aumentato di 28,8 punti percentuali, attestandosi al 49,5 per cento, mentre il numero stimato di poveri è salito da 1,02 a 1,75 miliardi di persone!
È ormai ampiamente riconosciuto che la povertà è multidimensionale, mentre la BM utilizza ancora misurazioni “metrico-monetarie”. Il Rapporto sullo sviluppo umano del Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo (Human Development Report, HDR/UNDP) pubblica il suo Indice di povertà multidimensionale (Multidimensional Poverty Index, MPI) che prende in considerazione varie privazioni relative a tre dimensioni: salute (nutrizione, mortalità infantile), istruzione (anni di scolarizzazione, numero di iscrizioni scolastiche) e standard di vita (combustibile per cucinare, servizi igienici, approvvigionamento idrico, elettricità, pavimentazione, risorse economiche).
Attualmente sono sottoposte a privazioni acute di questa natura circa 1,5 miliardi di persone nei 102 paesi in via di sviluppo coperti dal rapporto. Quasi 900 milioni di persone rischiano di cadere in povertà a seguito delle recessioni causate da crisi finanziarie, calamità naturali o altri fattori.
La globalizzazione ha ridotto la povertà?
Sulla base di prove poco convincenti, l’Economist del 30 marzo 2017 attribuiva alla globalizzazione “i grandi progressi fatti nell’eliminazione della povertà estrema nel mondo”.
Nel libro Globalization and Poverty, 15 economisti hanno valutato se la globalizzazione abbia contribuito a diffondere la ricchezza, come viene spesso sostenuto. Gli autori concludono che i poveri traggono beneficio dalla globalizzazione quando vengano messe in atto adeguate politiche complementari, come investimenti nelle risorse umane o in infrastrutture, promozione del credito, assistenza tecnica e enti di supporto. La maggior parte delle presunte prove sono indirette, il che suggerirebbe che la riduzione della povertà sia dovuta principalmente alla crescita attribuita alla globalizzazione. Ma la recente fase della globalizzazione ha visto anche un netto aumento della disuguaglianza e della volatilità, con crisi finanziarie sempre più frequenti e profonde. Anche altre politiche associate alla globalizzazione e alla liberalizzazione – come le privatizzazioni, la deregolamentazione del settore finanziario e le politiche macroeconomiche procicliche – hanno causato danno ai poveri. Viene oggi messa in dubbio anche l’efficacia di certi programmi, come le riforme della microfinanza e della governance, ai fini di una riduzione significativa della povertà.
Ripensare la povertà
Nel Report on the World Social Situation 2010 – Rethinking Poverty pubblicato dall’ONU, e nel volume di accompagnamento, Poor Poverty, si afferma l’urgente necessità di abbandonare il pensiero, le politiche e le pratiche di mercato fondamentaliste degli ultimi decenni, a favore di uno sviluppo più sostenibile e di politiche orientate all’equità, adeguate alle circostanze e alle condizioni nazionali.
Questa nuova riflessione sulla povertà e sulla sua eliminazione può essere riassunta come segue:
• Le prospettive dominanti hanno portato a soluzioni politiche scarse e inefficaci.
• La riduzione della povertà è favorita da una robusta crescita della produzione e di posti di lavoro dignitosi.
• La crescita aiuta ad incrementare i redditi e le risorse fiscali per la spesa sociale.
• La crescita deve essere più stabile, affiancata a coerenti politiche macroeconomiche anticicliche e ad una migliore capacità di gestire gli shock esogeni.
• Un progressivo cambiamento strutturale e la riduzione delle disuguaglianze sono cruciali per lo sviluppo.
• L’attenzione per la dimensione sociale (social provisioning) accelera lo sviluppo e la riduzione della povertà.
• La protezione sociale può assorbire meglio gli shock negativi, impedire che le persone diventino molto più povere e contribuire alla creazione di attività economiche e mezzi di sostentamento.
• Un piano di protezione sociale di base è alla portata della maggior parte dei paesi, anche se quelli più poveri progrediranno più rapidamente se avranno il sostegno dei paesi donatori.